Una la taia, una la fila, una la fa i capei de paia – Con tali stami filano vite a voi mortali
*Midseason finale*
Si tratta di una ninnananna in dialetto valtellinese che mi cantava mia nonna materna quando ero piccola. Allude vagamente alle Parche, le quali filano e disfano il Tempo del destino umano – come (sinistro) augurio per i buoni sogni dei propri bambini. Nel titoletto, un verso dell’Orlando Furioso sullo stesso tema mitologico, dall’episodio in cui Astolfo scopre che la Luna è il mondo della follia e del rovescio.
Nessuno si sarebbe mai aspettato che gran parte della politica della Riviera si decidesse a Varenna, lì nella stüa della casa dei Bongioli. Lasciando che gli uomini si divertissero con i loro giochi di potere, la cosa pubblica la maneggiavano le donne, fragili, innocue quanto basta e abbastanza energiche per impastarla senza farla strappare.
Le donne sognavano molto e non stavano dalla parte di nessuno, perché alla guerra preferivano la pratica della vita. Erano le vittime disperate e azzittite a forza dei soprusi dei maschi, dei matrimoni imposti e degli stupri, erano nudi trofei esposti in piazza. Fuori, tra le vie della Riviera, si espandeva la faida come una macchia di pece, mentre loro rammendavano le brache dei loro mariti, padri e fratelli bisbigliando. La stanza, a sud dell’abitazione per sfruttare il calore e la luce in inverno, era completamente rivestita di cembro ed era stata costruita dal Bongiolo, il Buon Giovanni, l’antico avo di quel ramo dei Venini dediti alla falegnameria minuta. La stanza era alimentata dall’esterno da una pigna in ceramica, una stufa che si accendeva appunto con le pigne secche raccolte d’estate. Attorno ad essa vi era un banchetto dove le Comari si riunivano una volta alla settimana.
Dirimpetto alla maiolica decorata in stile moresco con un motivo che ricordava un groviglio di vipere, il blasone della famiglia, vi era un altarino con una statuina di Santa Margherita da Cortona, la patrona delle partorienti. Fuggita incinta con un uomo reticente alle promesse matrimoniali, per espiare il suo peccato, si mise ad aiutare i bisognosi, finché un giorno trovò il suo fidanzato morto ammazzato sotto una quercia. Sia la famiglia di lui, sia suo padre convinto dalla sua matrigna, non la accolsero nella casa natale. Perciò, prese i voti e, in estasi, ricevette il dono di poter scrutare i cuori, ossia la capacità di riappacificare le anime dal rancore. Insieme a una nobildonna avrebbe fondato un ospedale per assistere le partorienti, così come facevano le Comari con le donne della Riviera.
Maddalena sbirciava di tanto in tanto il simulacro sperando che Santa Margherita le spiegasse come dare una svolta al suo matrimonio. Suo padre l’aveva fatta sposare per non farla entrare in convento, ma la sua vita da moglie le pareva un castigo peggiore della clausura. Lei e Gabriele a stento si rivolgevano la parola e, se proprio capitavano uno di fronte all’altra, si salutavano con il garbo e l’educazione di due estranei che si rispettano. Le loro vite non si toccavano mai.
Quella mattina, Maddalena era scesa per prendere il loro batell personale attraccato alla riva sotto i giardini della loro abitazione e si era fatta portare a Varenna. Erano i giorni della merla del gennaio 1656.Le giornate erano miti, perciò l’inverno sarebbe durato ancora a lungo e la primavera sarebbe arrivata in ritardo.
Sul Lago la maggior parte degli spostamenti avveniva via acqua e si viaggiava seduti su una panca posta sotto un una vela rettangolare montata su tre cerchi di legno. I pescatori che remavano ai lati sfruttavano il vento a favore regolare, la breva da nord e il tivàn da sud. Il loro battello era stato un dono di nozze di suo suocero che sopra lo schienale, in caratteri rinascimentali, si era preoccupato di far incidere le loro iniziali GMMS. Le venne d’istinto il gesto di togliere con l’indice ben protetto da un guanto di pelle la rugiada che si era ghiacciata durante la notte nell’incavo della prima lettera.
Il Circolo della Brenta d’Oro era ubicato a Casa Venini, dietro la chiesa di San Giorgio, da quando i Brenta, famiglia comacina, si era unita in matrimonio con i Venini, famiglia varennese particolarmente legata agli Sfondrati.
Le donne Brenta erano state le cape delle Comari fin dalla notte dei tempi, assistendo durante i parti o interrompendoli, tramandandosi di generazione in generazione l’uso di erbe o formule magiche per non far morire le donne per il mistero dei misteri. Le donne devono sanguinare per dare la vita, si raccontava che ripetesse sempre la Comare, la donna Brenta che nel 1629 era stata il primo caso di peste a Varenna. Quel bubbone nero sul seno se l’era portata via nel giro di due giorni.
Le Comari, a dire il vero, non erano protette dal Signore: si ammalavano facilmente di dissenteria e spesso ne morivano. Questa era la loro punizione per non lasciare che il destino facesse il suo corso. Il dottor Serponti di Bellano, che chiamavano solo quando i parti si facevano più duri e diventava più questione di morte che di vita, ricordava loro di stare sempre attente quando preparavano i pentoloni di acqua bollente o le pezze di stoffa imbevute nella camomilla e nell’alloro per placare i dolori e, soprattutto, quando, con le mani unte di olio, entravano dentro il ventre delle partorienti e con l’unghia del mignolo, che portavano lunga e affilata, rompevano la membrana permettendo così al bambino di venire al mondo nel migliore dei modi. Con il decotto di erba brusca raccolta lungo il Fiumelatte, pulivano la mamma e il figlio recitando le formule per far defluire il sangue secondo natura. La gente portava alle Comari il massimo rispetto, riconoscenza e un certo timore. Qualcuno pensava che potessero allontanare anche il malocchio. Il Concilio di Trento aveva persino stabilito che, in caso di pericolo, potevano trovarsi nella necessità di amministrare il battesimo al posto del parroco.
Perciò, il medico veniva interpellato soltanto quando il bambino veniva fuori con la schiena al posto della testa, perché soltanto lui era in grado di compiere la manovra mettendogli le dita nella bocca per girarlo nel verso in cui potesse respirare e piangere, così come si viene al Mondo. Per il resto, se andare in battaglia era una cosa da uomini, il parto era una cosa da donne e solo loro ne avevano l’esperienza di sapere cosa si dovesse fare in caso. Il giorno che un uomo avesse avuto la fica al posto dell’uccello, per le donne sarebbe arrivata la pace, la Comare prediceva con sicurezza anche questo.
Elisabetta Brenta, la Comare Capa in carica, aveva sposato Michele Bongiolo e, grazie a lei, i suoi fratelli si erano potuti applicare alla gestione dei battelli in partenza da Varenna con i Venini; Michele l’aveva sposata anche se lei aveva undici anni di più, tanto che era influente come una matrona. Lui era morto due anni prima e lei ancora si vestiva di nero, benché per le malelingue era morto a causa di qualche erba infestante che lei sapeva trasformare in veleno. Insieme a lei, le altre Venini Bongiole comandavano e decidevano chi dovesse aiutare il parto di chi oppure chi poteva conoscere questo segreto del mestiere oppure no. Erano le figlie di Baldassarre, diventato giallo in viso per la cirrosi, Polissena e Giovanna, sempre livide per le cinghiate del padre ubriaco. Entrambe ricordavano, nei loro nomi, delle eroine sacrificate per propiziare il favore dei Cieli. Elisabetta, loro cugina, era meno influente perché, per quanto nubile esattamente come loro, aveva già una figlia in età da marito. Nel 1636, durante il passaggio delle truppe francesi, era rimasta incinta di Antilla, così battezzata perché il suo bel soldato chiacchierone al momento delle doglie già si trovava tra i Caribes nelle Americhe. Anche Giulia, l’altra cugina, non poteva essere considerata al loro pari perché era figlia di quello zio detto il Manera, l’ultimogenito dei Bongioli, dedito all’alcol, alle puttane e al gioco delle carte. Inoltre, Giulia non era ben vista perché Giuseppe, l’organista, le faceva una corte spietata anche se lei soldi per la dote non li aveva. Fra di loro non scorreva sempre buon sangue per via delle invidie, ma erano le Comari che contavano.
Poi venivano le altre: Maddalena Scotti, sorella di Francesco della Spartivento e moglie dello Zop, Carlo Venini; sua sorella Lucia, invece, aveva sposato il Matteazzo, fratello dello Zop.
C’erano anche le Venini del ramo dei Migazza, la famiglia di Lucia, l’unica che Gabriele avesse mai amato. Elisabetta Scotti, nipote delle suddette Maddalena e Lucia, aveva sposato Giorgio Venini, quello che aveva venduto la moglie al Diavolo. Elisabetta era appena diventata mamma e dirigeva gli affari delle balie. Le Comari si occupavano anche di quelle poveracce che in cambio di soldi allattavano i loro figli, i figli di buona famiglia. C’era anche la moglie dello Storno, il cui marito, sempre dei Migazza, era malvisto perché era un bastian contrario e odiava gli Sfondrati giusto per andar contro al buonsenso. Di fatto, aveva sposato Maddalena Campioni, inclusa nel gruppo più perché era una brava donna che per il suo cognome da nubile.
Maddalena Stampa era entrata a far parte della congrega per via di sua cugina Marta Sabbati, della quale le zie acquisite con il matrimonio erano Maddalena e Lucia Scotti. Marta aveva otto anni in più di Maddalena e stava quasi per partorire. Maddalena avrebbe dovuto assisterla al parto con la supervisione delle zie, in modo da apprendere l’arte e l’idea di vedere una testa che uscisse fuori dalla vagina di sua cugina non le faceva per niente piacere, anzi, le agitava i liquidi nella pancia.
I discorsi che si facevano a bassa voce tra le Comari erano spesso tra i più sboccati. In qualche modo, se in Osteria gli uomini si vantavano di prodezze, attorno alla stufa si sghignazzava del fatto che gli stessi non sapevano nemmeno com’era fatta una donna là sotto. “Per loro è facile, hanno solo quell’arnese che gli si irrigidisce tra le gambe. E poi non sanno nemmeno dove infilarlo”. C’era sempre qualcuna che si lamentava.”Te l’ho raccontato di quella che è venuta qui piangente perché non rimaneva incinta e invece quell’idiota di suo marito sbagliava soltanto entrata?” raccontava ogni volta Polissena come se fosse una cantilena.
“Beh, sicuramente tu Maddalena non avrai questi problemi” le disse Elisabetta Scotti tirando una gomitata alla cugina Marta. Entrambe risero. “Gabriele…”. Il nome di suo marito era sempre pronunciato tra i sospiri. La guardavano con stima perché lei aveva sposato uno che, alla fine, era il meno peggio. Era il migliore amico del dottore che le tirava sempre fuori dai guai – ossia delle accuse di omicidio o di aborto o di stregoneria. Era bellissimo. Era l’unico uomo che avesse mai trattato bene Lucia Venini, che dopo la morte era venerata alla pari di Santa Margherita, anche se da viva tutte la odiavano perché ne erano gelose. Gabriele non faceva promesse che non poteva mantenere e si prendeva solo ciò che era concesso.
“Come rimanere incinta già te lo avrà fatto vedere. Goditelo finché puoi che sicuramente tempo qualche giorno e ci dici che tu sarai la prossima!” disse la Comare Brenta. “Ci sarò io con te” disse sua cugina. “Anche io” rispose la Campioni, sicuramente innamorata di quel Gabriele che un tempo animava la Spartivento insieme a suo fratello. “Lucia diceva sempre che i panini dei Mezzera erano più grossi di quelli dei Migazza!” urlò Giovanna “Si capiva sempre quando era stata con lui prima de nostri incontri…” le andò dietro Polissena.
Chissà, pensava Maddalena, a lei sicuramente lo avrà insegnato cosa succede in un’alcova, anche se si dichiarava illibata. Gabriele guardava tutte tranne lei. Perché per lui non c’era differenza tra il prendere moglie e incassare una taglia.
Quando Gabriele era risorto grazie a suo padre era stato svelato l’arcano: le rose rosse che erano apparse in chiesa come letto per la bara di Lucia erano la sua ultima dichiarazione d’amore.
Ricominciò a lavorare a maglia. Stava facendo finta di realizzare una copertina di lana per i figli di Gabriele. Ogni volta disfaceva il lavoro così non sarebbe mai arrivata alla fine e nessun figlio avrebbe potuto essere coperto. Gabriele non era suo marito, era una guardia che aveva smesso anche di guardarla pur di non rimanere pietrificato.
Ma questo come poteva dirlo alle Comari? Infondo, sempre meglio essere invidiata da quelle che pensavano che lei lo avesse tolto dal mercato degli scapoli abbordabili. Gabriele, sulla carta, era suo.
Tornò a ripensare in silenzio alla lite della mattina con Gabriele. Lei odiava suo padre e lui lo serviva come un cagnolino piuttosto che essere un buon marito.
“Vorrei andare all’incontro con le Comari oggi. Posso continuare a frequentarle?”. Glielo stava chiedendo perché non sapeva bene come comportarsi dato che lui nella Riviera era un ricercato. Sicuramente, a lei non avrebbero torto un capello, già li aveva ricci perché era una Stampa.
“Non devi obbedirmi, devi essermi fedele”. Lei rise per la risposta che trovava fuori luogo. “Maddalena, non fare la puttana in giro!” aggiunse lui .”Altrimenti?” lo provocò. “Cosa vuoi sentirti dire? Che ti gonfio di botte?” perse la pazienza. “Così si aspetterebbe il tuo capo, Nicola Stampa…” non abbassò la lama. “Nicola Stampa, tuo padre, vorrebbe che io ti tenessi a bada in modo che tu non infangassi il vostro buon nome!” fece una breve pausa prima di continuare “E se succedesse? Infondo poco male, perché tu adesso sei Maddalena Mezzera“.
“E invece Gabriele Mezzera cosa si aspetta da me?” gli domandò con le braccia conserte.
“Poche rotture di coglioni?”. A Gabriele non andava più di scherzare.
“Scopati chi vuoi a me non me ne frega!” concluse lei.
“Eh, vorrei crederci… Io mica rimango incinta! Ricordati bene che io i tuoi bastardi non li cresco!” ribadì lui. “Ah tutto qui? E i tuoi?” chiese lei sempre più indispettita.”Per questo io prediligo donne sposate!”.
Maddalena se ne andò sbattendo la porta.
Poco dopo pranzo, praticamente a digiuno tanto che la sua inquietudine metteva il suo stomaco in subbuglio, Maddalena tornò a casa risalendo senza fretta tra i cespugli sempreverdi. Vicino alla serra, l’accolse il piccolo figlio dello stalliere, come un piccolo damerino. “Salve Signola Mezzela”. A lei addolciva sempre il suo modo bambino di voler parlare da adulto. Lei si inchinò pomposa per fargli piacere. “Che nascondi dietro alla schiena?” gli chiese curiosa.
“Un legalo” rispose lui in vena di marachelle.
“Ah, un regalo” si mostrò sorpresa e lui annuì. “E per chi?”. Lui allungò il ditino paffuto verso di lei.
“Per me?” chiese e si toccò lo sterno con la mano. “Sì!” disse il piccolo sgranando gli occhi porgendole una rosa. “E chi me lo manda?”. “Il Signol Gabli… Gabliele”. Gabriele non si faceva mai chiamare per cognome dalla servitù. “Ha detto anche di dile: scuuusa Maddaleeena“. Che razza di stupido, doveva fare tutta quella meravigliosa messa in scena? “E ora dov’è Gabriele?” “Boooh” rispose il bambino e poi corse via lasciando Maddalena con il suo fiore in mano ma certa che, essendo ancora viva, tutto poteva ancora succedere. Doveva solo fargli capire che non aveva bisogno di un uomo che la proteggesse, ma di un uomo che l’amasse.
Din don campanon (Din don fa la campana = segna il tempo) / Quatru dunzèli sul balcun (Quattro
ragazze sul balcone) / Una la taia (Una taglia) / Una la fila (Una fila) / Una la fa i capei de paja/
(Una fa i cappelli di paglia = estate) / Una la ciama San Martin (Una chiama San Martino =
inverno) / Da purtach un pegurin (per portargli un agnello)/ Un pegurin con su la lana (un agnello
coperto di lana) / La macana la fa la nana (la bimba fa la nanna)
❤ Miss Raincoat
©2024 Patrizia Rondinelli. Tutti i diritti sono riservati all’autore.
Quelli tra palco e realtà
La descrizione della stüa, locale tipico delle case alpine, è fedele. La storia di Santa Margherita è tratta dalle sue agiografie. Il batell è il nome dialettale della cosiddetta lucia, tipica imbarcazione lariana. Le Comari della famiglia Brenta erano a capo di un gruppo di levatrici veramente esistito e così composto, ma che non avevano un circolo precostituito (l’episodio della Comare morta di peste è vero). Il nome la Brenta d’Oro l’ho inventato ispirandomi al gentilizio dei Brenta. Gli uomini Brenta, grazie ai matrimoni, si occupavano di battelli a Varenna insieme ai Venini Bongioli. Maddalena, di fatto, non ne faceva parte, a differenza di sua cugina Marta. Antilla (Venini), la figlia non riconosciuta del soldato francese, e Giuseppe (Repellino), il fidanzato organista di Giulia (Venini), sono realmente esistiti. Gabriele Mezzera e Giorgio Serponti non avevano nulla a che fare con le Comari.