Gaudenzio Ferrari a Morbegno

Primavera, tempo di rinascita? Chissà!!! Qui in Valle non piove da tempo, tira il vento e io ho incominciato a soffrire di mal d’aprile… In compenso, ho fatto qualche passeggiata per la mia amatissima Morbegno e ho ri-apprezzato i capolavori che ci ha lasciato un pittore protagonista del Rinascimento Valtellinese. Ladies and Gentlemen, Gaudeeeenzio Feeeeeerrrari (al quale è intitolato il Liceo Artistico della cittadina)!

Gaudenzio Ferrari (Valduggia, Vercelli – ca. 1480; Milano – 1546). Famoso in Lombardia e in Piemonte, soprattutto per le opere di devozione popolare, come le cappelle dei Sacri Monti del Varallo. Giunge a Morbegno con i grandi cantieri del Sant’Antonio e dell’Assunta e poi ci si ferma perché, in seconde nozze, sposa la nobildonna Maria Foppa. Il Ferrari ha una formazione manierista e porta in Valle la sua impronta leonardesca, riscontrabile nelle sue folle di biondi angioletti dolcissimi.

Natività di Gesù // Sant’Antonio (1526)

In questa lunetta il Ferrari ci descrive la scena del Presepio in correlazione ciclica con una Deposizione. La sua composizione è molto affollata, ma tutti i personaggi sono ben connotati. Come in ogni sua scena, non manca la musica divina e l’atmosfera festosa. San Giuseppe si protende verso il centro, richiamando il suo ruolo di padre putativo all’interno della Sacra Famiglia. Il Bambino viene sollevato da due Angeli: è uno spaccato della società del tempo, dove i bambini nobili erano accuditi dalle balie. In questo dipinto, il pittore ci lascia il suo marchio di fabbrica, ossia la grande padronanza di una gamma di colori tersi e molto vivaci, soprattutto il preziosissimo blu.

Natività di Maria // Santuario dell’Assunta (1524)

Questa è una tela molto importante nell’inventario delle opere d’arte valtellinesi, oltre ad essere l’unica delle ante dell’ancona lignea sopravvissute fino ai giorni nostri. Per me, costituisce uno dei momenti più alti del Rinascimento Valtellinese. Vorrei descriverla in qualche punto:

  • L’ambientazione è quotidiana. La dimensione è quella dell’affettuosa premura che muove tutti i personaggi coinvolti. Ognuno, con calma, svolge il suo compito;
  • Tutti i personaggi sono legati dalla felicità. La tela è squadrata, ma la composizione è basata sul cerchio. Inserire il cerchio nel quadrato è simbolo di armonia cosmica, speculare a quella dell’animo umano in quel periodo storico;
  • Ogni figura è legata all’altra come in una danza. L’attenzione ai dettagli, anche i più semplici, è sorprendente. Come da tradizione popolare, Anna, ancora nel letto, si ritempra dalle fatiche del parto mangiando un uovo;
  • La simpatia per il genere umano si esprime anche nel trattare con positività il corpo umano. La donna in primo piano, piegandosi in avanti, mostra la scollatura, ma senza connotazioni sessuali o volgari;
  • L’episodio della Nascita di Maria è trattato con tenerezza. Tutte le figure sono protagoniste, tutte indaffarate e tutte contente. La loro vita è resa piena da questa imprevista nascita, come un fiore che sboccia in mano. Il significato è la speranza per il futuro. Eppure, la scena non è né solenne né spettacolare. L’unico particolare che ci induce a pensare che non sia nata una bimba qualsiasi, è la presenza della balia, come ad uso ai tempi;
  • La semplicità rende ogni opera del Ferrari densamente affettiva, ponendo il divino familiare con il terreno. Ciò che è santo non deve spaventare, ma rassicurare;
  • Ancora una volta, il Ferrari si distingue con scene affollate e affaccendate. Lo percepisco come un amorevole universo femminile in azione. E ancora una volta, ci sorprende con la sua tavolozza, in questo caso ocra. Su tutti i colori della terra, spiccano i rossi delle coperte del letto e della piccola Maria. L’uomo in veste verde, fuori dalla stanza, è Gioacchino, il papà. Per fare un figlio ci vogliono il verde e il rosso;
  • Non trascuriamo i dettagli. L’oggetto di legno che tocca la balia è una Bibbia. Il cane è simbolo di fedeltà; il gatto del mistero della vita nel corpo della donna. Il fiasco di vino era un dono per le donne che avevano appena partorito (è anche una ricerca prospettica del pittore, il quale si pone rispettoso e distante dalla scena tutta al femminile).

*In questa chiesa, il Ferrari si occupa anche di dorare e dipingere l’ancona insieme all’alunno Fermo Stella.

Il Rinascimento Valtellinese, ispirato a quello Lombardo, è quasi antitetico a quello “standard”, quello Toscano. Meno intellettuale, pone più attenzione alla realtà e all’adesione al sentimento umano. Le Natività sacre sono un tema molto diffuso, per rappresentare Dio che si è fatto Uomo e una Storia non staccata dal tempo della Vita.

Buona Giornata della Poesia!!!

Miss Raincoat

Il Complesso di Sant’Antonio a Morbegno

Il Chiostro Nord

* Dedicazione a San Pietro Martire * San Pietro Martire o da Verona fu un importante frate domenicano inquisitore e, in effetti, perse la vita in Brianza (vicino a Barlassina), per mano del sicario di un eretico o, più semplicemente, di un attivista dell’opposizione. Comunque, se il suo aguzzino riuscì a sbarazzarsi di lui tagliandogli la gola, come mai viene sempre rappresentato con un falcastro ficcato da tempia a tempia? Beh, l’Arcivescovo di Milano voleva dargli una sepoltura da eroe, perciò compro un bel sarcofago. Evidentemente, anche senza Amazon si facevano pasticci, perché Pietro era un omone e le misure della sua magnificente bara erano risultate un po’ strette; si decise allora, di tagliare la testa e riporlala in un’altra cassettina. Durante la notte, però, l’Arcivescovo non riuscì a prendere sonno per un mal di testa che passò soltanto quando la capoccia di Pietro venne ricongiunta al suo corpo. Oggi San Pietro Martire riposa al Sant’Eustorgio di Milano (più famoso per la Cappella dei Re Magi) e viene invocato dagli emicranici. I nostri frati domenicani lo avevano scelto per due motivi 1- fu un grande promoter del culto del Rosario 2 – la sua figura era equiparabile a un influencer degli Inquisitori: prima di morire intinse un dito nel sangue per scrivere a terra la parola “credo”.

Il Chiostro, in origine, era un’area del Complesso dove potevano accedere soltanto i frati – fu ampliato in un secondo momento con un secondo chiostro, a sud, che doveva essere un po’ più elitario rispetto a questo (lo dico per la presenza della loggia oppure per la decorazione delle colonne con un simil stile corinzio).

Questo chiostro fu consacrato nel 1485 (l’anno della morte del Beato Andrea, il vip di questo ordine di frati morbegnesi). L’ambiente è scandito da 22 colonne in marmo di Musso. Su alcune di queste sono stati scolpiti dei simboli che rimandano al dedicatario della chiesa, Sant’Antonio abate (il gioco rimanda all’imprevedibilità della vita, alcune colonne sono Sante e altre no – sta a te riconoscerle!). I colori con i quali sono stati dipinti gli archi, rosso-bianco-nero, sono quelli dei Domenicani. Uscendo dal portico troviamo una cisterna per l’acqua, vicino al locale del Refettorio, e una meridiana (con l’iscrizione “sicut umbra vita fugit”).

Ci accorgiamo che, mentre nell’arte che potevano ammirare i “liberi cittadini” il tema del Rinascimento e della vita è il filo conduttore, dentro le mura del Convento, almeno in apparenza, si meditava sempre sul fatto che, prima o poi, sarebbe arrivato il Giorno del Giudizio!

Se ci approcciamo al chiostro dall’esterno, ci imbattiamo in una lapide commemorativa dei benefattori che vollero questa sede, sconsacrata dopo varie vicissitudini e non solo per la Confisca Napoleonica, per l’Orfanotrofio Femminile Provinciale; se ci arriviamo uscendo dall’Auditorium, invece, incontriamo il cosiddetto Atrio.

L’Atrio costituiva l’entrata verso la chiesa per i frati, infatti ha un corredo artistico speculare a quello del protiro esterno (l’entrata dei fedeli), almeno nei temi ciclici della Deposizione/Natività di Cristo. Il pittore è Vincenzo De Barberis, il quale nel 1576 regala il suo tratto raffinato e il suo colore madido in queste due scene: una Pietà con San Pietro Martire e San Domenico e una Natività con San Sebastiano, invocato durante le pestilenze e le guerre (da notare il manto giallo di Maria, tipico dell’iconografia domenicana).

Sul lato nord troviamo degli affreschi seicenteschi: “L’Ultima Veglia di San Domenico” e “La Legittimazione dell’Ordine Domenicano a Morbegno“. Quest’ultima molto simbolica, nella quale i due patroni di Morbegno, San Pietro e Paolo (riconoscibili per le chiavi e la spada – tra l’altro, anche stemma di Morbegno), accolgono San Domenico con il libro che contiene il suo motto per i predicatori.

Sui lati est e sud troviamo la vita e i miracoli di San Domenico. La datazione va dal 1638 al 1678, ma sotto si possono riconoscere altri due strati pittorici; in unoriconosciamo una preghiera mariana in caratteri gotici. Ognuno dei riquadri è stato commissionato da un frate (lo sappiamo perché ognuno porta un gentilizio diverso), ad eccezione del riquadro all’angolo est/sud, che ricorda il Sacro Macello (in cui l’iperbole artistica vuole che i frati abbiano sconfitto gli eretici solo con i loro crocefissi), commissionato dal capitano delle milizie di Morbegno, della famiglia Castelli di Sannazaro. Possiamo intendere la descrizione dell’episodio di ogni singolo riquadro, poiché ognuno è accompagnato da una didascalia in rima. Il lato dei Miracoli, purtroppo, ha subito l’incuria e il tempo e, purtroppo, le sue scene sono state cancellate; ne rimane ben riconoscibile il Miracolo della Risurrezione del nipote del Cardinale di Fossanova, caduto da cavallo. Sull’angolo verso ovest incontriamo Gli Angeli che portano il cibo alla povera Mensa: la tavolata dei domenicani (tra l’altro, rotondetti per essere a dieta!) ci introduce alla stanza a circa metà del lato est: il Refettorio, oggi Sala Alberto Boffi.

L’ala est non solo è deteriorata, ma ha subito un restyling ridimensionale seicentesco. Nel pavimento è stata lasciata una finestra che ci fa intravedere le sinopie (i disegni preparatori) degli affreschi più antichi. Gli affreschi in superficie, nello stesso stile baroccheggiante che avevamo già dis-conosciuto nell’ex chiesa, riproducono una Resurrezione molto naif, la Santa Casa (come quella di Tresivio che l’Iperal aveva messo sulle shopping bags qualche anno fa) e ancora una volta il nostro Pietro Martire.

Il Refettorio, appunto rimpicciolito perché, dopo il Sacro Macello, il Convento non era più così tanto in auge, conserva l’affresco quattrocentesco di una Crocifissione con Santi Domenicani. Questa, però, a causa del restauro è monca: San Tommaso, il chiudi-fila, rimane dietro a una colonna da solo. Gli affreschi sulla volta sono settecenteschi e l’interprete è Giovanni Francesco Cotta (il maestro del Romegialli, per intenderci); per stare in linea alla destinazione d’uso della stanza, i temi sono il pane (Elia) e l’acqua (Rebecca) in chiave biblica.

La stanza speculare sul lato ovest era il Capitolo, il luogo dove aveva sede la Schola di San Pietro Martire, ossia il Tribunale d’Inquisizione. Anche qui troviamo una Crocifissione quattrocentesco, in uno stile molto mitteleuropeo e truce. Dentro queste pareti si decise la sorte di varie persone accusate di stregoneria, come la Barzia di Gerola bruciata nella piazza antistante (dove si faceva anche anticamente il mercato). I frati domenicani di Morbegno erano spesso al centro dei misteri alla Quarto Grado del loro tempo. Furono accusati di aver fatto da tramite per la cattura di Francesco Cellario, il pastore protestante di Morbegno che fu preso all’imbocco della Valchiavenna mentre si recava nei Grigioni e poi messo al rogo per eresia. Parimenti, circolavano voci sul fatto che gli stessi aiutarono molti protestanti della Bassa Valle a fuggire verso il passo San Marco (di fatto, nel chiostro sud è presente una porta che conduce a un cunicolo sotterraneo che collegava il Convento al Doss de La Lumaga – zona Tempietto). Infine, sul lato ovest c’è anche la lunetta di una porta tamponata che mostra San Domenico e San Francesco sullo stesso dipinto, peccato che i due ordini fondati da questi due santi litigarono per secoli per il dogma dell’Immacolata! Anche Morbegno ricorda i segni di questa lite: con l’affresco fuori dal Palazzo Malacrida i Cappuccini hanno definito i Domenicani “chiacchieroni”, quindi “bugiardi”.

Miss Raincoat

“In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”

Il Complesso di Sant’Antonio a Morbegno

Chiesa di Sant’Antonio (Auditorium)

Nella scorsa puntata, abbiamo appreso che, con l’insediamento dei frati domenicani, la chiesa perse per strada la dedicazione a Santa Marta e, per motivi di diritto ecclesiastico, tenne per buono il co-dedicatario Sant’Antonio, considerato anche il protettore di tutti gli ordini monastici maschili.

Certo, oggi questo edificio, con la sua conformazione di sala d’ascolto e le schegge d’arte, non ci richiama l’opulenza con la quale era stato concepito. Badiamo che questa chiesa occupa 800 mq di superficie e, in origine, colava oro e nessun centimetro escludeva di essere ammirato. I nobili di Morbegno e limitrofi si erano messi in gara per essere il miglior committente del Sant’Antonio!

Solitamente, si dà la colpa a Napoleone che, con la sua confisca del 1798, firmò la diaspora delle opere d’arte che rivestivano e adornavano la chiesa (alcune le possiamo trovare nelle altre chiese di Morbegno, altre chissà dove sono finite…). La chiesa tornerà ad essere tale dal 1924 al 1977, poi diventerà un deposito e, solo nel 2008, rinascerà come Auditorium – per me, un ottimo uso, dato che i Domenicani erano molto attenti alla musica durante le funzioni.

Tuttavia, era già iniziato lo scempio nel 1663, quando si decise di coprire il Rinascimento con uno strato di Barocco. Ma non il Barocco artistico, quello più grossolano e pacchiano che possa esistere. Per spiegarlo agli atei, come quegli interventi di chirurgia estetica mal riusciti…

Il fatto che questa chiesa sia stata lasciata deperire per molti anni (anche il Damiani era indignato per questo motivo!!!) ha fatto riemergere, comunque, la Storia: le pareti del Sant’Antonio portano tre strati di affreschi (alcuni continuano addirittura sopra la copertura a crociera, in origine a capriate) – quello dell’antica Santa Marta, quello Rinascimentale e quello BaroccoTarocco. Per quanto riguarda la presa di coscienza, sappiamo che nel 1932 ci si rese conto dell’importanza del Protiro esterno e della Cappella di Santa Caterina; tra il 1961 e il 1964 si restaurò tutta l’ala sinistra e, a destra, la Cappella di San Martino – il resto è rimasto orfano fino al restauro degli anni Duemila.

Possiamo dire, in generale, che il Sant’Antonio è una chiesa tipicamente domenicana, pensata come un’ampia aula, senza impedimenti o distrazioni dall’altare centrale, dove si svolgevano le prediche e le spettacolari messe “di propaganda“. Le cappelle, infatti, sono laterali e la navata è unica. Da una parte, servivano per rinforzare gli insegnamenti dottrinali tramite Santi e Sante esemplari di martiri in nome della Fede, di Redenzione, di Umiltà ostentata e di Miracolosità – erano i thriller dell’epoca; dall’altra, essendo tutte finanziate da un committente diverso, erano un po’ come gli sponsor degli eventi odierni. L’Arte Rinascimentale di queste cappelle, cronologicamente collocabili alla fine del Quattrocento (a parte le due cappelle a destra del 1520 ca.) e geograficamente in ambito lombardo con alcuni influssi mitteleuropei.

A sinistra, dall’ingresso

Santa Caterina D’Alessandria (famiglia Vicedomini di Cosio e Morbegno) – Artisticamente è la più rinascimentale delle cappelle (artisti di ambito comasco), per i colori vivaci e per la ricerca di prospettiva. La Santa, oltre ad essere la più celebre tra le martiri romane, è patrona dei teologi;

Natività e Adorazione dei Magi (Frati Domenicani di Morbegno) – I soggetti sintetizzano i concetti di umiltà sia dei Re sia di Gesù;

San Pietro Martire (famiglia De Pesci di Ardenno) – Il Santo martire domenicano è il patrono del Convento; sulle pareti incontriamo la sua agiografia, soprattutto la sua missione tra le prostitute e il suo leggendario martirio, che lo fa diventare anche patrono degli emicranici (questa storia eccentrica la racconterò nel prossimo episodio!). Sul fronte della cappella troviamo una Crocifissione con Santi Domenicani. Il pittore di questa cappella è Fermo Stella, alunno del Ferrari (che abbiamo incontrato nel protiro, all’esterno). La volta con gli evangelisti, invece porta la firma di Marco D’Oggiono, alunno diretto di Leonardo Da Vinci.

San Vincenzo e Beato Andrea (famiglia Malaguccini di Morbegno) – Il Beato Andrea Griego da Peschiera, frate che morì qui nel 1485, fu un predicatore instancabile, beatificato a furor di popolo – le sue reliquie (inizialmente conservate in questa cappella; dopo la Confisca traslate neln San Giovanni, ossia nel reliquiario in cera) furono considerate miracolose durante la Peste. Nella fascia di medaglioni sull’arco, lui è il primo a destra. La cappella è dipinta con l’agiografia di San Vincenzo (da notare la resurrezione di un bambino) sulle pareti e con una Crocifissione insieme a San Domenico, San Pietro Martire e Santa Caterina da Siena sulla lunetta.

** su questo lato è stata murata e, poi, demolita una cappella di San Rocco che, originariamente, era addossata lateralmente a Santa Marta e chiudeva la Morbegno est (abbiamo, infatti, un’altra cappella di San Rocco a chiuderla a ovest).

A destra, dal palco

(Questo lato è davvero molto deteriorato e riporta i segni del tempo e dello scalpello tra uno strato e l’altro)

Le prime due cappelle sono state dipinte da Vincenzo De Barberis, il maestro di Cipriano Valorsa. La Cappella dedicata al “boss” Sant’Antonio abate (protettore degli animali) fu pagata dalla famiglia Guasco; la Cappella di San Martino, la più iconica di questa chiesa, fu commissionata dalla Comunità di Morbegno. Di fatto, la chiesa di San Martino fu il primo edificio sacro di Morbegno. Metaforicamente, la chiesa poggia su questa cappella, secondo me. Inoltre, sono una grande fan dello stile raffinato e vivace nelle cromie quasi fluo del Vincy De Barberis, bresciano.

Le ultime due cappelle (delle famiglie Castelli D’Argegno e Castelli di Sannazaro), oltre ad essere abbastanza irriconoscibili e lacunose, portano proprio quei pesanti tratti del restauro seicentesco. Erano dedicate all’altro “boss”, San Domenico, e a Santa Maddalena (vi era anche la reliquia di un suo omero, persa durante la Confisca). Ciò nonostante, è in queste cappelle che sono riemersi dei preziosi tasselli di affreschi che appartenevano alla chiesa di Santa Marta, come il San Tommaso che regge la chiesa e una pelliccia (che non è dell’Homo Salvadego, ma l’abito frugale di San Giovanni Battista).

La Cappella della Madonna del Rosario

Per me è un piccolo scrigno segreto e si trova dietro il vecchio altare/odierno palco – proseguendo a sinistra. Questa sorta di cappella radiale, fu affrescata nel Settecento – è un po’ indie in questo. Il committente fu la famiglia Parravicini, a quei tempi importantissima. Il pittore è Pietro Bianchi detto il Bustino. Lu, di Borgovico (Como), affrescò anche parte dell’Assunta e tutto il San Pietro, ma perse un po’ la gara tra i pittori perché il famoso Pietro Ligari aveva un potente fan club! Nel centro troviamo la Madonna in Gloria che consegna il Rosario a Santa Caterina da Siena e al nostro San Domenico (in coppia, sono i santi domenicani più importanti). Ai lati, sorrette dai Profeti, troviamo le scene di due battaglie, per mare e per terra, della Serenissima contro i Turchi. A noi interessa quella in mare, la famosa Battaglia di Lepanto (1571) dopo la vittoria della quale Pio V istituiì la festività del Santo Rosario, molto sentita anche nella Valle più pop, perché cade nel periodo della vendemmia delle castagne. Pio V, frate domenicano e al secolo Michele Ghislieri, fu ospite e inquisitore qui al Sant’Antonio – lo troviamo anche nei medaglioni dei frati domenicani di questa cappella. Nel sott’arco si legge qualcosa simile all’Ave Maria in latino, come una cover domenicana di questa preghiera.

Alla prossima (e ultima) puntata!

Miss Raincoat

Il Complesso di Sant’Antonio a Morbegno

Facciata e Protiro

Il primo nucleo della chiesa, inizialmente dedicata a Santa Marta, esisteva già circa nel 1370 ed era comunemente conosciuto con il nome di Santa Marta in Quadrobbio (ossia “quadrivio“).

La sua storia si interseca con le vicende degli Inquisitori Domenicani provenienti dal Convento di San Giovanni a Como (odierno edificio della stazione ferroviaria), già presenti in Valle per convincere con le buone o con le cattive gli eretici antipapali, ma definitivamente ospiti ben graditi dal 1328, anno in cui scappano dalle lotte tra guelfi e ghibellini a Como e si rifugiano, inizialmente, attorno al San Domenico a Regoledo di Cosio.

A fine Quattrocento, addirittura con l’approvazione degli Sforza, Morbegno decide di ampliare la Santa Marta (* Sant’Antonio, originariamente, era il secondo dedicatario; con l’ampliamento Santa Marta viene mandata in pensione…) e farla diventare il complesso conventuale che avrebbe ospitato i domenicani in una location più consona al loro prestigioso ruolo. Sulla carta, la Comunità di Morbegno si proclamava cattolicamente contenta di poter avere i frati inquisitori in loco, siccome l’eresia stava traviando anche il clero locale e c’era bisogno di una guida spirituale; sul rovescio della pagina, però, non dimentichiamo che ospitare la Sede Inquisitoria dell’intera Valtellina a Morbegno dava lustro alla cittadina! In poco tempo, inoltre, molti valtellinesi cominciarono a recarsi spesso in questa nuova chiesa per partecipare a quei riti tipicamente domenicani, spettacolari e con musica emozionantissima.

Ma ritorniamo all’Arte.

L’esterno della chiesa, realizzato nei primi anni del Cinquecento, si colloca nel Rinascimento Valtellinese (stessi anni dell’Assunta di Morbegno; architettura top del periodo: Il Santuario di Tirano), sebbene il coronamento a forma ondulata ci riporta subito al rifacimento simil-barocco del Seicento. Quindi, si potrebbe dire che ciò che rimane di veramente – ma superbamente – rinascimentale sia il protiro (la struttura di copertura del portale).

Quello che faccio sempre notare ai turisti è questo: in poco spazio, vengono conglobati molti elementi, difficili da cogliere con un solo sguardo distratto. Ecco a cosa servono le guideeh 🙂

Partiamo, insolitamente, dai particolari. Abbiamo quattro colonne snelle, rinforzate da fasce, le quali, rispettivamente portano il tatuaggio di importanti stemmi: lo stemma della famiglia morbegnese Ninguarda, ossia i committenti, lo stemma di Morbegno (chiave e spada, S. Pietro e Paolo – i patroni), la tau di S.Antonio e il cane dei Domenicani. Anche lesene del portale reggono un’Annunciazione sulla parte frontale (con Maria e Arcangelo Gabriele separati, soluzione molto pop-rinascimentale) e sui profili dei ritratti di San Domenico e San Vincenzo (forse il più cattivo degli inquisitori domenicani – non dimentichiamoci che pure in Valtellina qualche strega venne bruciata!). I capitelli delle colonne, infine, sono decorati con sole e teschio, per creare il ciclo infinito di vita e morte – per me, un grande indizio di Rinascimento: finito il lockdown medievale, si vedeva molta luce e molta speranza…

Il mio particolare preferito del protiro è la volta. Lo so, è un mero esercizio di stile dello scultore, però i cassettoni finti sembrano il matelassé di Coco Chanel anche se è stato realizzato con maestria di scalpello sul marmo di Musso.

Le opere di concetto sono quelle delle due lunette.

La lunetta scultorea è stata realizzata da Francesco Ventretta di Piuro (Valchiavenna), il quale realizza tutta la scultura del protiro circa nel 1517. L’artista era cognato di Tommaso Rodari, papà della parte rinascimentale del’Assunta di Morbegno e del Santuario di Tirano, nonché colui che porta il Rinascimento architettonico in Valle. La Pietà che ci lascia il Ventretta è molto drammatica, specie nel volto disperato di Maria e resa ancor più drammatica dal fatto che è stata posta sopra l’Annunciazione.

La lunetta pittorica è stata realizzata da Gaudenzio Ferrari, circa nel 1526 – negli anni in cui era impegnato sul cantiere dell’Assunta di Morbegno. Famoso per i Sacri Monti del Varallo e per la lezione leonardesca che impregna le sue opere, si stabilì a Morbegno dopo le sue seconde nozze con la nostra Maria Foppa, vedova Ninguarda. La sua Natività ha i suoi amabili colori tersi, soprattutto il blu molto ceruleo. Inoltre, un suo marchio di fabbrica sono gli angeli musicanti, tutti uno diverso dall’altro. Due di questi angeli tengono in braccio Gesù Bambino, poiché all’epoca le donne importanti facevano accudire i loro figli dalle balie. In maniera molto rivoluzionaria per l’epoca, Giuseppe si protende verso il centro della scena. In quegli anni, infatti, alla figura del padre putativo era stata riconosciuta la grande missione di avere accettato il disegno divino anche se fosse soltanto un uomo.

Così, anche le due lunette si pongono a simbolo del ciclo della vita e in maniera del tutto positiva rispetto al progetto che dall’alto era stato riservato all’uomo. Per questo motivo, si può dire che non solo la forma ma anche il significato pongono quest’opera al centro del movimento culturale del Rinascimento.

Umberto Saba

“Ed è il pensiero della Morte che, infine, aiuta a Vivere”

Miss Raincoat

Cosa Vedere a Morbegno

Avventure di una guida durante la Mostra del Bitto

Quello che ho imparato del mio lavoro è che tutto ciò che si deve imparare sul mio lavoro lo si impara sulla strada. Sembra un aforisma da rapper alla moda, ma in realtà si sta parlando di menare il gregge dei turisti.

Oggi parliamo di come visitare Morbegno durante un affollato dì di festa, baciato da un clima clemente. Certo, vedere quanto gli eventi di Morbegno in Cantina e Mostra del Bitto abbiano richiamato così tante persone che “Pifferaio di Hammelin, lucidami le scarpe”, beh è stato wow . Le parole belle le hanno già spese gli organizzatori sui social networks, ma rimarco che il successo sia da attribuire al fatto che a) si è lavorato a testa china ma sempre con un sorriso immenso e la mano tesa b)siamo una squadra fortissimi, anche se si litiga spesso – ma i grandi amori sono così, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Io che sono solo una guida turistica che potrei aggiungere? Niente, che è stato quasi acrobatico riuscire a destreggiarmi con il gruppo tra bancarelle, calici e altri turisti sfusi (metteteci anche il fatto che sono uno scricciolo alto due mele o poco più) però è stata un’esperienza incredibile e spero di aver lasciato un bel souvenir ai miei ragazzi  io i turisti li chiamo tutti così, perché chi viaggia è giovane dentro).

Ecco, vorrei condividere  l’itinerario che ho deciso di seguire io per l’evento al quale sono stata chiamata alle armi, che per me rappresenta il percorso fondamentale per conoscere il Centro Storico di Morbegno.

  1. Piazza Sant’Antonio – anticamente questa piazza era chiamata “quadrivio” e costituiva una sorta di porta-est del trecentesco borgo di Morbegno (ricordiamo che, come insediamento stanziale per i contadini che discendevano dalle scoscese pendici orobiche, Morbegno nasce nella periferica zona di San Martino, in una zona però infetta dalla malaria, da qui l’origine toponomastica da “morbo”). In questa Piazza, si svolgeva, fin dal Quattrocento, il mercato settimanale e il calendario delle fiere; inoltre, lo spiazzo era nato anche come un parco alberato ed inerbito dove la popolazione più ricca poteva passeggiare e darsi appuntamento. La Piazza prende il nome dall’ex Convento domenicano smantellato da Napoleone (la chiesa venne, invece, sconsacrata nel 1977).
  2. Protiro della Chiesa di S.Antonio – in stile rinascimentale, una monumentale struttura in pietra sovrasta il portale con il tema ciclico di vita e morte, dove anche le colonne ed i profili non sono stati risparmiati dalla decorazione allusiva. L’opera vanta anche la firma del pittore Gaudenzio Ferrari, con la sua affollatissima Natività dal cielo terso come i cieli alpini.
  3. Chiostro della Chiesa di S. Antonio – la decorazione cinquecentesca delle pareti e del cortile individuato da colonne ed archi a tutto sesto ci inseriscono nel clima dell’Inquisizione e del “memente mori” tramite le storie di San Domenico e simboli domenicani. Molto interessante la meridiana con l’iscrizione biblica “sicut umbra vita fugit”.
  4. Via Garibardi (Primo Tratto) – con il naso all’insù, si possono ammirare i terrazzini in ferro battuto, tipici della produzione artigianale della Bassa Valtellina. La particolarità è che sono tutti diversi e diversamente intricati.
  5. Berlenda (Via Romegialli – Piazza San Pietro – Via San Pietro) – è la contrada più antica del borgo: ospitava infatti l’Ospedale Vecchio, il Monte di Pietà, nonché le case di importanti famiglie dell’alta borghesia di Morbegno, come i Castelli di Sannazzaro, dei quali il Palazzo oggi ospita il Municipio. Questo edificio presenta quasi un non-sense: addossato troviamo il campanile della Chiesa di San Pietro, che fu la prima parrocchiale di Morbegno, prima della cessione ai Riformati. Finiamo la nostra tappa ammirando la facciata barocca della stessa, realizzata dalla Confraternita del SS. Sacramento (specie il nero marmo di Varenna e i simboli di San Pietro e Paolo sul portale ligneo), che qui ha sede.
  6. Piazza Tre Fontane – nella piazza più elegante di Morbegno, però, le Tre Fontane non ci sono più (benché esiste una fontana meno antica). Anche qui, l’eleganza è data dai terrazzini e dalle pareti affrescate nel Settecento.
  7. Verso Scimicà (Via San Marco) – prendiamo il primo tratto in salita della Via Priula, che attraverso il Passo San Marco, permetteva di raggiungere i territori della Serenissima. Ci fermiamo un attimo davanti alla particolare Cappella degli Angeli Custodi, che arreca l’iscrizione “in pugna ultima mortis” (solo una buona guida può svelare l’arcano segreto 🙂 )
  8. Palazzo Malacrida – (entrata da prenotare; rivolgersi al Comune di Morbegno oppure a Le Nevi di Un Tempo // Biblioteca Civica) In questo caso, ho sperimentato una visita “al contrario”, dall’alto verso il basso, di questo palazzo in stile settecentesco veneziano: uno sguardo dall’alto dai Giardini Terrazzati, una sbirciatina dall’alcova, per poi ammirare la collaborazione geniale di Cesare Ligari/Giuseppe Coduri nelle illusioni ottiche del Salone d’Onore, senza dimenticare l’apporto del morbegnese Giampietro Romegialli tra le nuvole del “Ratto di Ganimede” sul soffitto dello Scalone . La breve visita termina nell’Atrio, dove gli stemmi del parentado riecheggiano i gossip di questa ricca, sfortunata, ma originale famiglia che ha impreziosito Morbegno di un’arte aggiornata con i tempi.
  9. Via Malacrida – scendiamo da Scimicà percorrendo la discesa verso la Corte dei Miracoli, un’antica abitazione della famiglia Parravicini con archi in cotto e, appunto, corte interna. Scimicà, del resto, era la contrada dei nobili morbegnesi.
  10. Via Pretorio/ Piazza III Novembre – Buttiamo un occhio al Ponte Vecchio sul Bitto con il San Giovanni Nepomuceno, proseguiamo il cammino costeggiando il Palazzo Pretorio e sorridendo alla tela del Gavazzeni, con una Madonna che porta il grazioso viso di sua moglie Rosa, sulla parete dell’ ottocentesco negozio Ciapponi.
  11. Via Ninguarda – rincontriamo Piazza Tre Fontane e ci immergiamo nell’antica contrada Pozzo Modrone, che ospitava i negozi e le locande. Ci perdiamo un po’ con lo sguardo tra portali, archi e altri terrazzini, soffermandoci un po’ sui problemi di cuore di San Giuliano l’Ospitaliere e sulla presunta satira politica di un mascherone a forma leonina.
  12. Piazza San Giovanni – come per sopresa, ci troviamo davanti ad una facciata monumentale, che sembrava così piccola da palazzo Malacrida, la quale ci narra la Storia della Salvezza in una maniera del tutto settecentesca. Al lato della piazza troviamo  la vecchia sede del Monastero di clausura femminile della Presentazione.
  13. Chiesa Parrocchiale di San Giovanni – finiamo la nostra visita entrando nella chiesa per ammirare il tripudio del barocco firmato Pietro Ligari, dalle cappelle fino alle scene del Battesimo in abside. La chiesa conserva le reliquie di Santa Costanza, del Beato Andrea da Peschiera (in cera) e la Sacra Spina donata dal vescovo morbegnese Feliciano Ninguarda. Una delle particolarità di questa chiesa è il colore delle pareti: viene chiamato colore dell’aria ed è un color polvere capace di far sembrare diverso l’ambiente in ogni diversa condizione luministica.

Ovviamente, non posso dimenticarmi di ringraziare un po’ tutte le persone che si sono fatte in mille pezzi per fare funzionare tutte le quisquilie delle manifestazioni concatenate. In modo particolare, la dott.ssa Bianchi che ha scelto me come un pokemon vincente (e chiedo scusa alle Nevi di Un Tempo se sono stata io quella che ha corso con il testimone in mano, spero di non averci fatto fare una brutta figura!), il Consorzio Turistico, specialmente F. che mi ha prestato le chiavi del Chiostro e l’Amministrazione di Morbegno che mi ha letteralmente aperto le porte di Palazzo Malacrida (anche se non si poteva, o forse no). Per ultimi, ma non in ordine di importanza, ringrazio i turisti, dacché senza di loro si dovrebbe parlare da soli!

E, alla fine, tarallucci (anzi, sciatt) e vino! (finché non chiama irrimediabilmente fuori) — 

Se non sapete cosa sono gli sciatt, guardate qui.

p.s. Se qualche mio Capo o simile ha letto questo post, sappia che, per il prossimo anno, vorrei una bandierina da agitare tra la folla come le guide dei film!!! (oppure un palloncino a forma di unicorno ubriaco) :*

❤ Miss Raincoat

Morbegno La Sera è Viva 2018

Haute Saison. In francese, forse, suona più dolce. In italiano si dice “Oh, ma per me quando arrivano le vacanze?”.

Beh, l’avevo messo in conto,comunque, che avrei dovuto badare ai turisti in orario di vacanza e badare a me stessa, mentre i comuni mortali lavorano o sono a scuola o si lamentano di qualcosa sui social. Non mi ero resa conto che avrei perso l’opportunità di poter andare ai concerti migliori della stagione estiva. Punterò sulle piccole serenate notturne, ho deciso! In questo periodo, quindi, si lavora e non si dorme mai. E si cerca di non perdere voce, pazienza e memoria. E a Morbegno, capitale della Bassa Valtellina, un caposaldo di questo periodo è Morbegno La Sera è Viva.

Quest’anno la manifestazione  compie 25 anni. Ergo, è nata prima che io imparassi a leggere e scrivere. Prima che quella str** della maestra P. d dicesse a mia mamma – con me lì presente – che ero troppo goffa e timida per riuscire mai a sembrare intelligente o simpatica o spigliata. . E invece eccomi qui a lavorare tra i migliori, a destreggiarmi tra una serie di oltre 40 appuntamenti che porteranno i turisti a passeggiare dalle Porte della Valtellina, paeselli di mezza costa compresi,  fino alle ridenti sponde del Lago di Como. Ovviamente, dovrei anche ricordare la maestra M. che, invece, ha creduto in me e nella mia innata abilità di raccontare storie avvincenti. E che mi ha insegnato a farlo nel modo corretto, che mi ha insegnato a osservare la meraviglia che mi circonda, ad ascoltare le persone, a gongolare e ad accettare le critiche intelligenti. Che mi ha insegnato a perdermi nei libri e nelle canzoni e a ritrovarci me stessa. La maestra M. mi ha insegnato a orientarmi. La maestra P. … va beh, non voglio dirlo!!!

Io quest’anno, dopo aver proposto monumenti minori o angoli di strade, ho deciso di puntare i riflettori su due dei pezzi forti: l’ex chiesa conventuale di Sant’Antonio e il Palazzo Malacrida di Morbegno. Li ho scelti per vari motivi: a) sono un monumento “sacro” e un monumento “profano” b) rappresentano i due apogei artistici di Morbegno: il Cinquecento e il Settecento c) sia i Domenicani sia i Malacrida rappresentano le personalità più controverse della Bassa Valle.

Qui sotto vi annoto i due appuntamenti:

  • mercoledì 4 luglio h. 20,30  – Palazzo Malacrida
  • mercoledì 11 luglio h. 20,30 – Chiesa di Sant’Antonio

A chi mi dice per primo “beata te che sei sempre in giro” regalerò la mia maglietta preferita. (Ho sentito dire che gli haul tra i blogger sono popolari, no? – Ma io non sono né blogger né popolare. Qui si domano solo unicorni! E si regalano magliette usate. Ahahah).

[per scaricare programma completo e info aggiuntive qui]

❤ Miss Raincoat

La mia Mostra del Bitto

Come vi avevo promesso,  parlerò della 110ª Mostra del Bitto anche sotto una mia luce più retrospettiva e introspettiva…

Ovviamente, per chi volesse sapere di cosa si tratta la kermesse di Morbegno per antonomasia può consultare il sito ufficiale qui 

Innanzitutto, vorrei ovviamente ringraziare il mio capo A. per aver scelto me tra tanti altri, il dott. M. (e tutto il FAI) per l’occasione, i colleghi che mi hanno sopportata e supportata (nun semo mica i scenturioni de Roma!), tutti i cocchieri che hanno organizzato con precisione il carrozzone dell’evento e, chiaramente, la folla di turisti senza la quale non si potrebbe nemmeno lavorare. Ah, dimenticavo anche H. N. Morse, che ha sintetizzato per primo il paracetamolo.

Morbegno, sabato 14 ottobre 2017

La mattinata l’ho trascorsa con la collega (pure di chioma) E. ed il mio capo A. per una sorta di “aggiornamento sul campo” nei  vari Presidi FAI:

  • Palazzo Folcher – Approfittando del fatto che l’edificio è soprastante all’antico Caffé Letterario di Morbegno, mi sono scottata dapprima la punta della lingua con un caffé nero bollente (“amaro, come la vita” cit. Capo A.) e poi mi sono meravigliata del racconto appassionato dell’arch. Cerri, il quale sta seguendo qui i lavori di restauro. In realtà ho intenzione di scriverne un post a sé stante nelle prossime settimane (e non vedo l’ora di poterci portare anche i turisti, una volta che il restauro sarà terminato): il luogo è stupendo nella sua corte raccolta e quasi segreta, nei suoi soffitti decorati e tutti diversi come i servizi di piatti chic’n’cheap e negli scorci verdi e azzurri che si possono spiare dalle finestre ancora da ripulire. Piazza 3 Novembre

  • Casa Mariani – Anche questa dimora ha una corte interna che mi ricorda la descrizione del giardino dei misteri di Mary. I Mariani sono ricordati come notai e giureconsulti, che rogavano nella tipica Stüa (locale “alpino” totalmente rivestito in legno e riscaldato tramite una stufa) del 1592. La particolarità di questa visita è che  stata condotta dagli eredi Mariani in persona, che, tra le cose, sono persone di una simpatia e dolcezza ineccepibile. Via Romegialli

L’ora di pranzo, da buona guida, l’ho passata in piedi, ma invece della Fiesta ho mangiato un panino (era un paninazzo, lo ammetto) Bitto+Bresaola preparatomi con amore dal mio barista di fiducia, il sign. B. Approfittando dell’orario poco di punta, mi sono concessa anch’io un giro in Mostra/Fuori Mostra. Massima stima per le donne che si sono prestate all’abbigliamento folk valtellinese: so per esperienza che gli sciapei (zoccoli di legno) sono più scomodi di un tacco 13 senza plateau. Mi è piaciuta molto, oltre alla tradizionale sfilata enogastronomica, l’esposizione degli sci antichi, comunque.

Durante il pomeriggio ho effettivamente lavorato presso il Presidio Fai del Complesso di Sant’Antonio (del quale troverete un mio riassunto qui). Lì si è chiarito anche che a) la cantina “nel Chiostro” si trova attraversando la porta del chiostro (siete fantastici quando bevete vino valtellinese, giuro!) b) sì, se entrate trovate anche il bagno, che non è ovviamente il pozzo al centro del chiostro c) le spille del FAI sono fashion, munitevene!

A parte gli scherzi, l’interesse dimostrato per i turisti che ho guidato è stato stratosfericamente appagante; ah, alla fine di un giro ho pure ricevuto una stretta di zampa inaspettata da un cane fighissimo e acculturato.

Dopo il dovere, il piacere.

Con una puntualità che non la contraddistingue, mia sorella è giunta al Presidio preceduta da due asinelli (che facevano parte delle attrazioni, non sono suoi) e questo è stato il momento catartico, che mi ha fatto capire di essere sopravvissuta alla giornata.

L’ultima cosa intelligente che ho fatto sabato è stata portare mia sorella a vedere il presidio FAI a Casa Mariani, dove abbiamo conosciuto una comitiva di tipi proprio nel mood dell’evento. Del tipo, gente che passa dal parlare della valenza ingegneristica della termodinamica ecologica (e stica’) del tipo architettonico della stüa [sic.]all’esclamare la necessità di un bicchiere di Valtellina e stuzzichini. Come Carducci, più o meno, in questa poesia.

Poi, come da previsto, tarallucci e vino anche per me.

Con tanto di apparizioni mistiche (ma neanche troppo), aperitivi rinforzanti plurimi e un Battisti di circostanza in questo periodo allucinogeno [Ringraziamo i musicisti e l'”oste” M. per le illuminazioni, comunque. Thx for made us believe in pink unicorns!]. E mi fermo con la narrazione perché della cena, siccome non si dovrebbe MAI brindare alla stanchezza cosmica, ricordo poco.

Mi sono voltata, improvvisamente, verso mia sorella e l’ho vista felice: per me, la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta nel non averle puntato il dito contro e di aver tifato per lei, purché stesse bene. E mi sono voltata verso di me e ho capito che è finito quel meccanismo malato di giornate senza parole, di non sentirmi abbastanza, di essere troppo severa con me stessa. Basta mettere il tuo rossetto più bello e più durevole e concederti di essere te stessa, senza voler essere all’altezza di qualcuno. Scusa, ma all’altezza di chi, poi?

Questa sarà ricordata come la giornata in cui ha ricominciato a funzionare una lampadina che credevo fulminata. Dopo 3 anni di non voler più essere me. Dopo 5 mesi di cattiva alimentazione e 1 mese di digiuno. Non c’è un motivo preciso o un nome di persona. Semplicemente, una specie di estate di S. Martino in anticipo, voluta da me. Volevo l’uragano, ma l’uragano sono io. <fine dello spot motivazionale>

«la serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino» J. H. Comroe

❤ Miss Raincoat 

*Sul mio Instagram potete trovare altre foto

Il Complesso di Sant’Antonio (in Mostra)

Durante la 110ª Mostra del Bitto , ho avuto l’onore di essere tra le guide dei presidi FAI che facevano da corollario all’evento che ha ancora una volta coronato e confermato la vocazione turistica della mia amatissima Morbegno. 

Cominciamo con il dire che il Sant’Antonio non è un monumento che si riesce a guardare nella sua interezza cogliendo una sintesi, perché è frutto di un susseguirsi di anni, di varie mani e di varie teste, sia laiche sia monastiche.

Detto questo, bisogna sapere che, per quanto nasca sulle spoglie di una primitiva chiesetta alle porte della cittadina, intitolata a S. Marta, proietta Morbegno oltre l’orizzonte provinciale. Infatti, fu un convento che, da una parte fu chiesto a gran voce dalla Comunità, ma dall’altra ospitò in un luogo definitivo i frati domenicani espulsi da Como durante le lotte tra guelfi e ghibellini.

La Chiesa viene consacrata nel 1504. In facciata, ciò che rimane dello stile originario rinascimentale è il protiro, che si compone di due lunette: in quella scultorea troviamo una Pietà molto drammatica di Francesco Ventretta, alunno dei famosi fratelli Rodari; in quella pittorica un Presepio di Gaudenzio Ferrari, considerato un alto esempio del Rinascimento Valtellinese, specie per i colori molto tersi.

L’interno della chiesa è l’ambiente che ha più risentito del radicale restauro barocco “grossolano” del 1663, il quale, non solo ha snaturato la leggerezza elegante rinascimentale con l’aggiunta di stucchi e arzigogoli, ma ha sostituito anche la copertura a capriate con una volta a crociera, la quale nasconde parte degli affreschi. Tuttavia, la struttura, un’ ampia aula con otto cappelle voltate a botte,  rimane a testimoniare un luogo studiato per le prediche appassionate tipiche dell’ambiente domenicano. Oggi, l’edificio è un Auditorium ed è “spoglio” per via della confisca napoleonica del 1798, che vide statue, dipinti, marmi, reliquiari andare all’asta . Comunque, dobbiamo pensare che, fin dalla sua costruzione l’impegno sostenuto per la decorazione costituì una vera e propria gara per il patriziato morbegnese e morbegnasco.

La mia cappella preferita è la prima di sinistra, del 1515 e dedicata a S. Caterina d’Alessandria, protettrice delle fidanzate e dei notai, di patronato dei Vicedomini. In essa si declinano la ricchezza cromatica del Cinquecento Lombardo.

Le altre cappelle di sinistra sono dedicate a Natività e Adorazione dei Magi, ai SS. Domenico e Pietro martire (dedicatario Convento e patrono degli emicranici) e ai S.Vincenzo/Beato Andrea Griego da Peschiera (le sue reliquie sono esposte nella parrocchiale di Morbegno) – Le cappelle di sinistra sono da datare tutte tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento (quella del S. Vincenzo è curiosamente del 1492, anno in cui Colombo scoprì l’America); a destra, la parte che presenta un sacco di emergenze anche addirittura dell’antica chiesa di S. Marta, troviamo S. Antonio abate, S. Martino, S. Domenico e S. M. Maddalena. 

Dalla chiesa si accede al chiostro Nord del 1485, seguito dal Sud del 1514 (costruito come spazio accessorio, in uno stile più “spensierato”).

Lo spazio, contraddistinto da una certa essenzialità monastica, si compone di un quadrato di 22 colonne in marmo di Musso che compongono archi arrecanti i colori domenicani (rosso, bianco e nero); sull’ala nord troviamo una meridiana con  la citazione eloquente “sicut umbra vita fugit“.

Appena usciti dalla chiesa ci troviamo in un angolo detto atrio, perché da lì ci entravano i frati. Vincenzo de Barberis, pittore cinquecentesco e maestro di Cipriano Valorsa, ci lascia due dipinti datati 1576, con una coloristica vivace inconfondibile e che riprendono gli stessi due temi delle lunette in facciata.

Quasi tutte le pareti del chiostro sono ricoperte da riquadri inerenti la vita e i miracoli di San Domenico, sempre in stile cinquecentesco, accompagnati da didascalie in rima in lingua volgare. Sulla parete nord troviamo un’interessante affresco seicentesco che riguarda la legittimazione dell’ordine domenicano da parte dei SS. Pietro e Paolo, patroni di Morbegno.

La visita si conclude nel Capitolo (stanza riservata alle riunioni e al Tribunale dell’Inquisizione) e nel Refettorio, ambi i due decorati con interessanti declinazioni del tema della Crocifissione con i Santi.

collage

E’ molto difficile riassumere in un singolo post tutto quello che conosco e amo di questo meraviglioso luogo d’arte che, più che una lettura, meriterebbe una passeggiata in loco (magari con me) !!!

Spero, comunque, di aver destato il vostro interesse!!! 

❤ Miss Raincoat