Benjamin Constant (1845-1902) fu un ritrattista francese dell’aristocrazia durante l’Epoca Vittoriana. Fece molto successo poiché si approcciava a qualcosa di stantio come il ritratto in maniera leggera e spigliata. Fu allievo di Alexandre Cabanel e, a sua volta, fu maestro dell’americano CarlFrieseke. Sfortunatamente, muore durante il suo apogeo artistico all’età di cinquantasei anni.
Questo dipinto del 1889 è collocabile nella sua breve ma prolifica parentesi orientalista, ispirato sia da Eugène Delacroix (l’autore de “La Libertà che guida il Popolo”, iconica scena della Rivoluzione) sia dai suoi viaggi in Andalusia e Marocco.
Alla fine dell’Ottocento, molti pittori francesi ed inglesi si sono invaghiti delle atmosfere orientali. Molti di loro non avevano mai messo nemmeno piede fuori dalla vecchia Europa, ma la propaganda delle conquiste coloniali non faceva che accrescere il fascino di quelle terre lontane, dove si viveva senza convenzioni borghesi. Ne emerge un’arte sensuale, affascinante e misteriosa di cui, secondo me, il migliore interprete è Jean Auguste Dominique Ingres con le sue (enormi) odalische. (Non che questa tela sia piccola: misura 157×133 cm!!!)
Non fu l’unico artista a rimanere ammaliato dal mito dell’imperatrice bizantina Teodora. Lui la celebra come donna e imperatrice, ossia senza toglierle né sensualità né dignità. Le mette in capo la corona ma non la veste da imperatrice; la siede in una posa sexy ed elegante.
Il suo particolare approccio religioso, quasi in punta di piedi eppure con passi fermi da uomo, alla sfera femminile lo si deve anche al gineceo in cui è cresciuto. Infatti, siccome orfano, fu allevato dalle due amorevoli zie in quel di Tolosa.
La nostra Teodora sta guardando un combattimento al Colosseo in una posizione privilegiata e non per nulla è spaventata dal combattimento. Fu, infatti, la prima donna “con le palle” ad essere diffamata dai cronisti maschi invidiosi (e che la temevano).
“Sei bella che si balla solo come vuoi tu” – L. Ligabue
All’inizio del 2018, questa enorme tela del 1896 ha destato scandalo, anche se non siamo più in Età Vittoriana. Perché? La MAG (acronimo di Manchester Art Gallery) ha deciso di lasciare uno spazio vuoto al suo posto, per unirsi alla campagna femminista #metoo. Lo staff del Museo voleva soltanto creare un clima di dibattito sul presunto sotto-tema di questa opera, ossia l’ostentazione del corpo femminile come oggetto sessuale. L’idea ha fatto indignare parecchi visitatori che, tramite post sui social e post-it fisici, hanno fatto durare l’iniziativa non più di una settimana. Per molte donne, addirittura, è stata vista come una degenerazione del concetto di femminismo.
Che cosa dovrei pensare guardando quest’opera? Che amo l’Arte? Che amo la pornografia? Che sono complice di uno stupro?
Il mito di Ila e le Ninfe affascinò, per la sua tragicità, vari artisti ottocenteschi di cultura romantica.
Le Naiadi, le ninfe delle acque correnti, si innamorano istantaneamente di Ila, scudiero ed amante di Eracle e quando lo videro chinarsi per bere, lo trascinarono nelle profondità della loro fonte. Di lui si perse ogni traccia: Ila è un ragazzo irretito da un gruppo di ragazze.
La composizione è densa di particolari, soprattutto nelle ninfe attorniate, non a caso, da ninfee. Esse sono sette (il numero di Nettuno, Dio dei Mari). L’acqua è limpida, ma l’alabastro della loro pelle nuda crea un’atmosfera buia e sinistra (e l’inquadratura non fa vedere nemmeno il cielo). Ovviamente i capelli rossi sono simbolo di peccato e seduzione. Nei visi quasi tutti uguali deduciamo che il pittore ha copiato non più di due modelle. Non ci viene fatta vedere chiaramente l’espressione di Ila, però le ninfe sono tutte concentrate, quasi invasate, su di lui.
Waterhouse imitò lo stile dei Preraffaelliti un decennio dopo lo scioglimento del gruppo. I suoi soggetti, comunque, si dividono in quelli di ispirazione classica (come questo) e in quelli di ispirazione arturiana (soprattutto shakespeariani).
Quello che penso io è che la censura non può creare un dibattito. E poi, scusate, ma in questo caso non è Ila – l’uomo mediterraneo vagamente belloccio – ad essere la vittima? Io penso che la violenza possa essere unisex e che debba sempre essere severamente condannata. Detto questo, credo che il povero Waterhouse – come tutti i suoi colleghi Preraffaelliti – amasse e temesse le donne e che, appunto, le venerasse in una maniera quasi reverenziale.
In realtà questa è un’opera che parla del grande potere delle donne. Di poter aver potere con la sensualità, ossia conservando la nostra femminilità (è questo che ci contraddistingue dagli uomini!!!). Non si tratta di identificare le donne come oggetti sessuali – o con la solita metonimia “bella f***” – bensì di metterle al centro del mondo, lì dove è stato portato Ila e lì dove tutto ha inizio (e fine).
❤ Miss Raincoat
Bella come una mattina d’acqua cristallina/ Come una finestra che mi illumina il cuscino/ Calda come il pane/ Ombra sotto un pino/ Mentre t’allontani stai con me forever – Jovanotti
Vittorio Matteo Corcos è un pittore livornese – di origine ebraiche – novecentesco, di stile realista e legato agli ambiti della rivista letteraria fiorentina “Il Marzocco” (come Pascoli e D’Annunzio, per esempio).
I suoi soggetti abitano in un mondo brillante di ritratti femminiliraffinati, ma anche quotidiani. In questo dipinto conosciamo una ragazza comoda su una panchina, dove hanno trovato riposo anche il suo bel cappello di paglia e un’altrettanto bella pila di libri – sono libri sul nuovo genere cool, la Fantascienza (e quel meraviglioso ombrello da passeggio!).
“Sogni“, non a caso, è una delle sue opere più rappresentative. Se ci pensiamo, è la stessa belle époque di Mucha, però in versione tangibile, non è un poster stilizzato. La modella guarda fisso il pittore negli occhi: lo conosce, forse?
In effetti sì. Lei è Elena, figlia dell’amico (scrittore e fumettista)Augusto Vecchi, che i più conosceranno sotto lo pseudonimo di Jack La Bolina. Lei – si vociferava, dacché ai tempi non c’era nemmeno Instagram e la possibilità del selfie bastonato – era l’amante ventenne del pittore quasi quarantenne. Alcuni sostengono che fu un amore settecentesco, fatto di desideri, sospiri, brama e niente più. Qualche like e cuoricino ai selfie 🙂
Così come la sua omonima omerica, Elena fece anche venire fuori un vero putiferio. Questo dipinto fu considerato scandaloso. Le gambe accavallate? Troppo poco decorose per una signorina! E lo sguardo? Troppo provocatore!
Corcos ha utilizzato la figlia del suo amico come simbolo di una società moderna, in cui le donne si stavano emancipando, sognavano un futuro in rosa come i petali sparsi sotto la panchina. Elena non ha bisogno di essere groupie di un pittore, cari amanti del gossip. Lei è una donna divertita, istruita, a tratti inquieta, bella e anche sensualmente libera: una persona che può guardare in faccia gli uomini – e che può anche sfidarli in duelli ben più intelligenti di quelli che si potevano leggere in “Madame Bovary”. Elena è Miss Novecento.
“Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” La Tempesta – W. Shakespeare
Ormai l’avrete capito che i Preraffaelliti mi piacciono assai!!!
Sappiamo che gli artisti della Congregazione dei Preraffaelliti, tra le cose, attingevano dal repertorio degli scenari shakespeariani. Qui ci troviamo nel momento tragico dell’Amleto (ce lo ricordiamo tutti, è quello che parla con il teschio in mano!!!): la sua fidanzata Ofeliasi lascia annegare in un ruscello perché lui la respinge (in realtà si stava solo fingendo pazzo per vendicare la morte del padre).
La tela dalla strana forma smussata (perché studiata per stare dietro alla testiera di un baldacchino, con molta gioia…) fu realizzata in due fasi. Lo sfondo viene dipinto dal vero in campagna, nel Surreypiù precisamente. Ogni pianta dipinta ha un valore simbolico: bisognerebbe essere degli esperti botanici per riconoscere tutte le specie, ma riusciamo sicuramente a distinguere il salice piangente (amore non ricambiato), l’ortica (dolore), le rose (gioventù), le margherite (innocenza), il papavero (morta) e, ovviamente, gli eloquenti non-ti-scordar-di-me. Il soggetto femminile, invece, fu ritratto in studio: per riprodurre fedelmente l’annegamento, il pittore fece rimanere immersa la sua modella in una vasca fino a provocarle la bronchite e dovette anche pagare un indennizzo al padre della ragazza per le cure.
A proposito di questa modella, Lizzie Siddal, figura chiave dell’iconografia preraffaellita e futura moglie di Dante Gabriel Rossetti:ho appena archiviato il libro “Lizzie” di EvaWanjek. Così come viene dipinta, la giovane donna dai fluenti capelli rossi sembrerebbe una vergine eterea, strana solo per la sua connotazione sensuale. Eppure, era una donna difficile, patologicamente depressa e assuefatta dal laudano (era un mix di oppio e alcool, utilizzato come antidolorifico ma evidentemente un narcotico). Fu la compagna di una vita del premier dei Preraffaelliti, abbiamo detto, eppure il loro matrimonio tardò ad arrivare: la Siddal era più povera, più malata e più fedele di lui. Inoltre, dopo le nozze, la fragilità di Lizzie le fa mettere al mondo una bambina morta, uno dei motivi per i quali si suicidò con una dose massiccia appunto di laudano. Nella sua tomba, Dante fece sotterrare tra anche il quaderno con le poesie erotiche che aveva scritto durante la loro longeva e travagliata relazione. Anni dopo, lo stesso Rossetti (che ormai era drogato/alcolizzato), fomentato anche dal suo agente impostore, volle riesumare la raccolta di poesie al fine di pubblicarle. La leggenda vuole che il cadavere di Lizzie fosse ancora bellissimo e che i suoi capelli rossi avessero continuato a crescere…
Che ne sarà di Rossetti? Il libro di poesie è stato pubblicato solo qualche anno fa e noi lo ricordiamo più nel suo essere stato uno straordinario pittore. Da uomo comune, invece, morì solo, folle e disperatamente ancora innamorato di Lizzie.
– Il Racconto d’Inverno di William Shakespeare
“Narciso che arriva dove la Rondine ancora non osa/e resiste in bellezza ai venti di Marzo”
Non vi fate ingannare dal nome, perché questo pittore sessantenne è giapponese solo di retaggio – per quanto abbia passato una parte della sua infanzia in un luogo altrettanto esotico e colorato: le Hawaii.
Così come il conterraneo statunitense Maxfield Parrish (che io amo di un amoreamorevole), nasce come illustratore, per poi capire che la sua vera vocazione è la pittura davanti a Diego Velàsquez, il famoso ritrattista della corte spagnola seicentesca.
I ritratti di Kobayashi rappresentano delle donnein momenti in cui pensano a niente e a tutto. Sono delle femmine irriverenti e schiette, ma mai feroci (in questo mi ricorda un po’ il modo in cui Schiele rappresentava la sua Wally). Kobayashi è accostato dai critici a Degas un po’ per questo: le sue sono istantanee riprese dal buco della serratura (e così come il pittore francese ricava i soggetti da fotografie).
La nostra ragazza d’oro è una giovane donna che vive nei suoi stati mentali, prendendosi una pausa dalle responsabilità della vita adulta. La ragazza d’oro sa ammaestrare gli unicorni e questo, per Kobayashi, pur sempre nipponico, è un sapersi concedere un momento zen alla fine di ogni giornata (lui, di fatto, dipinge sempre durante la notte). Inoltre, tra le righe, il pittore ci dichiara la sua idea di donna: un essere strano, romantico e misterioso. Credo che il titolo dell’opera si rifaccia al Periodo Aureo del collega Gustav Klimt, quello in cui dipingeva Adele Blochbauer su fondo oro in veste di femme fatale.
Eppure, il vero protagonista di questo dipinto è il colore, che l’artista stende tramite pennellate molto dense, però non nervose, prendendosi tutto il tempo che l’Arte richiede. Con la consapevolezza che noi donne siamo pure gli esseri più sfuggenti dell’universo, perciò bisogna cogliere e godersi l’attimo di infinita scioglievolezza (come con gli ovetti della Lindt).
“Once in his life, every man is entitled to fall madly in love with a gorgeous redhead.” – Lucille Ball
Mi è venuta in mente anche questa canzone che s’intitola appunto “Hated Because Of Great Qualities”…
Per parlare del mio dipinto preferito, vorrei raccontare una storia, ossia la storia di quando me lo sono trovato davanti in carne ed ossa (più che altro in tela e olio) la prima volta.
M. ha deciso di farmi lo stesso regalo che si fece Carolina, la sorella di Napoleone Bonaparte: mi ha portato davanti alla Grande Odalisca di Ingres. Qualche metro più avanti la Consacrazione di Napoleone I – nelle pennellate solenni di Jacques-LouisDavid e nelle sue dimensioni piu maestose – provoca la Sindrome di Stendhal a una folla attenta di visitatori. Pero, lui ha voluto che mi fermassi davanti a questa tela di, occhio e croce, un metro di altezza e un metro e mezzo di larghezza.
“Che cosa vedi?”
“Vedo uno stereotipo. Vedo una bella donna, quasi in sovrappeso, messa in mostra passiva per diletto di chi la guarda. Vedo un corpo troppo lungo, sproporzionato, con qualcosa che non so se e una vertebra in più o un dito pigiato dentro la ciccia, un gesto violento del pittore come per dire “Smettila di tirartela e dammi retta, ca**!“. Vedo dei piedi di una donna pigra, che non e mai stata nei campi o nei letti dei potenti, come invece le muse del Caravaggio – che adooooro. Vedo una donna che si sventaglia con le piume di un pavone, è il suo trofeo. Anche se a lei piace scuoiare vivi i lupi”
Vorrei dire questo, ma dico altro. Davanti a lui mi si fonde sempre il cervello e dico solo scemenze, perché mi fa perdere il controllo e riesce difficile concentrarmi. “È meravigliosa, la sua pelle risalta talmente dal fondo nero dell’enormità della sua stanza, che sembra illuminata dall’interno, una lampadina umana!”
“E tu cosa vedi?” gli domando. Lui si sistema con l’indice gli occhiali sul naso, lo fa sempre quando vuole fare il secchione. E a me questo fa impazzire.
“Vedo una donna consapevole di essere bellissima, senza artifici, per questo si torce senza grazia a guardare negli occhi lo spettatore. È nuda, ma non è in posa; è nuda perché è insolente. Un nudo naturale: lei sta a suo agio senza vestiti. Non piange rimorsi. Non ride giuliva. Aspetta e non fa della sua bellezza un vantaggio, perché non ha godimento né nell’essere preda né nell’essere predatrice. Vedo una donna, appunto”
Rido e lui la prende male, pensava di aver detto qualcosa d’intelligente. “E che aspetta? La luna piena?” domando io troppo ad alta voce nel pomeriggio intellettuale del Museo.
Mi prende per mano tra la gente, tanto nella meraviglia dell’arte che ci circonda nessuno se ne accorgerà. Solo io. Che oggi mi pento di aver riso in quel momento irripetibile.
“Davvero non lo capisci? E la versione femminile del David di Michelangelo. Soltanto che il David, sebbene sia aitante e nervoso, è un uomo nudo. Lui e incapace di custodire l’enigma. Lui si mostra tutto, non accavalla le gambe”.
“Ah, allora è questo che cercate voi uomini in una donna? Ho capito tutto, grazie!” gli rispondo, senza voler affrontare discorsi troppo filosofici. Lui ride e abbassa la mano lì dove Ingres ha pigiato il dito sulla tela. Questa volta arrossisco.
Infondo, anche l’Odalisca era soltanto una schiava.
°In lovin’ memory°
❤ Miss Raincoat
Qui la Mini Descrizione Seria (da Wikipedia) : Il dipinto raffigura una donna sdraiata, nuda, di spalle, che volge il viso verso lo spettatore: un’odalisca in un harem nell’atto di agitare un ventaglio di piume di pavone. La donna è adagiata languidamente su un letto di stoffa azzurra, ove sono appoggiati una pelliccia bruna, un cuscino, una coperta gialla, un lenzuolo bianco e dei gioielli; all’estrema destra, vi sono invece un bruciaprofumi e una lunga pipa. Se si esclude il suo turbante, l’odalisca ritratta è completamente nuda e voltata di schiena, e descrive con il proprio corpo una flessuosa mezzaluna rosata; viene ripresa nel momento stesso in cui ruota la testa per osservare lo spettatore. La pelle della figura femminile risalta dal fondo scurissimo della stanza, parzialmente coperto da una tenda azzurra ricamata che tuttavia lascia intravedere il muro di fondo e due grandi bauli. L’opera segue i principi della pittura neoclassica, quali la precisione “classica” della forma, e quelli del manierismo, come dimostrano le dimensioni volutamente sproporzionate del soggetto: le sue anche sono infatti troppo grandi mentre il collo è estremamente lungo. La lunghezza del suo corpo, dovuta all’aggiunta di tre vertebre, rende la figura più voluttuosa e sensuale. Il pittore fu inoltre ispirato agli ideali di perfezione concepiti da Raffaello Sanzio. Nonostante queste premesse, La Grande Odalisca a segnò il primo avvicinamento del pittore al Romanticismo, dal quale riprese il gusto per l’esotico[infatti, le odalische erano vestite nella realtà, ma erano un bel modo per dipingere qualcosa di pop-porno].
Ci sentiamo tutti forti quando siamo amati. Ah, no. Quello è il Magnesio.
Cabanel è un pittore che, mentre tutti si sentivano very cool nel dipingere come gli Impressionisti, continuava a proporre un’ arte fatta di pose divine, vaporose e al contempo pietrificate. Insomma, uno che preferiva una bella foto fatta bene in studio, piuttosto che un selfie fintamente preso all’improvviso. De gustibus.
Però, c’è un bijoux che lui regala all’Arte Accademica, inespressiva ed impomatata: la sensualità. I suoi corpi femminili non sono freddi come il marmo, ma morbidi come la crema (sono perennemente a dieta, scusate la similitudine mangereccia). E il suo successo è stato nel concedersi quest’audacia senza superare i limiti o voler essere scandaloso. Come quegli uomini che certe cose non le raccontano, le fanno e basta.
Ovviamente, l’artista rimane molto fedele ai dettami dell’Arte Accademica in voga nella Parigi del Secondo Impero: composizione studiatissima, tratti precisi, texture levigata e dettagli curati (guardate le stoffe, il pavimento…) . Insomma, questa corrente venne scimmiottata come Art Pompier perché stucchevole come un Malibù Cola. Eppure, non un oggetto sulla tela è sprovvisto di una propria iconografia: il libro è quello galeotto e la spada è quella dell’assassino ancora nascosto dietro ad una tenda spessa. C’è dell’ Impressionismo anche qui, ma l’attimo sfuggente è appesantito dal pathos di un gesto mosso da un sentimento enorme. Forse, è per questo che l’opera non riscosse tanto successo al Salon del 1870, perché, per quanto sia teatrale, porta sul palcoscenico emozioni disdicevoli.
“Amor, che a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte…“, così ce li fa ricordare Dante nel mettere in versi l’impossibilità di esonerarsi dall’amore quando ci prende come l’influenza di febbraio.
Paolo, detto appunto il Bello, era il bellissimo ed elegantissimo cognato di Francesca, già sposata con Gianciotto (anziano, zoppo e rozzo). Mentre i due leggevano le avventure di Lancillotto e Ginevra (che era il Cinquanta Sfumature dei loro tempi) si scambiarono il primo tremante bacio. E finirono uccisi dal marito cornuto che li colse in flagrante. Paolo Malatesta si era sposato con una certa Beatrice, per sancire un’alleanza tra guelfi e ghibellini, benché fosse profondamente invaghito di Francesca Polenta. Lui, infatti, l’aveva dovuta sposare per procura per conto di suo fratello Gianciotto. Rimini, 1285 circa: marito quarantenne uccide nel sonno (con un solo colpo di spada) la moglie ventenne e il fratello trentasettenne, trovati abbracciati nel letto. La Vita in Diretta avrebbe fatto man bassa di share con questo fatto di cronaca nera, veramente accaduto ma censurato dalla Storia 😀
Pare che Beethoven, che tra le cose aveva un buon orecchio ma era sordo, quando compose Per Elisa stesse pensando a Teresa. Non è l’Amore ad essere strano, sono le persone ad esserlo…
“Dreamy days in my room/by your side as we bloom/colors blend and face/in cheerished moments like these”
Questo dipinto, dedicato ad un giugno del tutto rovente, viene considerato il capolavoro di questo artista di Epoca Vittoriana.
** 1895, Museo de Arte a Ponce (Porto Rico)
Il viso della naiade (ninfa delle acque dolci), ritratta mentre dorme, dovrebbe appartenere a Mary Lloyd, figlia di un latifondista in bancarotta e che evitò di apparire nuda nelle opere rese pubbliche. Tuttavia, la riproduzione quanto più naturale (specie del braccio piegato) richiese varie bozze, alcune anche di nudo.
Leighton s’ispirò alla sua statua preferita, “La Notte” di Michelangelo per le Tombe Medicee (di Giuliano de Medici). Qui, però la figura è svincolata dalla solennità tipica dei monumenti funebri.
La Notte è rappresentata come una personificazione femminile, semidistesa e nuda, come le altre statue della serie. Essa ebbe come modello, forse, le rappresentazioni antiche della Leda o di Arianna dormiente. Tra le varie letture iconologiche proposte, si è vista la statua come emblema dell’Aria o dell’Acqua, del temperamento melanconico e della fecondità della notte. Gli attributi sono sparsi attorno alla figura e non come di consueto impugnati. Essi sono la civetta (animale notturno), un mazzo di fiori che forse rappresentano papaveri (sia simbolo di fertilità che di sonnolenza in quanto oppiaceo), e la maschera, che può significare i sogni notturni o la morte, intesa come sonno del corpo in attesa della resurrezione. (Da Wikipedia)
Come in tutte le opere di quest’epoca, il realismo si esprime tramite le textures dei materiali: la trasparenza della stoffa, la perfezione del marmo e la luce del tramonto, scelta per le sue tonalità dorate e preziose.
La protagonista non sta dormendo, ma è pigra, non vuole svegliarsi. Tiene gli occhi chiusi anche se sa che la stiamo guardando. L’oleandro accanto a lei, un fiore nocivo, le ricorda, come un dono galante, che sognare troppo è pericoloso e che morte e sonno sono simili. Così, la tavolozza fluorescente, ci invita a vivere la frivolezza dell’Estate, quando ancora tutto può accadere!
Daniel Maclise, ritrattista ottocentesco, benché lavorò e consacrò il suo operato a Londra, in realtà era nato a Cork, in Irlanda, ed era approdato nella capitale grazie ai suoi risparmi. Non fece fatica a fare successo poiché nei suoi temi storici riusciva a fondere intelletto ed immaginazione.
Questo dipinto ovale presenta i tipici colori del pittore, che definirei metallici, come se il supporto fosse una lamina e non un foglio. La composizione è del tutto occupata da una sirena (senza coda, è una bella donna nuda con la chioma fulva) che si sta trasformando in un’arpa; la metamorfosi non è ancora giunta al termine, infatti le corde dello strumento sono le ciocche di capelli. Tuttavia, questa scena che sembra essere stata strappata da un moderno romanzo fantasy, è politicamente coinvolta nella sanguinosa questione della ricerca dell’identità nazionale irlandese.
L’Arpa, lo sappiamo anche grazie al conio dell’Euro-zona, è il simbolo della Repubblica Irlandese, ricordandone la tradizione dei clan celtici. In ognuno di essi non mancavano degli arpisti che componevano melodie, i planxties, per il Capo o per sua figlia.
Lo sfondo dell’opera con un sole che sorge spazzando via la notte non ha un significato chiaro: non sappiamo se Maclise voglia esprimere la speranza di un futuro migliore o la rassegnazione alla morte, alla luce di Dio.
L’idea dell’iconografia della Sirena che allevia il suo dolore trasformandosi in Arpa, come allegoria dell’Irlanda viene da una poesia di Thomas Moore che, a sua volta, era stato ispirato da un disegno che l’amico Edward Hudson aveva realizzato in carcere. Questi era stato imprigionato poiché aveva fatto parte dei rivoltosi del 1798 e, per mesi, aveva dato voce alla Repubblica d’Irlanda fronteggiando la Monarchia inglese.
“Si crede che quest’Arpa che ora sto rievocando per voi/ fu una Sirena dei tempi antichi che cantava in fondo del mare/ e che spesso, alla sera, riemergeva dalle acque sfavillanti/ per incontrare, sulla costa verdeggiante, un ragazzo che amava“
Kupka è stato un pittore ceco (anzi, boemo) dei primi del Novecento, appassionato di astrologia ed occultismo, un tipo strano e meditativo che riuscì a tradurre la sua interiorità in visioni surreali e sognanti, molto prima della Metafisica.
La sua corrente artistica è il Cubismo Orfico, nata a Parigi nel 1910, come costola della figurazione rigorosamente geometrica declinata anche da Picasso. Tuttavia, i cubisti sognatori, rappresentano solo creazioni mentali, mai soggetti veri e considerano il colore essenziale, piuttosto che la scomposizione dei volumi. In questa composizione vengono indagati i riflessi dell’acqua di un lago e riportati sulla tela tramite un cromatismo esuberante e vitale.
Kupka definì la sua artistica Arte Non-Oggettiva, ossia che va al di là delle apparenze per giungere al fulcro della spiritualità soggettiva.
Antisegnano dell’Astrattismo Lirico di Kandinskij, il quale paragonò il processo di composizione pittorica a quello musicale, l’artista considera le note musicali un linguaggio artistico privilegiato.
I tasti del pianoforte, oltre a fondersi con la natura, simboleggiano le infinite varietà di toni: a partire da tre colori primari si possono ottenere infinite sfumature, così come da ottantotto tasti infinite melodie.
Infondo, quest’opera non può essere descritta o decriptata perché é fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, di emozioni di pancia e di farfalle nello stomaco. L’autore vuole comunicarci che è importante imparare le regole, poi infrangerle e comporre la nostra canzone.