El cante jondo – Facciamo Fandango!
Garcia Lorca definì il cante jondo “profondo e penetrante”. Si tratta dello stile più primitivo e gitano della parte vocalica del flamenco. In traduzione, si è citato il Ligabue di “Balliamo sul Mondo”. Il fandango è, difatti, una danza seicentesca andalusa, con una melodia più semplice rispetto al jondo.
Maddalena e Gabriele stavano consumando in silenzio la loro prima colazione. Entrambi erano poco propensi alle lodi del mattino, perciò preferivano non dover articolare pensieri troppo profondi almeno prima della terza preghiera se, addirittura, ciò si fosse dovuto tradurre in parole. Quella mattina Maddalena stava facendo persino fatica a controllare i movimenti delle sue mani ancora intorpidite dal sonno e l’operazione di tagliare il pane sopra il quale spalmare la marmellata di lamponi sul burro fresco le risultava troppo complicata. “Questo maledetto pane, dov’è Elvira!?” sbottò. “Dammi qui, faccio io. Non c’è bisogno della servitù!” si offrì di aiutarla Gabriele che con il pane e la servitù ci sapeva fare più di lei. “Hai un pessimo rapporto tu con le lame, si sa!” fece una battuta per raddrizzare la sua luna storta.
“Gli uomini impugnano coltelli per sete di sangue, per sentirsi eroi. Credi che io ti abbia sposato perché ti ammiro? Perché vai in giro a farti ammazzare? Perché… Oh, perché il Duca è un cattivone che si è preso la tua Riviera?”. Gabriele la guardò incredulo, non si aspettava tale giaculatoria a quell’ora. “Gabriele, sei soltanto uno che sgozza le persone per soldi. Non te ne frega nulla, non hai ideali. Uccidi a sangue freddo non perché sei coraggioso, ma perché uccidere non ti eccita!”.
Gabriele perse la pazienza e, per lo scatto di collera, le posate gli caddero rumorosamente nel piatto.
“Va bene, ti faccio schifo. Maddalena, me ne farò una ragione. Ti ricordo che ci siamo dovuti sposare perché così ha deciso tuo padre. Ma chiedo venia se non ti sei potuta scegliere un valoroso cavaliere che ti getta a terra ogni volta che, ubriaco, cerca di ingravidarti come una giovenca fino alla morte. Scusa, scusa davvero!”. Si pulì le mani stizzito perché gli erano diventate appiccicose di marmellata – non una bella mossa per uno che maneggia pugnali con destrezza – e si alzò. “Ah, per curiosità, a me eccita la figa!” aggiunse.
Era già in un’altra stanza quando lei gli rispose a tono. “Si capisce. È per questo che hai lasciato l’Elvira a gelare di freddo fuori dalla tua stanza…”. Gabriele rientrò e puntò i pollici davanti a Maddalena sul tavolo di legno, braccandola da dietro e parlandole alle orecchie. “Si dà il caso che le cose dovrebbero funzionare un pochino diversamente la prima notte di nozze, ragazzina!”. Si distolse subito dalla posizione da sicario. Gabriele, non le devi fare paura. Fece solo un passo indietro e si calmò. “Che cosa avrei dovuto fare con la tua serva muta di preciso per non mancarti di rispetto? O l’hai scelta muta di proposito per mancare di rispetto tu a me? Che cosa doveva tacere di preciso la tua cara serva?” le domandò sarcastico. “Che gli mandavo i fazzoletti ricamati” disse con un filo di voce a testa bassa. “Come, scusa?” non capì.
Questa volta fu Maddalena ad alzarsi con lo scopo chirurgico di lasciarlo lì con il dubbio. “Lena, dove vai? Dai, aspetta ho esagerato…” la richiamò indietro. Maddalena era già altrove. Gabriele pestò un pugno sopra il tavolo e si fece male alle nocche. “Maledizione!”. La sua imprecazione fu sentita in tutti i bracci del palazzo.
***
Il vento dei primi di febbraio, carico di febbre e follia, sferzava disordinato facendo librare in aria i capolini gialli delle mimose come coriandoli. Il profumo morbido, giallo e femminile gli indispettiva le narici e faceva starnutire Gabriele, intirizzito sulla panca di marmo di Viggù con i braccioli a rocaille posta con la tramontana a prua tra la serra e la scuderia. Il sole a zenit gli faceva stringere gli occhi. “Stai attento!” gridò al figlio dello stalliere che si stava buttando a pesce dai pochi rami di un albicocco che erano scampati dalla recente potatura.”Vedo che con il matrimonio ti è nato l’istinto paterno!” lo schernì una voce maschile che conosceva bene. “Giorgio!?”. Si alzò per abbracciarlo. “Amico mio!”. “Che ci fai qui nelle Tre Pievi?” gli domandò. Il suo arrivo a sorpresa gli aveva ridato un po’ di buonumore.
“Sono venuto a trovarti…”.
“Come amico o come medico?”
“Sono venuto a vedere se stai bene. Ebbene?”
Gabriele alzò le spalle. Conviveva ormai da anni con le sue cefalee, con l’insonnia e con i tremori alle mani. Qualche volta gli batteva talmente forte il cuore che per ricominciare a respirare doveva vomitare il peso che gli premeva sul petto.
“Dormi, Gà?”
“Quando mi addormento dormo…”. Ci scherzava sempre su. Non era uno che si faceva leccare le ferite.
Il dottor Serponti gli porse una sacchetta di cuoio con delle foglie dentro. “Tieni, questo ti dovrebbe aiutare sia a calmare i battiti sia con il tuo mal di stomaco”. Lo guardò incredulo: come faceva a capire il suo stato di salute solo guardandolo in faccia? “Non è oppio, mi dispiace. Con questa ti ci fai un decotto prima di andare a dormire”.
“Sei sicuro che poi…”
“Tranquillo, stallone, ci ho fatto mettere anche una punta di geranio allo speziale. Tua moglie può stare tranquilla!”
“Più tranquilla di lei, solo gli Angeli…”
“Gabriele, non dirmi che non lo sa…”. Giorgio alludeva alla malattia. Nella salute e nella malattia, per lui le promesse di matrimonio erano inviolabili.
“No, Giò. Io e lei non…”. Come faceva a dirglielo? Ne andava della sua virilità.
“Non?!”. Giorgio pensava di non aver afferrato il concetto. Si riteneva un intelligente studioso, però sapeva di non essere brillante – con la risposta sempre pronta – come Gabriele. Tra di loro, la più sostanziale differenza era quella.
“Dai, per piacere è una ragazzina!”. Si giustificò maldestramente. Giorgio rise. “Non ci credo!”.
“Eh, non crederci!”
“Ti gira in casa Maddalena Stampa e non ci combini nulla. Amico, ti dichiaro ufficialmente malato!”
Gabriele si rimise a sedere e fece un cenno a Giorgio di fare lo stesso. Il vento non smetteva di increspare le onde sul lago azzurrissimo a qualche decina di metri a strapiombo sotto di loro.
“Hai presente la sua serva, Elvira?”
“Dai, non pensarci più, è stata una bravata!”
“Bravata?! Le ha inchiodato la lingua al tavolo!”
“Siete la coppia perfetta, se ci pensi! Degli aguzzini efferati…”. Entrambi risero.
“Non ci avevo mai pensato prima di stamattina… Abbiamo litigato. Cioè, non che si possa parlare con lei senza farlo…”
“A cosa?”
“Quando sono arrivato qui ser Nicola Stampa mi aveva raccontato di questo tale capitano della Val Bregaglia, un loro lontano parente, che doveva sposare Maddalena. Solo che durante la Guerra ne aveva ucciso uno dei suoi durante una rissa e si era dovuto dare alla macchia. All’inizio lo aveva protetto lui, se ne stava in un casale abbandonato a Rancio, qua sopra. Perciò mi aveva messo a fare la guardia del corpo a sua figlia, perché nessuno si facesse male in attesa che Maddalena potesse indossare il suo abito bianco”.
“Mi sfugge perché tu l’abbia ucciso, però!”
“Uno stronzo. Era riuscito a legarla a sé, ad ammaestrarla come gli ‘stroleghi con i serpenti; con la scusa che non era abbastanza coraggiosa per scappare con lui e che allora si doveva accontentare dei pochi momenti che le concedeva. Scendeva per chiavarsela e assicurarsi che, grazie alle sue lagne, gli Stampa continuassero a badare che lui fosse vivo!”
“L’hai ucciso per questo?”
“Avrei dovuto. Almeno non mi troverei in questo fottuto guaio!”. Giorgio scosse la testa.
“Lavorava per i Duchi, lo stronzo faccia di culo! Lo raccontai a Nicola. Lui era d’accordo con me. L’avrei fatto fuori alla mia maniera: al buio, in silenzio e con il coltello. Sarebbe diventato pasto per i corvi. Invece, Drusiana decise che sarebbe stato meglio fare finta di niente e sfruttare la situazione per avere un certo anticipo sugli Sfondrati. Tanto, chissenefrega di Maddalena!“.
“Vai avanti…”
“Quindi Maddalena l’ha scoperto da sé! Come ho fatto a non capirlo prima? Le mandava i fazzoletti ricamati con i messaggi d’amore, pezzo di merda di cane…”
“Elvira?!”
“Cosa non può fare una donna con il cuore spezzato!”
“Vuoi dire che Maddalena capito che Elvira faceva da tramite con il Duca per ucciderti?”
“In realtà, l’ha beccata con le gambe aperte sotto il suo innamorato. Però – sì, in sostanza Elvira non teneva nessuno dei suoi orifizi in disimpegno”.
“Diciamo che fu una notte intensa in cui ci siamo dovuti impegnare a rammendare. Di solito, è un lavoro da massaie, abbiamo fatto quello che abbiamo potuto…”
“Il giorno dopo di quella notte… Giuro, non avrei voluto uccidere il padre di Elvira. Potevo dargli un mucchio di soldi affinché lui e la sua famiglia si trasferissero in Tirolo. Ma tremava di paura, non ci si può fidare di chi ha paura. Allora gli ho detto o ti uccidi tu o ti uccido io, scegli. Si è impiccato davanti a me. Tutti hanno creduto che si fosse ucciso perché non sapeva come maritare la figlia”
“E il figlio di troia?”
” Oh, lui… Era nella stanza di Elvira. Giaceva dissanguato. Maddalena aveva mirato con un coltello tra ombelico e pube. Lo feci a pezzi e poi lo portai in un porcile. Ci pensarono i maiali.”
“Il resto lo sappiamo…”
“Gli Stampa mi permettono di vivere una vita agiata”. Fece spallucce.
“Gabriele, non puoi continuare ad essere innamorato di una morta…”. Giorgio lo guardò dritto negli occhi e lui li distolse subito per non allagarsi dentro. Gli uomini non lo fanno.
“Quando tornai qui Drusiana mi respinse. Disse che dovevo diventare un uomo e sposarmi. Avrei dovuto sposare un’assassina come me. Le suore avevano acconsentito al silenzio a patto di tenere con noi anche la muta” tirò fuori il suo livore.
“Gà, smettila di trattarla con i guanti. Non sei più la sua guardia del corpo, sei suo marito!”
“Ha detto che gli faccio schifo!” trovò una scusa.
Giorgio alzò gli occhi al cielo. Delle donne Gabriele non ci avrebbe mai capito niente.
“Una tazza ogni sera, intesi?” gli ricordò e poi si alzò in piedi.
“Gà, un’ultima cosa…” sembrò rimestare nei suoi pensieri.
“Dimmi…”
“O con lei o con qualcuna devi chiavare. Com’è che è da quando ti sei sposato dici di no a tutte? Ti pesa la fede sul dito? Per questo male c’è una sola medicina, sai…”. Inutile, Giorgio e il suo metodo scientifico rendevano empirico ogni sforzo di Gabriele di nascondere le sue falle dietro al sarcasmo e, decisamente, era l’unica persona in grado di salvarlo dalla collottola ogni volta che, inconsciamente o meno, si trovava all’orlo di un precipizio.
***
Gli dei norreni pensavano che la loro fine sarebbe arrivata appena dopo il tramonto, con l’estinzione dell’ultimo eroe. Gabriele stava guardando la piazza dalla balconata. Le luci del crepuscolo erano incerte nel restituire la loro luminosità al cielo, che susseguiva lampi di colori sempre meno rossi e più lividi. Quella sera gli sarebbe stato impossibile guardare il lago, poiché la dolcezza stucchevole della malinconia gli bruciava in gola. Si stava rollando una sigaretta con le erbe che gli aveva portato il suo amico, il dottor Serponti. Niente decotti, non sono una puerpera, lo diceva sempre Lucia. Guardò verso l’alto. La prima stella che s’illuminava sul manto scuro della notte era sempre lei.
“Che fai?”. Maddalena era arrivata nell’androne a piedi scalzi, non l’aveva sentita e sobbalzò. “Fumi oppio?” le domandò curiosa, come se la lite della mattina non fosse mai successa. “No, una cosa che mi ha dato Giorgio…” fu vago su prescrizioni e posologia. “Non stai bene?” si allarmò. “Mi manca il lago” rispose.
“Il lago è dall’altro lato…” gli ricordò lei la rosa dei venti.
“Il mio lago”. Gabriele voleva guardare più lontano.
“Ah, capito…”. Maddalena avrebbe almeno voluto essere almeno una moglie utile. Ma come? Tutto, in quel matrimonio urlava o rimani qui o sei morto, non certo un orecchiabile preludio d’amore.
“Mi hanno detto in cucina che non hai mangiato a cena…” cambiò discorso lui.
“Ti preoccupi per me ora?”. Ancora una volta, le uscì repentinamente la sua peggior versione.
“Sono riluttante all’idea del matrimonio, di questo in particolare. Ma non vuol dire che io non sia capace di sentimenti umani, la gentilezza per me è questione d’onore.”
“Già, l’onore. Sempre fedele a Nicola Stampa. Hai accolto il matrimonio come quando ti ordina di uccidere i nostri nemici”. L’umore di Maddalena poteva cambiare con una folata, come il clima a febbraio. “A proposito, mio padre dice anche che sei bravo con la spada”.
“Un bravo spadaccino non va in giro a vantarsene” parò il colpo basso.
“A cosa alludi?”
“A te piacciono i banditi, no?”
“Senti chi parla… Ti sei venduto per non farti uccidere!”
“Lui avrebbe venduto te, è diverso!”
“Ma si dà il caso che mio padre, il tuo signor padrone, mi abbia fatto sposare te, che hai i tuoi sani principi! Siamo a posto!”
“Avresti preferito il Buon Gesù?”
“A un marito che non mi guarda? Ovviamente!”
“Tanto ti guardano tutti!”
“Perché ho dato scandalo!?”
“No, perché vorrebbero tu dessi scandalo per loro!”.
“Come quando ti scopavi Lucia?”
“Sei l’unica che non la chiama…”. Si stupì, non l’aveva chiamata La Pazza. In qualche modo, Lucia e Maddalena si assomigliavano. Erano entrambe delle guerriere con il cuore a mille.
“L’amavi vero?” gli chiese.
“Sì, l’amavo!”. Era la prima volta che lo diceva ad alta voce. Non l’aveva mai detto nemmeno a lei e questo era il suo più grande rammarico. Che, dopo la morte, ti rimangono le frasi in sospeso.
“Ed è per questo che vai a letto con tutte tranne tua moglie, perché lei è morta? Lei non ti ha tradito, Gabriele. Lei morirà soltanto quando te la sarai dimenticata e io non ti chiedo questo. Ti chiedo soltanto di dirmi se secondo te valgo meno di quella zoccola megera di mia zia Drusilla”.
Gabriele fece un respiro profondo. Avrebbe dovuto annegarsi direttamente nell’infuso di Giorgio per venirne a capo.
“Spogliati allora. Vuoi davvero un uomo vero? Farò il marito che si merita donna Maddalena Stampa”. Se ne sarebbe pentito, forse.
“Mezzera! Maddalena Mezzera” lo corresse, ma tentennò giocando con i lacci del vestito di sargia color avana che portava spesso quando si aggirava leggera tra i corridoi dopo cena. Maddalena trovava che le ore piccole la facessero sentire libera, come una musicista solista che si appresta alla sua serenata notturna. Di notte, non portando il corsetto, riusciva a respirare.
“Che fai? Ti vergogni?” la derise.
“Io non l’ho mai fatto” fu sincera.
“Dai, non può essere. Ero la tua guardia del corpo, dovrei saperlo!”
Maddalena scosse la testa.
“No? Non sai com’è fatto il corpo di un uomo?!”
Scosse la testa nuovamente con ancora più vergogna. Lui le accarezzò il viso. Si guardarono negli occhi; probabilmente, non l’avevano mai fatto davvero.
“Non ti ha nemmeno insegnato nemmeno questo, lo sfigato?”. Lei rise nervosa. “Volevo te, non Elvira. Per questo le ho detto di uscire dalla mia stanza!”. Più o meno era andata così.
Si spogliò lui, lento e sicuro nei suoi gesti. Poi, le prese la mano e se la portò sul petto. “Eccoti tuo marito” le disse. La cicatrice di quando era quasi morto sfalsava le simmetrie, però sottopelle il cuore gli batteva ancora forte.
“Potrei non esserne capace…”.
“No, questo mi sembra impossibile…”.
Le tolse lo spillone dai capelli, quello con la quale si era macchiata per sempre di sangue. I ricci corvini le scesero morbidi sulle spalle.
“Non me ne separo mai…”
“Ecco, è così che si fa l’amore…”.
Goffamente, lei fece scivolare lo scialle e il vestito da camera ai suoi piedi per mostrasi a lui, a suo marito. Era bellissima, di una purezza accecante, ma lui non conosceva abbastanza parole per dirglielo, perciò la baciò e basta.
I loro respiri affannati si unirono sul pianerottolo torvo sopra i tetti scuri e i comignoli fumanti del Prà del Castello di Gravedona. Solo la luna crescente a tre quarti avrebbe potuto raccontare cosa era successo fra di loro quella notte, la loro prima notte.
Rimasero a lungo aggrovigliati come capi dello stesso gomitolo incorniciati dagli archi dell’ogiva con la giacca in velluto di Gabriele che faceva loro da coperta. “Hai freddo?” gli domandò lui. “Potremmo andare a letto…” propose lei. D’un tratto la magia si spezzò. “Lena, non vorrei offenderti…” si scusò lui che pareva essersi risvegliato di scatto da un sonno profondo.
“Non voglio che tu stia male per me. È complicato, lo sai. Abbiamo capito che ci viene bene – benissimo direi – e, se lo desideri, possiamo continuare a fare come fanno marito e moglie. Ma non possiamo dormire nella stessa stanza. Non lo capirai ma è perché ti voglio bene”
“La sigaretta di prima. Lo so cosa c’è dentro. Riconosco le erbe al fiuto. Salvia, alloro, camomilla, melissa, alloro, finocchio e valeriana. Servono per calmarti e non dare di stomaco quando ti sembra che il diavolo ti stia strozzando. E ti servono per dormire, ne avresti davvero bisogno. Il geranio invece ti serve per…”. Si dava il caso che Maddalena era una comare e alle comari non si poteva nascondere nulla.
“Quindi saprai bene anche come non rimanere incinta, in caso…” si sincerò. Per lui era una condizione imprescindibile. Non avrebbe messo al mondo nessuno che non avrebbe avuto la garanzia di poter proteggere dal maligno intrinseco alla vita.
“Naturalmente” rispose con il senso dell’ovvio di una donna che, mettendo da parte l’istinto, considera la pratica della realtà. Era nata madre come tutte le altre e come tale proteggeva i suoi figli dall’ingiustizia anche se non sarebbero mai nati.
Raccolse i suoi vestiti per tornare nella sua stanza senza la premura d’indossarli.
“Lena! Ti aspetto, eh?”.
“Ogni notte?”.
“Non per forza di notte! Quando vuoi…”. Le disse insinuante. Gli sembrava come di essersi liberato di un peso, quello di ammettere che si stava innamorando di sua moglie. E che, infondo, non era una colpa.
Da quel momento Gabriele e Maddalena cominciarono ad essere sposati, seguendo la loro liturgia horarum e dilatando i minuti con respiri profondi quando li trascorrevano insieme. Rendendosi conto che, tutto sommato, l’unica cosa che l’Amore richiede è di dargli il suo tempo.
❤ Miss Raincoat
©2024 Patrizia Rondinelli. Tutti i diritti sono riservati all’autore.
Quelli tra palco e realtà
Ovviamente, capitolo del tutto diabolicamente inventato. Le proprietà curative delle piante sono più o meno veritiere but don’t try this at home (in pratica, è come se Gabriele prendesse la pastiglia della pressione, il Lexotan e un po’ di viagra tutti insieme). Prà di Castello a Gravedona al tramonto è una delle visioni più paradisiache dell’Alto Lario che io abbia mai visto. Io mi sono definitivamente innamorata di Gabriele scrivendo il capitolo 11 🥰