Le Antiche Famiglie di Rodolo

Rodolo, è una frazione di Colorina sopra i Piani di Selvetta (antica Busca Spessa), proverbialmente “autarchica” a causa della sua storia d’indipendenza identitaria rispetto al resto del Comune. Si può anche dire che i VIP antichi di Colorina abitassero questo nucleo di mezzacosta. Non a caso, la mia famiglia materna è di Rodolo...

Il borgo, a 685 metri d’altitudine, ha un’etimologia incerta. Per molto tempo, si è sostenuta la tesi della toponomastica latina, da “rodans” , quindi una connotazione geografica che pone l’abitato vicino a dei fiumi o torrenti impetuosi. Oggi si è introdotta anche l’ipotesi che Rotulo o Rodoaldo sia il nome proprio dell’amministratore di questo territorio documentato fin dal 1100. Posso ipotizzare che Rotulo fosse un arimanno, un uomo d’armi a presidio del territorio di fronte alla Roccascissa di Berbenno.

Con certezza, sappiamo che nel 1324 questo territorio appartiene ai fratelli Giacomo e Vitale Malaguccini di Sacco, con i Raschetti come “vassalli”. Il Crap De La Guardia, in località Gallonaccio, quasi in cima alla montagna, non ha nulla a che vedere con castelli o torri; era un luogo d’avvistamento durante la Resistenza.

Abbiamo detto prima che, rispetto al resto di Colorina, a Rodolo si stava economicamente bene perché c’erano molti castagneti utilizzati in maniera intensiva, si era lontani dalla palude e ci risiedevano nobili o ricchi. Tant’è che nel 1781 Pietro Mainetti di Rodolo presta al Comune una somma di denaro; nel 1818 vende il debito non ancora saldato – dal 1808 gli spettavano gli interessi e il Comune si era impegnato a restituire la somma in un anno.

La società era abbastanza chiusa, direi alquanto diffidente, e ci si sposava tra consanguinei. Ne è derivato un aspetto fisico peculiare: corporatura snella, occhi vivaci di colore o nocciola o grigi, naso aquilino, denti prominenti e capelli corvini (eccezion fatta per i Libera, che hanno i capelli rossi).

Anche il dialetto di Rodolo presenta delle differenze con quello di Colorina. Questo è dovuto al fatto che, durante l’Epoca Grigiona (1512 – 1797), fosse una sorta di roccaforte felice per i Salis e per i Florio, importanti famiglie bregagliotte che abitavano in località Callavalle (è un “quartiere” di Rodolo e si contrappone al nucleo Centro, attorno alla chiesa) nella cosiddetta Cà di Soglia, poi ereditata – per via di matrimoni – dai Parravicini Capello di Caspano. Tuttavia, i veri primi abitanti di Rodolo furono i Raschetti, i quali amministravano il latifondo dalla seconda metà del Trecento. I Raschetti si uniscono con i Libera, appunto portando avanti la genetica dei capelli rossi. Inoltre, sappiamo che nel 1532, per un annetto scarso, Rodolo diventa un Comune indipendente.

Dal Seicento si trasferiscono da Tartano alcune famiglie nobili che avevano a Rodolo delle selve di castagne affittate, ammessi come residenti solo nel Settecento grazie a una “legge” voluta dai Mainetti. Questi sono i Bulanti, veramente molto ricchi, i Mottalini, gli Angelini e i Mainetti. Per quanto riguarda i Mainetti, ne esistono due rami: i Pedrii (discendenti da Pietro, che sono i più ricchi) e i Santii (discendenti da Santino, che sono i più immersi nella politica).

Per quanto riguarda me, la mia famiglia materna è così composta –> La nonna, Alma Bulanti: papà Attilio Bulanti e mamma Adelina Angelini (nata il 26/02 come me!); il nonno, Camillo Mainetti dei Pedrii: papà Felice Mainetti e mamma Erminia Libera. La nonna era di Callavalle mentre mio nonno di Rodolo-Centro.

Miss Raincoat

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Vittoria Ligari

Vittoria Ligari era una donna. Ma dai? Aspetta, sarò più specifica.
Vittoria era una donna settecentesca che decise che anche se le piacevano tanto i vestiti e dipingere, non le andava né di sposarsi né di prendere i voti. Era intelligente, bellissima, con un carattere indomito. Sicuramente, aveva ereditato il piglio dalla nonna paterna Mottalini, la quale era originaria di Rodolo – da dove discende anche la mia famiglia materna
😛

Vittoria Ligari nasce a Milano il 14 febbraio 1713, primogenita dell’indimenticato Pietro Ligari.
Era una fangosa giornata di pioggia quando venne al modo ma suo padre, conosciutissimo e apprezzatissimo in tutta la Lombardia e non solo nella Valtellina “svizzera”, le riservò un battesimo sontuoso quasi quanto quello della Principessa Indiana (dipinto da Pietro per la Cappella del Palazzo Sertoli Salis, oggi sede della Banca Credito Valtellinese a Sondrio).
Fu appunto suo padre ad insegnarle a dipingere e a volere che studiasse sia le nozioni scolastiche sia musica (a differenza del fratello Cesare, violinista, lei era abile nel canto e con il clavicembalo). Inutile dire che per Pietro lei era la figlia perfetta: ne andava talmente orgoglioso che nel Palazzo Salis di Coira la dipinge come impersonificazione della Musica.

Visita Virtuale Palazzo Salis di Coira (*cfr. il plafone della Sala Cinese con Vittoria che suona il liuto)

Con il fratellino Cesare non c’è mai stata alcuna rivalità. Anzi, Vittoria era l’unica capace di tenerlo a bada e lo ammoniva spesso. “Dipingi solo per dannato interesse!” gli ripeteva. Per lei, invece, l’Arte era tutto quello che la faceva stare in vita. Fu una collaboratrice instancabile nella bottega, sia per Pietro sia per Cesare. Non si allontanò mai dalla sua famiglia e seguì il fratello anche nella malasorte a Como, sfiorando di poco la bancarotta. Dopo la morte di Cesare e del piccolo nipote Cesarino, ritornò a Sondrio e si occupò degli orfani e della vedova Lucrezia. Sopravvisse al fratello per altri tredici anni, anche se dall’età di trent’anni assumeva laudano (un antidolorifico a base di oppio e alcool) perché dei dolori lancinanti l’assillavano in continuazione. Morì a Sondrio il 9 dicembre 1783.

Cesare, d’altro canto, la descriveva così: “non si è adattata ai soliti impieghi femminili”. Era un mondo ancora troppo virile. Di lei ci rimane un’unica opera firmata e varie attribuzioni (delle quali una è rimasta sepolta nella frana che cancellò per sempre Sant’Antonio Morignone nel rovinoso 1987). Secondo me, a lei importava ben poco di scrivere il suo nome – sapeva che, a un certo punto, in secoli migliori, sarebbe venuta fuori la verità. Vittoria dipingeva, intanto gli altri due, in pernicioso sottofondo, Pietro e Cesare, litigavano per i soliti motivi per i quali bisticciano genitori e figli…

Vittoria aveva uno stile soave, si può dire che aveva un delicato tocco femminile che suo fratello le invidiava (cfr. gli studi per le mani per l‘Addolorata e per i putti, eseguiti per opere che poi firmavano i maschi di famiglia). Le sue composizioni, semplici ma dettagliate, vengono tinte, però, con toni molto decisi.
Il suo ruolo in bottega era quello di restauratrice o di rifinitrice. Chi se non una donna poteva aggiungere i dettagli in un’opera? Quindi si può dire che in ogni opera ligariana ci sia anche lei.
Qualche volta poteva realizzare dei quadretti devozionali che la Bottega regalava in omaggio ai clienti, soprattutto delle Madonne del Buon Consiglio (i Ligari erano devotissimi a questo culto).
Qualche volta poteva realizzare le tele seriche, che servivano per celare spettacolarmente le opere titolari nelle chiese durante i giorni feriali.

Nelle sue attribuzioni, le mie preferite sono le due tele del dittico di Mosè – soprattutto per la conoscenza intellettuale delle fonti bibliche. Queste tele oggi appartengono alla Banca Popolare di Sondrio, ma originariamente furono commissionate dalla famiglia Odescalchi di Como. Le opere, molto moraleggianti e quindi ligie allo stile di papà, inscenano il rifiuto della regalità, espressa con un Mosé bambino che calpesta la corona e rifiuta il latte materno. Tuttavia, più che essere impregnate di drammaticità sono più delle calme sacre conversazioni: c’è molto calore rosso, molta armonia e molta ricercatezza.

L’unica opera che porta la firma di Vittoria Ligari è frutto di uno degli alterchi di Cesare. Pietro era morto già da quattro anni e la fama della bottega stava precipitando. Cesare non aveva ancora conosciuto nemmeno Giampietro Malacrida… Il cugino Pier Angelo Mottalini, parroco di Lanzada, aveva commissionato a Cesare una pala per l’Oratorio di Ganda. Dopo una tortuosa trattativa per il prezzo, Vittoria decise di dipingere e autografare l’Addolorata tra Francesco di Paola, Santa Maddalena e San Vincenzo Ferreri.
In una struttura poco complicata e piramidale, nella quale predominano il blu e il rosso, ci commuovinamo in un coivolgente abbraccio, un dolore collettivo, attorno alla sofferenza composta di Maria che invoca il Cielo mentre viene trafitta dalle iconografiche sette spade. Le tre croci sul Golgota sono messe sullo sfondo e l’unico segno di dolore scomposto è la posizione della Maddalena ai piedi di Maria, che porta lo spettatore ad identificarsi con l’approccio umano al compianto.

Vittoria Ligari era una donna.

Miss Raincoat

** Alcune letture consigliate dall’Unicorno **

Laura Meli Bassi “I Ligari: una famiglia di artisti valtellinesi del Settecento”

Angela Dell’Oca “La chiesa della Beata Vergine Maria dei sette dolori di Ganda e i suoi tesori”

Emanuela Nava “Tra la Terra e il Cielo: Pietro, Cesare, Vittoria Ligari – una famiglia di artisti” (questa è una lettura per bambini, ma le illustrazioni sono bellissime 🙂 )

Something just like this.

[Quando spieghi a un bambino che durante la Festa del Lavoro non lavorano nemmeno le Guide, ti ride in faccia (anche Brandonuzzo che è perspicace come la sua Fata Madrina). “Mi***, già te di lavoro fai quella che se ne va in vacanza a pagamento e adesso mi racconti che te ne stai a casa per ringraziare quelli che hanno lottato durante la battaglia operaia, appunto per la riduzione delle ore della cosiddetta giornata? Che poi te cosa c’hai a che vedere con gli operai? Mica ti spezzi le ossa in fabbrica, te! Te, se ti va proprio male, attacchi il turno alle 8 e finisci in bellezza con un Aperitivo! Te di lavoro fai quella che favella con i turisti e c’ha Instagram pieno di fotografie. Zia, per piacere, vai a lavorare davvero così posso guardare i Super Pigiamini in pace!”]

Ho voluto scrivere un’introduzione allegrotta per un post volutamente senza colori, che nulla a che a vedere con questo Primo Maggio, in cui ho pure barattato ferie (perché ho lavorato il 25 aprile).

Ho voluto scrivere un post semplice e un po’ triste. Anche se in questo blog i post vengono scritti in un paio di giorni prestabiliti del mese e poi spalmati sul calendario tramite la simpaticissima funzione della programmazione, in realtà, sono stata un po’ assente in questo periodo.

Qualcosa è cambiato, ma qualcosa resterà uguale per sempre. Chi mi conosce sa che non mi piace mettere sui social la mia vita privata, le mie tette o i lutti per guadagnarmi i big likes. Ho una vita ordinaria che resta per me straordinaria in quanto mia. Però, volevo soltanto DIRE GRAZIE ALLE PERSONE CHE HANNO VOLUTO ESSERCI.

Il nonno, imperituro fino a poco prima di ammalarsi, sarebbe stato contento di vedere tutta quella folla a salutarlo. Avrebbe offerto a tutti polenta e formaggio, come quando mi ha insegnato a camminare porgendomi una fetta di salame. Lui era un po’ così, un uomo di altri tempi, un po’ burbero ma con un grande cuore. Aveva le sue idee e se le teneva strette. Era un gran testone, per dirla tutta. Eppure nessuno può dire di essere stato ferito nell’animo da lui, perché era un uomo che, a modo suo, sapeva voler bene. Come il gran bene che voleva a Rodolo, che non ha mai abbandonato fino all’ultimo. Il nonno è uno che ci ha insegnato a cacciar dentro la malinconia e andare avanti, un uomo che ha sperimentato la perdita più volte e troppo spesso nella sua vita, ma – a giudicare da quanti siete venuti a salutarlo – un uomo che si è fatto tanti amici nelle sue (quasi) 88 primavere. Il nonno veniva chiamato Il Sindaco di Rodolo, perché sapeva tutto, più degli amministratori, sul territorio. Lui era un punto di riferimento per la Comunità, anche se per noi nipoti era soltanto il nonno Camillo, quello al quale, da piccoli, rubavamo il costume da pastore per assomigliargli (in foto potete vedere me nel 1992). E, allora, lui ci coglieva alle spalle e ci faceva qualche versaccio per farci spaventare.

È strano pensare che entrando a casa sua non ci sarà più lui al suo posto, con dietro il camino e, lì appesa, la foto al Cinquecentenario di Colorina di cui andava orgogliosissimo; sul muro al lato, invece, quell’originale orologio a forma di gallo.  Comunque, sono contenta che lui sia riuscito a integrare con i suoi preziosi aneddoti  i documenti d’archivio che ho scovato su Rodolo (e sulla sua chiesa): ho deciso in questi giorni di riunirli in una specie di guida in suo onore. Qualcosa che rimanga davvero, non come i fiori al cimitero che, alla fine, appassiscono. 

I’m not looking for somebody/ With some superhuman gifts / Some superhero/ Some fairytale bliss / Just something I can turn to/ Somebody I can kiss – The Chainsmorkers ft. Coldplay

❤ Patty (la nipote con le lentiggini)

Il “San Gottardo” di Alfaedo

Salendo da Selvetta verso Rodolo , si può deviare prima a sinistra verso la frazione Alfaedo, nel Comune di Forcola. Subito a destra, troviamo un piccolo complesso religioso che comprende due chiese (“madre” e “figlia”) e un ossario.

La leggenda lega questo luogo (la cui toponomastica significa “verso il faggeto” ed  è anche una terrazza panoramica a 803 metri sopra la Media Valle) alla peste manzoniana, tant’è che mia mamma da piccola aveva un po’ paura di trovarvisi da sola.

Alfaedo è borgo che, in passato, ha  avuto una certa importanza rispetto al fondovalle (tant’è che nell’Ottocento risiedevano 140 persone), probabilmente per il ruolo di roccaforte e per i prolifici castagneti. Sappiamo che a Rodolo si erano insediati i Malaguccini di Morbegno e alla Torraccia i Vicedomini di Cosio, infatti.

La chiesa più grande fu eretta nel Settecento (negli anni della “promozione” parrocchiale del 1770), benché quella più artisticamente rilevante sia la più piccola, forse risalente al Cinquecento.

Questo piccolo edificio presenta un portico antistante (simile alla Madonnina di Colorina) decorato con affreschi cinquecenteschi, i quali raffigurano una Crocifissione e una Madonna della Misericordia. ** quest’ultimo lega l’ambiente alla Confraternita del Santissimo Sacramento e ai Frati Domenicani di Morbegno/Regoledo di Cosio.

Negli ultimi anni si è ipotizzato che l’artista del ciclo cinquecentesco sia Luigi Valloni di Albosaggia (attivo dal 1557 al 1590 e allievo di Cipriano Valorsa, considerato il Raffaello di Valtellina). Valloni rappresenta benissimo il background artistico del Cinquecento Valtellinese: un’ arretratezza di fondo dovuta all’isolamento geografico e politico, la moda della copia da stampe nordiche e la semplice devozione popolare mista alla religiosità seria delle Confraternite.

Davanti alle due chiese c’è anche un ossario su cui sono affrescati due teschi che indossano un cappello cardinalizio ed una tiara papale: la morte accomuna qualsiasi ceto sociale.

 ❤ Miss Raincoat

Qui un bel video che ci mostra tutti i colori di Alfaedo.

Una passeggiata a Rodolo

Rodolo è una frazione del Comune di Colorina (SO), a 685 metri s.l.m., raggiungibile in auto da Selvetta di Colorina.

Il borgo, di origine tardo-medievale, ha una toponomastica del tutto unica in Valtellina. La sua etimologia non ha nulla a che fare con il robur, la quercia che caratterizza, per esempio, i vari Regoledo o Rogolo, bensì deriva dal nome germanico Rodulo (un tempo, si pensava anche all’assonanza con rodans = che rumoreggia, in relazione ai torrenti che lo circondano).

Sicuramente, a metà Cinquecento, faceva parte del “circuito” delle fortificazioni dei Vicedomini, potente famiglia nobile comasca trapiantata a Cosio Valtellino. La posizione del paese, in effetti, lo rende meno esposto ai venti e all’umidità del fiume Adda che, a quei tempi, infestava le pianure paludose dei territori interessati dal suo corso. Qui si sviluppò anche una felice cultura e coltura della castagna, che viene ancora fatta essiccare tramite un particolare processo di affumicatura. Perciò, la Storia di Rodolo segue una certa indipendenza da quella di Colorina, un campanilismo ben simboleggiato appunto dal campanile, che svetta quasi al limitare dell’abitato e che è la cartolina del villaggio montano.

vdettaglio.JPGLa Chiesa dell’Immacolata Concezione, inoltre, diventata parrocchia nel 1886, esisteva già almeno dal 1523. Dedicata, però, a Sant’Antonio abate, con un originario dipinto con la Gloria di Dio in abside, presenta varie attinenze con le realtà domenicane del Sant’Antonio a Morbegno e del San Domenico a Regoledo di Cosio.

 

 

 

 

 

**Per votare Rodolo sul sito del FAIiluoghidelcuore.it

❤ Miss Raincoat