Ourense

Le fughe di Miss Raincoat: Gennaio 2023

📍OURENSE
Galizia, Spagna


Come arrivare


🚩Aereo: Milano ➡ Madrid Barajas (durata 2h36min) * compagnie per diretti: Iberia, Ryanair
➡ dal terminal T4 treno (RENFE C1) * ogni 30 min (Aeroporto — Principe Pio (fino alle 22:30) ; Principe Pio — Aeroporto ( fino alle 23:30)
➡scendere a Stazione Chamartìn (*durata 11 min)
➡treno ALVIA (lunga percorrenza di RENFE) per Ourense-Empalme (durata 2h45min)🚆
🚩Indirizzo Stazione: Praza Da Estacion
@inordeturismo

Dove ho alloggiato


🏨Hotel Princess – la posizione è eccellente. Si trova a 1,4 km dalla Stazione (si prende Avenida da Caldas, si attraversa il Ponte Romano e dopo una rotonda si è già arrivati). Con un supplemento di 4,50 € si ha anche la colazione. Il centro della cittadina (molto compatto, è tutto insieme da vedere) è a meno di un chilometro, anche se alcune vie sono leggermente in salita (ma non come a Lisbona, eh!). Rua Do Progreso, la via principale, porta dappertutto perciò è un ottimo punto di riferimento, ricordiamocela!


⛵ Facciamo i Turisti

Ourense (da pronunciarsi con la s tendente alla t, per sentirsi figamente ispanici e mucho calienti) è una città termale sul fiume Rio Miño. Per certi versi, una Morbegno (vedi il ponte Romano, simile a Ganda ma più graaaaande) con le terme, che qui sono dette burgas. Di fatto, il toponimo viene da urientes,ossia “ustionante”, in riferimento alla temperatura delle acque che arriva fino a 60°C. As Burgas, le terme cittadine, non sono più in funzione per motivi burocratici quasi all’italiana, perciò bisogna puntare su quelle in periferia, nella zona verde per capirci. Si possono anche raggiungere a piedi o in bici perché il fiume al lato a una ciclabile simile al Sentiero Valtellina, ma esiste anche un trenino che conosceremo tra poco. Siamo anche nelle zone del Cammino di Santiago (in effetti sotto i nostri piedi troviamo spesso delle mattonelle con la conchiglia. Tante strade e stradine sono in salita e hanno le scale, perciò nutritevi bene (*vedi il capitolo dedicato sotto). Temperature di gennaio: circa quindici durante il giorno, ma comunque non va mai sotto zero. La paragonerei a Roma come temperature invernali. Abbastanza piovosino o velato. Beh, niente in confronto agli inverni alpini.Se volete sfoderare il vostro spagnolo, ricordatevi anche che la Galizia ha uno spagnolo tipico della zona perché gode di autonomia culturale e, quindi, politica.


📸 Cosa posto su Instagram?

Ponte Romano detto Ponte Vella (cioé Vecchio) – In effetti, sta lì dai tempi di Augusto, anche se è stato ricostruito varie volte.

Cattedrale di San Martino in Praza do Trigo – Imita quella di Santiago e, infatti, ha uno stampo molto Medievale. Molto wow, nel senso che c’è molto oro e le statue sono davvero molto drammatiche (e anche le tombe in pietra). E’ una di quelle chiese in cui ci entri con una certa riverenza anche se sei ateo. Assolutamente particolare il nartece, detto Portico del Paraiso con le statue dei Profeti (giuro che non ho urlato Batman,forse. Anche perché questo Daniele è l’unico senza barba, per i suoi motivi iconografici di gioventù). Molto bella anche la scalinata fuori e la cupola ottagonale sia da fuori (domina lo skyline) e sia da dentro per l’aspetto luministico, dato che il soffitto è molto alto. Ha anche un museo installato nel chiostro con tanti oggettini devozionali, tra i quali mi sono piaciuti quelli in porcellana di Limoges (il giusto kitsch che si perdona solo a certi ex voto,no?).

Praza do Ferro perchè non è una piazza, bensì un incrocio a triangolo con una bella fontana (ovviamente ce ne sono tante on città, per celebrare la magia dell’acqua calda) e la Casa do Bòan (che sono tipo i Malacrida di Ourense, ossia la famiglia più storicamente famosa).

I Parchi – I miei preferiti sono Xardin do Padre Feijoo e il Parque de San Làzaro (tra i palazzi all’angolo: la statua A Castañeira, per celebrare la raccolta delle castagne tipo a Rodolo). In quest’ultimo parco possiamo trovare, oltre a una fontana – manco a dirlo – una statua con un Angelo Caduto, ovviamente lì dirimpetto al Palazzo del Governo per ricordare la ribellione e l’indipendenza della Galizia.

Praza Dos Suaves – A parte che è una figata celebrare un gruppo rock con una piazza. Comunqu,e le placche con la toponomastica son già un’opera d’arte a sè e tutte le vie e le piazze ne hanno una. Inoltre, in tutto il centro storico ci sono cartine.

Praza de San Cosmede – che prende il nome dalla chiesetta, ma qui ci possiamo rendere conto che la cittadina ha anche validi esempi di street art, qui tutti i murales (a parte quelli che parlano dei mestieri delle mamme degli altri o male delle squadre di calcio tipo il Celta Vigo) inneggiano la lotta d’indipendenza della Galizia.

Praza Maior – con il Municipio e l’Igrexa Santa Maria Nai, anche questa conla scalinata. Vicino, nella zona pedonale e in mezzo a tanti bei palazzi decorati, troviamo l’ex bottega di alcool, Café Victoria con una vetrina che ci riporta a un secolo fa (in Avenida de Pontevedra).

As Burgas – erano le terme cittadine e gratuite. Oggi si possono vedere solo la fontana de la Burga de Arriba e i giardini della Burga de Abajo. La vasca è vuota 😦

Le Terme – Io ho scelto A Chavasqueira (che in galiziano significa fucina, se non sbaglio. Non ho capito se è per le acque ferruginose (?)). Dista circa due chilometri dal mio albergo. Inoltre, l’ho scelta perché ha anche un percorso zen-jappo e un sushi bar. Arrivandoci, si può vedere anche il Ponte del Milenio che è una struttura magnificente. Le terme sono aperte dalle 10 alle 20 e costano qualcosa come 4,00 €. Se si vuole, si possono raggiungere tramite il Tren de las Termas. Si tratta di un trenino turistico (l’unico mezzo che può attraversare il Ponte Romano). Parte da Plaza Major (dall’angolo con Avenida de Pontevedra) e passa ogni 40 min dalle 10 alle 20, fermandosi in tutti gli stabilimenti. Costa 0,85 cent che vengono pagati al conducente. Si ferma anche al Parque San Lazaro e al Ponte Romano (ambo le estremità).

🍲 Riempiamo il Pancino

Pulpo a Feira – Letteralmente è “il polpo della festa”, poiché è lo street food tipico delle fiere, ma il Natale quando arriva arriva e perchè non gustarsi questo polpo cotto e condito con sale, paprika e olio accompagnato con le cachelos, patate bollite, cipolle o grelos (cime di rapa).

Empanadas – vero, si mangiano in tutta la Spagna, ma i Galiziani dicono che le hanno inventate loro. Per chi non lo sapesse sono tipo dei fagottini di pasta sfoglia e in quelli galiziani c’è dentro tanto di tutto, come carne, verdure, il frigorifero… A me piacciono quelle con il pino de mariscos (ripieno di frutti di mare).

Churrascos – spiedini di carne marinata, cotti alla brace

Mariscadas – Ovviamente è il luogo migliore per gustarsi i frutti di mare dell’Atlantico.

Come dolcetto io voto per le filloas, che sono crespelle con crema di castagne (che sono tipiche di queste zone) anche se, per la sua semplicità, vorrei fare sempre colazione con la Torta Santiago, realizzata solo con farina di mandorle e uova. Sopra è decorata con lo zucchero a velo per ricreare la croce di Santiago.

Tapas – altro motivo per cui amo la Spagna perché è il loro modo di fare aperitivo con questi piattoni di roba buona, diversi in ogni regione. Qui si trovano i ciccioli, frittate di patate e i pimiento del Padròn. Sono dei peperoni tipo friggitelli però alcuni sono piccanti e altri no, quindi bisogna affidarsi alla sorte (se non sei calabrese)

🥂 Moriremo ma non di Sete

Assolutamente non lasciare la Galizia senza aver bevuto un vino della Rias Baixas, praticamente vigneti di Albariño beati sulla costa atlantica della Galizia. Un vino bianco fermo di 12%VOL molto fresco, speziato (tipo coriandolo, più spicy rispetto a un agrume cioè) e con il finale amaro, come la mandorla.

Birra Estrella Galicia prodotta a La Couruña.

Gin Nordés prodotto in Galizia (anche se si trova molto il Beefeater, inglese). Con il Nordés, si fa un cocktail con il vino di Albariño e acqua tonica + uno spiedino d’uva – il Nordesiño. Ho visto che ne esiste una bottiglia edizione limitata 2022 per l’Anno del Cammino (di Santiago).

Miss Raincoat

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Due Cose Nuove

In questo periodo di novità e tragedie mi viene solo voglia di cose semplici, come un bicchiere pieno da svuotare in compagnia #fatelamorenonfatelaguerra

Una Birra

Il Birrificio è Brewdog nato in Scozia (e dal 2012 trasferito ad Ellon, nel New England) dalla mente di due amici ventenni stufi delle birre mainstream. Oggi questo birrificio è il più innovativo, irriverente, provocatore – e quindi più criticato – sulla scena europea. Per chi ne conosce la storia, la birra dei Pinguini Tattici Nucleari porta questa etichetta. Sapete già che io adoro le IPA (che non sono le birre dei fighetti. Oppure sì, ma poco m’importa) e aprendo una delle loro bottiglie ne ho trovato la mia Regina. Si chiama Hazy Jane. Si tratta di una Indian Pale Ale di 5.0 % vol., dal colore dorato chiaro tendente all’opaco. Molto succosa, sa di frutti esotici come mang, senza perdere l’amarognolo tipico delle IPA. Adoro anche il suo nome. “Hazy Jane” si può tradurre con “Giovanna la Pazza” (storica regina spagnola considerata matta perché anticonformista); “Hazy” è inoltre un termine attribuibile ad alcune IPA – significa che hanno un processo di dry hopping: ossia, dopo la bollitura, viene inserito ulteriore luppolo a freddo (questo conferisce un sapore più fresco alla birra).

Un Vino

Qualche settimana fa (oddio, non mi ricordo più quanto tempo fa, scusatemi per la demenza senile), cercavo un rosso da abbinare con il difficilissimo zafferano. Sì, lo so che con tale spezia (non so se si può definire così, dato che è un fiorellino) ci andrebbero bianchi aromatici, come il Gewürztraminer per antonomasia… Però, non avevo tempo di controbattere e – diciamocelo – volevo vincere la sfida!!! Ho pensato alla simile complessità dello speck e sono andata, così, a pescare in Alto Adige… Questo vino è lo Schiava di Santa Maddalena. Un rosso molto tendente al nero, con tannino moderato e gusto pieno di violetta, frutti di bosco + retrogusto di mandorla. Con lo zafferano non c’entra una pippa, forse, ma mi sono innamorata di un rosso che, tra le cose, soddisfa tutte le mie aspettative (io con i rossi sono poco inclusiva, lo ammetto).

*Bevi responsabile e fai tutte le cose che ti direbbe tua mamma!!!*

Miss Raincoat

Ti leggo una Ricetta

Taroz della Valtellina

La mia nuova ossessione culinaria? Il mio nuovo comfort food? I Taroz.

I Taròz (ma si può dire anche il Taròz) sono un piatto tipico della tradizione valtellinese. Sul web si può trovare la qualunque. Tipo: che sono un piatto unico. Macché, sono un antipasto e, a veder bene, il piatto più leggero della cucina del contadino vallivo (beh, dopo la bresaola).

Taroz è una parola dialettale che significa Mescolare. Gli ingredienti sono: patate e fagiolini cornetti lessati e schiacchiati grossolanamente con un cucchiaio al quale, sul fuoco, si mescolano burro fuso con cipolla e formaggio Valtellina Casera. I più golosi ci aggiungono la pancetta. Io ho il vezzo di passarli al forno per formare la crosticina. Comunque, il risultato, è una purea grossolana cremosa e filante che costa ben 490 kcal alla porzione. Eh, vabbeh!

Che ci beviamo su?

Un vino locale DOP – Nove di Franzina

Un rosso di Valtellina dei tipici terrazzamenti di Buglio in Monte. Un vino strutturato, pulito e tanninico. Note di fico in entrata, che sfumano in prugna e ciliegia. 12% VOL

Una birra locale artigianale – ValtellIPA di Birrificio Valtellinese di Berbenno

Una IPA color giallo oro. Secca, fruttata, generosamente luppolata (amara). 5,7% VOL

Miss Raincoat

Cronache dal Bancone

Come sono passata dallo Spritz al Negroni

Primo di giugno. Ergo, si può tornare a varcare la porta dei bar e dei ristoranti. Ma non si può dire che quest’anno la giacca di pelle non sia servita a nulla.

Comunque, veniamo al dunque. Ebbene sì, dopo l’amore giovanile per il Mojito, la lunga storia con lo Spritz è arrivato quello giusto. Il Negroni.

Motivo? Bah, improvvisamente lo Spritz mi è sembrato un po’ stucchevole….

Un po’ di storia

L’aperitivo è un rito inventato in Italia, precisamente a Torino, dove, a fine Settecento, si stimolava l’appetito prima di cena con un drink e degli stuzzichini. Quindi, è una parola intraducibile in altre lingue. Si beveva il vermouth, poi commercializzato e battezzato da Martini. Oggi si beve un po’ di tutto in questa fase oraria, lager e ipa tra le birre, vini spumanti o secchi di vario colore, cocktail più o meno amari o aciduli. E non permettetevi nemmeno di dire “apericena” (che è l’equivalente enogastronomico dello “scopamico”, ma come diavolo parlate???) . Mia nonna ripeteva sempre “se non mangi muori”, quindi…

Lo Spritz nasce in quel clima un po’ da spogliatoio delle truppe austriache di stanza nel Lombardo-Veneto che, non abituate all’alta gradazione dei vini locali (tipo il Friulano già Tokaij), tendevano a fare una cosa che in tedesco si dice “spritzen”, ossia allungarlo con l’acqua frizzante. L’invenzione del cocktail, però, si colloca dopo il 1919, anno di nascita dell’Aperol a Padova. Lo Spritz, aperitivo arancione per eccellenza, ha pochi ingredienti: prosecco, selz, Aperol e mezza fetta di arancia. Il suo bicchiere d’origine era il tumbler basso (detto old fashioned), ma dal 2015 fa più fico usare lo stelo. Dato che Aperol viene commercializzato da Campari (che invece parla milanese), per chi lo preferisce rosso si fa uno strappo alla regola.

La differenza tra Aperol e Campari? In realtà, sono tutti e due la parte amara (bitter) del cocktail. La ricette di entrambi sono segretissime come quella della Coca Cola e della Bresaola. Quella dell’Aperol prevede l’infusione in alcool di arancia, rabarbaro e altre erbe e radici (11% VOL). Il Campari, invece, prevede sempre l’infusione in alcool di chinotto, cascarilla (una pianta tropicale pure antidiarrioca), erbe amaricanti varie + cocciniglia come colorante (25% VOL). Quindi, la scelta rimane sostanzialmente sulla cromia o sulla geografia, se non fosse che il Campari è un pelino più amaro e sicuramente più forte.

Ed ecco che, passando per Milano e per il Campari, arriviamo al Negroni. Proprio a Milano, nel bar Gaspare Campari, era stato inventato l’Americano, un cocktail a base di Campari, vermouth rosso e seltz – appunto amato dai turisti statunitensi e da James Bond. Nel 1920, il conte Camillo Negroni, chiese al suo barista di fiducia di Firenze di sostituire il seltz con il gin, in memoria di un suo viaggio sesso-droga-rock’n’roll a Londra. Nasce così il mio nuovo cocktail preferito, un mix di gin, Campari e vermouth rosso con mezza fetta di arancia. Si beve rigorosamente on the rocks (con giù il ghiaccio), in un tumbler basso e senza cannuccia (poi qualcuno mi spiegherà a cosa servono due cannucce nei cocktails…). Esiste anche il Negroni Sbagliato, che sostituisce il gin con lo spumante brut.

La conclusione

Mi sono buttata sull’alcool? Ma no. C’è da dire che il vermouth e il gin sono due elementi affascinanti da capire.

Il gin si ottiene da una fermentazione di cereali o patate per distillazione, alla quale viene aggiunta in macerazione una miscela di erbe o radici o spezie, tra le quali il ginepro.

Il vermouth, vino aromatizzato nato a Torino, prende il nome dal lemma tedesco con il quale si indica l’artemisia (anche se il vermouth può essere anche aromatizzato con l’assenzio). Oltre a questo aroma, che deve essere presente per legge, si può avere il sentore di, per esempio, camomilla, garofano, sambuco, zafferano, anice, vaniglia, melograno, etc…

Per quanto riguarda il gin ne ho scovato uno molto vicino alla mia valle, che è il Gin Rivo prodotto con erbe e fiori dei prati sul Lago di Como da Magi Spirits a Cermenate (CO). Il suo sapore è molto balsamico, sfuma in un finale lungo di melissa, timo e frutti di sottobosco

Per quanto riguarda il vermouth, al di là del tradizionale Punt e Mes reso celebre da Giovanni Agnelli, punterei su un Bérto Rosso da Travail. La distilleria è la Quaglia di Asti, sulle colline dei grandi vini ottenuti dalle uve moscato. Il colore rosso carico non tradisce le aspettative: sa di agrumi, di spezie e il suo sapore è molto persistente.

@ Liberty – Sondrio

Miss Raincoat

(!) Bevi responsabile. Se guidi non bere. Mangia, prega, ama. Troppo fa male anche il pancotto. E tutte le cose che ti direbbe anche Mammà.

Ti leggo un Menù

Orterie @ Stazzona / Villa di Tirano

Avevo già sentito parlare di questo posticino, però non l’avevo mai visitato in quanto – ahimé – sono un’amante ignorante della grigliata mista. Orterie è un posto dove sperimentare qualcosa di diverso. Si definisce una trattoria in quanto i proprietari hanno voluto fondere la cultura culinaria giapponese alla conoscenza vitivinicola locale, creando un ristorante vegano d’eccellenza dove i piatti proposti non solo inneggiano i sapori valtellinesi, ma li vanno anche a cercare nell’orto appena fuori al locale. Rye, del resto, è il nome della cheffa che ha saputo tradurre il suo estro e la sua esperienza in un locale che non ha eguali in tutta la valle e non è, nella definizione tipica, una trattoria. Io ringrazio Franco Bavo dell’Istituto Saraceno – Romegialli per il pranzo in catering presso il chiostro sud del Sant’Antonio di Morbegno, siccome mi ha permesso di scoprire questo luogo da pagana: mi sono ricreduta, anche noi onnivori possiamo saziarci e viziarci con le verdure.

I menù di Orterie, appunto, sono stagionali. Io ho avuto modo di assaggiare la Primavera con una vellutata di piselli, una bento box (tradotta per noi lombardi è la schiscèta, il pranzo portato da casa nel tupperware) in stile “gozen” (in giapponese è il cibo del re e, in pratica, sono dei piccoli assaggi serviti su un vassoio – qui c’erano, per esempio, il riso con la salsa cocktail, degli spaghetti di fave, le rape, insalata di grano saraceno (tipico della Valtellina) uovo sodo, i tàroz (*) ) e uno strudel alle ciliegie. Al ristorante questo menù è detto “dònguri” (ghianda), simbolo di ospitalità.

(*) tàroz (plurale, si dice “i taròz”) = piatto tipico valtellinese, forse il più “leggero”. Un puré di patate con fagiolini (i cosiddetti cornetti) conditi con burro fuso e formaggio Casera.

Per quanto riguarda la carta dei vini, la Casa consiglia: Champagne, Ribolla, Metodo Ancestrale, Riesling o un classico Rosso di Valtellina. Trovo molto interessante, se dovessi dire la mia, il Metodo Ancestrale (loro servono uno Zero Infinito P&S). Per farla breve, è una via di mezzo tra un metodo charmat (fermentazione in autoclave) e un metodo classico (fermentazione in bottiglia); insomma, si pigiano leggermente le uve in modo da fare uscire i lieviti e poi si fa fermentare il vino in acciaio inox. Nel caso di questa specifica bottiglia, il risultato è un prodotto frizzante ma non troppo, con un sapore molto rotondo e fruttato, io sento le mele Golden del suo Trentino di origine. In Borgogna lo chiamavano “guinguet” nel Cinquecento, un vino che faceva fare follie.

Miss Raincoat

Follie di Primavera grazie a Orterie 😛

Ti leggo un Menù

Introduzione

Oggi voglio inaugurare un nuovo capitolo del blog degli Unicorni Perturbati, in cui parlerò dei posti dove si può mangiare a Casa Mia, la provincia più a nord della Lombardia. Essendo anche un’avida lettrice, vi voglio mostrare come mi approccio a uno dei miei generi letterari preferiti, il menù – o, detto volgarmente all’italiana, la carta. Infatti, si dice “mangiare alla carta”.

Per prima cosa dobbiamo imparare a riconoscere una carta buona da una carta straccia, da lanciare dietro ai poveri camerieri che non c’entrano nulla. Il menù è la prima pietanza o bevanda che assaggiamo mentalmente di un locale. Ossia, ci risponde a tre domande: 1) cosa sono venut* qui a fare? 2) cosa mi fa venire appetito? 3) voglio consumare dell’altro?

Un buon menù può essere letto in tre minuti (come cantava Giuliano dei Negramaro), quindi ha circa trenta elementi da proporci. Se l’oste ha fatto bene i suoi conti, i prezzi sono messi in ordine decrescente. Guai (legali) per chi non inserisce la pagina degli allergeni, crudi e surgelati.

Un bel menù non trascura l’estetica. La copertina non dovrebbe essere anonima e dovrebbe riportare il nome del locale o il logo (io una volta sono stata in un posto in cui sulla copertina c’era scritto Menù in cirillico, qui in Italia). Il materiale si presenta vario, a seconda del target e del concept: pelle, plastica, cartoncino e anche legno. Le pagine sono solitamente in carta opaca patinata (i menù plastificati sono utilizzati perché sono facilmente sanificabili, non perché piacciano alla vista – ma ahimé sono tempi duri!). I caratteri sono leggibili e mai più di due, così come i colori. Il testo viene impaginato al centro con ampi margini e interlinee su fogli A4 o su 10×30 per i bar. Il menù, quindi, è leggibile e pulito. Sono accettabili i menù scritti a mano, ma in bella calligrafia.

I “titoli” delle pagine (p.e. Primi Piatti) seguono tre filoni filosofici: l’articolo determinativo (I Primi Piatti), l’aggettivo possessivo (I nostri Primi Piatti) o i puntini di sospensione (Per primo piatto…).

Sotto al nome della pietanza va messa una breve descrizione (breve, perché alle domande risponde il personale e il cliente ha fame/sete/gli scappa/fretta/deve flirtare) con la lista precisa degli ingredienti, cotture e tecniche. Si può scrivere se è un piatto della tradizione, da dove arrivano gli ingredienti, parole dialettali con traduzione. Sono molto gradite le parole, sempre se oneste, come biologico, fatto in casa, fresco, di giornata, chilometri zero. Attenzione agli errori di ortografia e grammatica. Le maiuscole si possono usare per rendere il menù più accattivante, ma senza abusi. Il menù deve essere ben conosciuto dal personale, magari anche assaggiato se possibile.

Le sezioni del Menù Ristorante seguono quest’ordine: Specialità della Casa, Antipasti, Primi, Secondi, Dessert, Proposte Bambini, Menù del Giorno (a parte)

Le sezioni del Menù Pizzeria seguono quest’ordine: Rosse, Bianche, Speciali (gourmet, fritte, integrali…), Dessert

Le sezioni del Menù Bar seguono quest’ordine: Cocktails (con ingredienti; facoltativa divisione in apertivo, longdrink, analcolico, afterdinner…), Vini, Birre, Superalcolici, Tavola Calda, Pasticceria, Gelateria, Bibite, Caffetteria

La carta delle bevande alcoliche è spesso a parte. Segue quest’ordine: vino, birra, distillati, liquori e grappe. Nella descrizione si trovano nome, cantina o provenienza geografica, anno e gradi. Una buona carta ha 70% di prodotti locali, 20% di proposte extrageografiche principali e 10% tra proposte particolari o di “gradi moderati”.

Generalmente, le sezioni del Vino sono divise in Bollicine, Rossi, Bianchi, Rosé, Da Dessert/Passiti. Le sezioni della Birra sono divise in a) Bianche, Bionde, Ambrate o Scure o b) per Stile (Ale, Lager, Weiss, Trappista, Ipa e Stout)

Spero di avervi ben iniziato alla lettura 🙂

Miss Raincoat

Cronache dal Bancone

Vini Bianchi di Valtellina

Siamo abituati a conoscere la Valtellina per il suo vino Valtellina Superiore DOCG, un rosso fermo, realizzato con minimo 90% di uve Nebbiolo (che locamente viene chiamato Chiavennasca, ossia “più vinoso”) e con minimo 12% VOL. Questo vino, che invecchia 24 mesi in botti di rovere (o 36 in caso di Riserva), nasce tra Buglio in Monte e Tirano, acquisendo anche il nome delle sottozone (Maroggia, Sassella, Grumello, Valgella e Inferno). Inoltre, i più informati, sanno che in Valle si produce anche lo Sforzato DOCG, un passito rosso secco con 14% VOL, lasciato 3 mesi sui graticci e invecchiato in botte per altri 20 mesi. Eppure, tutta la costiera delle Alpi Retiche della Provincia di Sondrio è foderata dalla monumentale ed eroica presenza dei muretti a secco che terrazzano gli impervi ma soleggiati speroni rocciosi dove cresce la vite da secoli. Il terreno, in prevalenza sabbioso o ciottoloso (roccia granitica sfaldata), in alcune zone anche povero di calcare, ripaga con una vendemmia che si può verificare da metà settembre a metà ottobre. Quindi, tutti i vitigni idonei del territorio sondriese possono essere inseriti nel marchio Alpi Retiche IGT (un tempo era Terrazze Retiche), che abbraccia varie tipologie di vino – tra i quali i famosi bianchi da nero.

Oggi andremo a conoscere quattro vini bianchi che ho conosciuto nel percorso Vini a Palazzo durante la manifestazione Degusta Morbegno.

ROSE’ CASA VINICOLA BETTINI (San Giacomo di Teglio)

è uno spumante (perlage: continuo e minuto; spuma: fine e abbondante) brut (secco), rosé (colore: rosa pallido) e metodo classico o champenoise (rifermenta in bottiglia tramite dei lieviti detti liqueur de tirage). Il profumo è intenso; il sapore è vivace, fragrante e leggermente aspro. L’abbinamento consigliato è l’aperitivo, un brindisi oppure un antipasto di pesce/crostacei. Qui abbinato con caprino con timo, olio e pepe.

12% VOL. – servito a 8/10°C – costo medio di una standard 13,00 €

  • uve – 100% Chiavennasca (Nebbiolo)

VILLA QUADRIO CASA VINICOLA BALGERA (Chiuro)

è uno spumante (perlage: persistente e minuto; spuma: fine e abbondante), brut (secco), bianco (colore: giallo paglierino tenue) e metodo charmat (rifermenta un un grande recipiente chiuso, detto autoclave per 9 mesi). Il profumo è intenso e fruttato; il sapore, molto fine, ha una buona struttura sebbene molto fresco. L’abbinamento consigliato è l’aperitivo o pesce in generale. Qui abbinato con lardo nostrano e miele di castagno.

12% VOL. – servito a 6/8°C – costo medio di una standard 20,00 €

  • uve – 70% Chiavennasca (Nebbiolo); 30% Chardonnay

OPERA CASA VINICOLA MAMETE PREVOSTINI (Mese) *l’etichetta ospita ogni anno un artista valtellinese, il 2019 è la volta di Elena Pontiggia

è un vino bianco (colore: giallo paglierino brillante) fermo. Vinifica fermentando in acciaio inox e affinandosi 5 mesi in fusti di rovere. Il profumo è fresco ed equilibrato; il sapore ha note di frutta matura come mela ed albicocca. L’abbinamento consigliato è l’aperitivo, secondi di carne o pesce e formaggi poco stagionati. Qui abbinato con Crotto stagionato e marmellata di mirtilli. * Il Crotto è un formaggio vaccino semiduro con gusto deciso, il quale matura nei tipici crotti della Valchiavenna (grotte con ventilazione costante).

13% VOL. – servito a 8/10°C – costo medio di una standard 18,00 €

  • uve – 30% Chardonnay, 10% Sauvignon, 5% Pinot Bianco; 5% Incrocio Manzoni (Riesling + Pinot Bianco) nella zona di Postalesio

CA’ BRIONE CASA VINICOLA NINO NEGRI (Chiuro)

è un vino bianco (colore: giallo paglierino) fermo. Vinifica con un leggero appassimento di 15 giorni, fermentando e affinandosi in piccole botti di rovere. Il profumo è floreale e tende al sambuco; il sapore ha note di frutta come pesca, pera e melone. L’abbinamento consigliato è un primo di terra in bianco, un secondo di pesce/crostacei o un formaggio fresco. Qui abbinato con un Casera 300 giorni e la Bisciola. * Il Casera è un formaggio vaccino realizzato con latte parzialmente scremato e con un sapore più dolce del Bitto, tendente alla frutta secca; la Bisciola è un pane nero con frutta secca e uvetta, un dolce poco dolce.

13% VOL. – servito a 10/12°C – costo medio di una standard 27,00 €

  • uve: 45% Sauvignon; 30% Chardonnay; 15% Incrocio Manzoni (Riesling + Pinot Bianco); 10% Chiavennasca (Nebbiolo) nella zona di Chiuro, Teglio e Tresivio

La mia classifica: 1. Opera – 2. Villa Quadrio – 3. Cà Brione – 4. Spumante Rosé Bettini

Miss Raincoat

“Non esiste un vino buono, esiste solo un vino che ti piace”

Un ringraziamento speciale per gli insegnamenti di mangia&bevi (bene) ai sommeliers Alessandro ed Elia dell’AIS di Sondrio 🙂

Cronache dal Bancone

Questa settimana inauguriamo un nuovo filone di post…

Da molto tempo, il mio amico di bisbocce Herr BIC ed io pensavamo di raccogliere le nostre impressioni enogastronomiche raccolte in anni e anni di pianti sulla bilancia o running del giorno dopo.

Abbiamo imparato tante cose sulla cucina, sul vino e anche sulla meno acclamata birra – un po’ leggendole e un po’ sul campo. Ci è venuto in mente di raccontarvele in una maniera un po’ bislacca, senza tanti paroloni o giri di parole – così che le possiate capire tutti e capire cosa state mettendo nel vostro pancino. Non siamo sommeliers o degustatori, solo gente alla quale piace avere le posate e il bicchiere a portata di mano.Poi, ci improvvisiamo un po’ gli Alessandro Borghese dei poracci per darci una certa aria… 😛

Io , spesso, mi ricordo i luoghi per come ho mangiato e bevuto. Questo perché, anche da guida, so che l’enogastronomia non solo è arte, ma è anche un buon modo – un linguaggio quasi universale – con il quale raccontare i luoghi, un popolo nasce dalla trasformazione creativa di ingredienti conosciuti profondamente. Mi piace fare convivio, vivere insieme la gioia della tavola con le persone che amiamo. Non amo molto cucinare, purtroppo – ma se lo faccio mi piace farlo bene, secondo regole e comandamenti.Se vado a mangiare fuori leggo bene il menu – tant’è che poi lo riesco a ripetere a memoria agli altri mangiatori di patate (qui ho citato Van Gogh). Io, personalmente, guardo i dolci prima di tutto. In questo periodo, comunque, ordino spesso primi, nella fattispecie i ravioli ripieni.

Il bancone, invece, è una prerogativa di BIC. Io se bevo e mangio da sola mi intristisco. Se sono casa da sola scongelo i surgelati o metto un petto di pollo nella piastra, per dire 🙂 BIC ci va anche da solo e non perché sia un asociale (dacché poi una volta lì ci delizia con le fotografie su Whatsapp). Ci va quando un posto è nuovo e vuole ben ponderarlo. Ci va per parlare con gli sconosciuti. Oppure, se è il suo bar di fiducia, ci va per parlare con il suo oste preferito che sa già cosa mettergli davanti o cosa fargli assaggiare. Pare che il bancone sia il centro della vita di un locale e non il tavolo dove le ragazze con il grilletto facile stanno giulivamente facendo il bagno nel Malibù Cola (cito questo perché è il cocktail che amo meno). Al bancone vedi tutto ciò che ordinano gli altri, ascolti aneddoti, guardi il barista come prepara il tuo drink. Pare che il bancone sia per i veri intenditori!!!

Il prossimo mese partiremo con questa libagione virtuale….

Miss Raincoat ft. Herr BIC

Schwarzwald (Foresta Nera)

Siamo nel Land del Baden-Württenberg, in una delle zone climaticamente  ed enogastronomicamente più favorevoli  della Germania, molto vicini sia alla Francia sia alla Svizzera (è chiamata anche la Toscana Tedesca). Qui esiste anche una minoranza linguistico- dialettale detta Schwaben (in italiano “Svevi“), gente che – nell’immaginario collettivo –  è avara e sempliciotta (insomma, i nostri genovesi).

[Qui potete trovare informazioni dettagliate sulla Foresta Nera]

Friburgo in Brisgovia (da non confondere con la cittadina svizzera), gode appieno della sua posizione immersa nelle campagne famose per la produzione vitivinicola (le cosiddette colline del Kaiserstuhlletteralmente “il Trono dell’Imperatore”). Oltre ad avere la vivacità tipica delle città universitarie, è alle porte di Colmar e Strasburgo in Francia e di Basilea in Svizzera.

Dall’Italia, è raggiungibile con i mezzi pubblici portandosi a Chiasso con le Ferrovie Italiane – proseguire fino a Basilea con le Ferrovie Svizzere – arrivando a Friburgo con le Ferrovie Tedesche. Con mezzi propri, il viaggio prevede un itinerario che percorre la Svizzera, toccando Lugano, Lucerna e Basilea (da Sondrio sono 5 ore e 20 ca. di viaggio).

Il monumento più importante di Friburgo è la sua Cattedrale in puro e ricco stile gotico, con i tipici doccioni mostruosi (il portale, oltre che ad essere un capolavoro dell’intaglio del legno, riporta anche le misure che servivano ai mercanti per vendere la merce). Ogni mattina, nella piazza antistante, si può partecipare al coloratissimo Mercato di frutta, fiori, verdura e prodotti regionali. L’altra caratteristica distintiva della cittadina è la presenza delle due porte medievali, la Schwabentor  e la Martinstor (particolare per l’insegna bianca di McDonald’s, che di solito è gialla). Altri edifici da non perdere sono il Zum Roten Bären (uno dei più antichi alberghi tedeschi, in attività ininterrotta dal 1120) e la Haus Zum Wahlfisch (che ospitò Massimiliano I, Erasmo da Rotterdam e alcune riprese di “Suspiria”). Non dimentichiamoci, infine, dei ruscelli che attraversano il centro storico (la leggenda vuole che se ci finisci dentro, a Friburgo troverai la tua dolce metà!!!).

La via dello shopping di Friburgo è la Kaiser-Joseph-Straβe (in gergo chiamata Kajo), un chilometro nel mezzo del centro storico, che ci porta da una porta all’altra. Al lato della Martinstor non si può che fermarsi alla birreria Martins Braü.

Martins Braü non serve solo birre artigianali, ma anche il vino tipico di questa zona e pietanze regionali (come il bratwurst che ho apprezzato molto). La birreria è la Gasthaus (locanda) più antica di Friburgo. Sul sito potete trovare anche il listino.

Ovviamente, qui si può concedersi anche una fetta di Torta della Foresta Nera. La Schwarzwälder Kirschtorte è un dolce a base di ciliege (e non amarene!), pan di spagna, panna montata, cioccolato e bagna di kirsh (brandy di ciliegia). La torta è legata alla tradizione nuziale di piantare un ciliegio, pianta molto diffusa nel Baden.

Io non ho soggiornato in città, ma a Schallstadt (a 10 km e raggiungibile anche in treno da Friburgo). Nella frazione Mengen esiste un albergo immerso nella natura in stile Cappuccetto Rosso che si chiama Allemannenhof, dotato di parcheggio gratuito, winebar, ristorante (possibilità di mezza pensione o di mangiare alla carta), oltre che di un meraviglioso giardino. Il prezzo di una notte in una doppia + colazione sia aggira sui 70 €.

[Tutto quello che potrebbe fare al caso vostro se approdate a Friburgo, comunque, lo trovate qui]

❤ Miss Raincoat