“Fattoria nell’Alta Austria” di Gustav Klimt

Devo confessare una colpa: fino ai trent’anni ho detestato i paesaggi e Klimt. I primi perché mi sembravano troppo fotografici il secondo perché ci vedevo troppa ricercatezza. Ebbene, eccomi qui a trentadueanniemezzo a parlarvi di un paesaggio di Klimt… 😳

C’è da dire ci siamo abituat* a conoscere questo autore per altri tipi di soggetti, per le eleganti dame dorate. Infatti, molti critici hanno osannato questa retrospettiva di Klimt come una sua fase sperimentale, benché non sia altro che una parentesi vacanziera. Ebbene sì, se per lavoro realizzava ritratti aulici per la Vienna borghese, in ferie – come noi ci dedichiamo ai cruciverba – lui fotografava la natura attorno a sé, mentre si godeva le sue passeggiate mattutine all’aria aperta e non celasse la sua golosità per la panna montata.

olio su tela – 110*110cm – 1911 – Belvedere (Vienna)

I paesaggi di Klimt si collocano in uno spazio temporale che va dal 1900 al 1916, durante le estati che il pittore trascorse in Austria e in Italia del Nord. Sono tutti di forma quadrata, una forma che cerca di contenere l’infinito della totale immersione con la natura, ricordandomi un po’ anche D’Annunzio.

La tecnica potrebbe assomigliare al puntinismo, ma così non è. L’approccio di Klimt è più da mastro vetraio, il quale cesella le macchie di colore come le tessere di vetro dei mosaici (l’arte bizantina fu grande ispirazione per l’iconicità della sua arte). E, per quanto l’arte musiva tanto quanto questo approccio piuttosto paratattico al colore possa rischiare appiattire le forme e gli spazi, noi riusciamo benissimo ad entrare dentro la scena quasi nuotandoci dentro. Klimt vuole stimolarci ad entrare nel groviglio.

Un groviglio che esisteva anche nella sua mente. Gustav aveva una fidanzata, la stilista Emilie Flöge (pare sia la figura femminile del celebre “Bacio”), che fu la sua compagna per tutta una vita, per quanto la loro unione non fosse esclusiva. Ebbene, con questi paesaggi il pittore ci fa entrare nella sua interiorità introspettiva, che nelle sue opere più famose è ben celata. I suoi non sono i paesaggi diroccati e magniloquenti dei Romantici, anzi, sono analisi precise (lui dipingeva con il binocolo a portata di mano). Tendenzialmente, ci sta dicendo che non riesce che a manifestare il suo amore per le cose, per la vita, per lo stesso Amore, se non con l’ossessione maniacale per i particolari. Dentro la tela quadrata cerca di metterci dentro tutto ciò che vede, così come nelle relazioni… ma è impossibile ingabbiare ciò che è, per sua natura, immenso ed illimitato. Questa, infatti, è la condizione che rende l’uomo piccolo di fronte alle cose grandi della Vita, ai sentimenti, al groviglio…

Miss Raincoat

Alcyone/Stabat nuda Aestas – Gabriele D’Annunzio

Primamente intravidi il suo piè stretto
scorrere su per gli aghi arsi dei pini
ove estuava l’aere con grande
tremito, quasi bianca vampa effusa.
Le cicale si tacquero. Più rochi
si fecero i ruscelli. Copiosa
la resina gemette giù pe’ fusti.
Riconobbi il colùbro dal sentore.
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“Ragazza che Legge” di Franz Ebyl

Oggi, giornata ventooooosissima, voglio farvi vedere un dipinto che io considero senza tempo…

1850 – 53×41 cm – Galleria del Belvedere (Vienna)

Franz Ebyl (1806 – 1880) era nato il Primo Aprile e ciò gli portò molta fortuna, tant’è che prese residenza nel Belvedere di Vienna. Vita natural durante, fu un pittore di fama, in più uno dei ritrattisti più famosi e prolifici dell’Ottocento austriaco. Riposa nel Zentralfriedhof, insieme ad altri famosissimi suoi conterranei, per esempio il musicista Beethoven.

Potrebbe essere solo una ragazzina, una donna acerba, che sta leggendo il Cioé.

Ebyl era un pittore che risentiva di un grande influsso del Romanticismo, declinato nella ritrattistica con una ricerca volta alla minuzia realistica dei particolari e all’accento sulle qualità spirituali dell’individuo, ossia il concetto di sublime (non è bello ciò che è bello, ma ciò che risveglia i valori etici, ciò che sarebbe bene fare).

In Arte, spesso, la figura femminile che legge è una donna sessualmente matura e spesso nuda. In questo caso, la nostra protagonista è una ragazzina in pubertà in sottoveste candida, la quale accenna la scopertura di un corpo ancora crudo e sapientemente lo cela al contempo – come se il pittore la volesse dipingere in un momento di comodità interiore, un momento di tempo libero dedicato a sé stessa (la stanza tutta per sé di Virginia Woolf).

Probabilmente, la ragazzina non è nemmeno di estrazione sociale alta (è la contadinella facilmente infinocchiabile, un luogo comune nell’Arte for men only). Non porta gioielli importanti se non un laccio attorno al collo il quale ricorda molto il cosiddetto Nodo d’Ercole, quello che veniva legato al collo delle spose dell’Antica Roma e poi sciolto dallo sposo durante la prima notte. Capiamo, così, cosa cela e scopre la camicia che non riesce a stare più stabile sulle spalle eburnee della protagonista, una verginità in bilico, ormai…

Secondo me la chiave dell’opera sta tutta nella contrapposizione di ciò che fa la mano destra (la purezza) e della mano sinistra (il peccato).

La mano destra è poggiata sul petto, protegge il cuore e la sfera emotiva, scossa da qualcosa di violento e sconosciuto. Sicuramente, la ragazza sta leggendo una di quelle intriganti storie d’amore (è proprio a metà del libro – quello che nelle serie tv è chiamato il midseason finale) che cominciavano ad andare di moda in quegli anni, a me viene in mente “Emma” di Jane Austen – il libro viene tenuto in mano con la sinistra, però.

Sempre il braccio sinistro è adorno di un triplo giro di coralli. Il corallo, prima di tutto, è simbolo dell’arrivo delle prime mestruazioni, quindi il passaggio da bruco a farfalla. Il corallo è anche il colore che segna l’unico picco cromatico del ritratto sui toni terrosi dell’ocra: lo troviamo sulle labbra (simbolo indefesso di sensualità), sulla poltrona (simbolo del dolce far niente) e appunto sul bracciale (simbolo di legame tra pittore e modella). Il tre giri possono alludere alle tre fasi ineluttabili della vita della donna: sbocciare, fiorire e appassire (anche qui, un pizzico di maschilismo da parte del pittore quasi cinquantino…).

Un particolare che potrebbe rimanere trascurato, in quanto gioca sull’armonia dei colori primari, è quel foulard sul braccio destro. Prima di tutto il dono di un fazzoletto, in tempi antichi, era il rito del primo approccio sentimentale. Inoltre, quel lembo di stoffa, per pudicizia, in pubblico serviva a celare i capelli.

Nei capelli, per giunta, c’è il significato più profondo di quest’opera. C’è il pensiero di quest’uomo pittore sulle donne. La ragazza ha i capelli corvini, anzi “di serpente”, come Medusa – quella divinità bellissima e mostruosa che sapeva pietrificare gli uomini solo con lo sguardo (era stata Atena a trasformarla così, per invidia o per gelosia…). Una donna, capace di terrorizzare e di sbalordire, secondo Ebyl è intrappolata in questo suo dualismo, in questo suo potere a doppia lama. L’unico a riuscire a sconfiggere il mostro, nel mito, è Perseo e ci riesce guardano Medusa, non negli occhi mortali, ma attraverso il suo riflesso nello scudo (quindi, parafrasando, solo gli artisti riescono a maneggiare le donne senza risentire del maleficio); così, la decapita e, dal sangue che cola dalla testa, nasce il corallo (che la ragazza del dipinto porta come gioiello). Lo scudo per il pittore è il libro, in questo caso: la ragazza guarda all’orrore, ai demoni interiori, al peccato, cioè al sesso, attraverso le parole – in questo modo le sembra tutto meno spaventoso e mostruoso. Lui, da buon Perseo, la sta iniziando all’Arte (Quale? Lasciamo il libero arbitrio dell’opinione al Lettore!).

Sono tutti romantici con i libri degli altri 🙂

❤ Miss Raincoat

Daria Bignardi

Le donne che leggono sono pericolose. Perché non si annoiano mai e qualunque cosa accada hanno sempre una via di fuga: se ne infischiano se le fai troppo soffrire perché loro si innamorano di un altro libro, di un’altra storia e ti abbandonano…

“Sharing the News” di Eugenio Von Blaas

Il titolo di quest’opera è quantomeno intraducibile, potrebbe suonare come “Condividendo le novità”, ma se si guarda meglio si capisce a cosa mi riferisco…

1904 – olio su tavola – 110*83 cm

L’Eugenio nasce vicino a Roma nel 1843, in un periodo in cui l’Italia non esisteva ed era ancora cementata con l’Austria. Il cognome forestiero lo si deve a suo padre Karl, pittore tirolese in trasferta nella Capitale, laddove trovò anche moglie. Da questa commistione genetica ne venne fuori un giovanotto barbuto con gli occhi azzurri. Anche lui sceglie l’Italia come casa, in particolare Venezia, dove insegnava all’Accademia di Belle Arti e dove si estinse all’età di ottantotto estati.

A livello artistico, possiamo inserire la sua opera nel fortunato filone dell’Art Pompier, dunque, quell’arte “da bomboniera” di fine Ottocento, che trova il suo maggiore interprete in Bouguereau. Certo, probabilmente il nostro Von Blaas è meno retorico e non si accontenta di vergini, sante o dee svestite. Si potrebbe dire che il nostro amico dipinga scene di genere, il colore dello scorrere della vita nei calli veneziani (Pino Daniele l’aveva cantato descrivendo la sua Napoli), l’anima, la sfera intima e i segreti, sicuramente in maniera prosaica, come andava di moda in quei tempi. Mi piace perché è molto narrativo, ci racconta le favole di donne curiose, talvolta pettegole, sognanti e ingenue e per questo delicate come fiori e proibite, in particolare, come la digitale purpurea.

Inoltre, l’artista era molto credente. Di fatto, suo padre Karl era un pittore di cultura nazarena, per la quale l’Arte era portavoce della purezza religiosa. Eugenio stimava molto le suore e le credeva creature di Dio, al pare del mare e degli uccelli. Questo dipinto, a livello compositivo, mi fa pensare alla versione profana dell’Annunciazione.

Sulla scena molto armonica troviamo due donne vestite in colori complementari e speculari. Un’amica sta leggendo all’altra una lettera d’amore, rivolta spudoratamente verso lo spettatore che si incuriosisce.

L’iconografia di questo dipinto è doppia. C’è quella più semplice che parla delle due facce del matrimonio perfetto, sesso sfrenato e fedeltà esagerata. C’è quella complessa che parla di amor di patria. Eugenio è combattuto tra l’amore per l’Italia (ragazza mora) e l’Austria (ragazza bionda). Le loro stesse cromie di vestizione contrappongono il tricolore alla bandiera austroungarica, anche in chiave di sottomissione – perché è l’Italia a fare da serva e a lavare le mutande all’Austria. Si potrebbe dire che Von Blaas sia un Hayez al contrario (vi ricordate la “Meditazione”?).

Nonostante ciò la figura della lavandaia sembra anche una donna umile intenta a lavare via lo sporco dalla biancheria dei ricchi, è una che si tiene i suoi segreti per sé ma sa benissimo quelli degli altri. Se guardiamo bene, un panno a terra è rosso. Quel sangue è il simbolo di una verginità perduta? La donna con i capelli rossi, invece, è la bugiarda – quindi, la poco di buono.

Dietro a un muro, si sta parlando di segreti. Sul davanzale l’edera sta seccando prima di essere cresciuta rigogliosa. L’innocenza è svanita troppo in fretta in questo vicolo. In un idea molto maschilista, ma del suo tempo, il pittore avrebbe voluto che la donna perfetta incarnasse l’ideale di verginità e disinibizione al contempo.

Nel suo interesse verso le donne straniere mi ricorda molto Paul Gauguin, in questo tema è molto vicino al suo “Come! Sei Gelosa?”: anche in quel dipinto due donne sono divise da un ricordo amoroso…

Qui c’è anche la prova tangibile di una lettera d’amore. Non sappiamo cosa c’è scritto. Non sappiamo chi l’ha scritta.

Volete sapere chi è il mittente? Herr Eugenio Von Blaas.

Lui era sposato con una donna facoltosa veneziana, la contessa Paola Prina e credeva molto nel matrimonio. Però le italiane erano così mediterranee, non importa se more o bionde, lui ci inciampava sempre… La ragazza mora è timida, ha una relazione con lui ma non l’ha raccontato a nessuno. Le sorride umile mentre le lava via il peccato dalle mutandine. La ragazza rossa, sghignazzando della sua svergogna, le legge la lettera d’amore inconsapevole che condividono lo stesso uomo, che però non ama nessuna delle due.

La seconda traduzione per il titolo, forse la più giusta, sarebbe “Condividendo il Nuovo”, ossia lo Straniero. Come descrivere questo individuo dotato di pennello se non intonandogli “Pezzo di Me” di Levante?

“Le Ragazze fanno Grandi Sogni” – E. Bennato

Le ragazze fanno grandi sogni forse peccano di ingenuità ma l’audacia le riscatta sempre non le fa crollare mai / Le ragazze sono come fiori profumati di fragilità ma in amore sono come querce/
E qui dall’altra parte/ E qui dall’altra parte siamo noi incerti ed affannati siamo noi violenti ed impacciati siamo noi che non ne veniamo mai a capo, mai a capo/ Noi sicuri e controllati siamo noi convinti e indaffarati siamo noi che non ne veniamo mai a capo, mai a capo.

Miss Raincoat

Sondrio (Desnuda)

Una delle domande che spesso mi pongono i turisti attenti è perché Sondrio (the capital city of the Valley) sia così tanto diversa da Morbegno (capitale indiscussa della Bassa Valle dove risiedono indiscutibilmente le persone più fiche della Provincia 😛).

La risposta è molto più semplice di quanto si possa pensare. Sondrio è stata vestita. Le sue vergogne, ossia la sua Storia anche abbastanza drammatica, sia per quanto riguardano le Guerre Cumane sia per quanto riguarda il periodo del dominio delle Tre Leghe con annessi spargimenti di sangue, è stata coperta da un eclettismo classicheggiante, se volete anche burbero e squadrato (asburgico, diremmo) voluto da mamma Austria a metà Ottocento. Ne è una prova la Piazza Garibaldi, che nasce proprio a celebrare il nuovo padrone straniero e poi per ringraziare il Giuseppe barbuto, lì fermo e di pietra.

Il nome Sondrio, del resto, deriva dal longobardo “sunder” (terra coltivata direttamente per il Re). Il re Enrico III affida il territorio compreso tra Berbenno e Sondrio ai De Capitanei, degli arimanni (ossia degli ex guerrieri) con il compito esclusivo di difenderlo con abilità strategiche.

La cinta muraria di Sondrio fu costruita nel 1318 per difendere la città durante gli scontri tra guelfi e ghibellini scoppiata a Como, ma arrivata fin quassù poiché i Capitanei erano guelfi. Nel 1309, purtroppo, Sondrio era stata duramente messa a prova dall’esercito dei ghibellini comandato dai Rusca. La città era stata devastata insieme al suo Castello Masegra (ricostruito poi nel 1413) e riaddobbata ai suoi piedi, protetta da mura e canali. Questi ultimi vengono chiamati Malleretti e ottenuti deviando le acque del torrente Mallero. Le mura, per capirci, seguivano questo percorso: Fracaiolo – Piazza Garibaldi (all’altezza di Palazzo Martinengo) – Piazza Campello – Piazza Quadrivio – Scarpatetti – Masegra.

Le mura avevano quattro porte:

  • Porta di Prada, detta anche Rastrello – (in piazza Quadrivio) all’ingresso est, dove si facevano anche i controlli in periodo di pestilenza. Questa porta aveva un’insegna con lo stemma guelfo dei Capitanei, poi sostituito con quello delle Tre Leghe;

Piazza Quadrivio diventò il quartiere dei nobili, anche se il suo nome vuol dire “carrobbio, passaggio dei carri”.

  • Porta di Foppa – (Scarpatetti);

Scarpatetti diventò il quartiere rurale di Sondrio.

  • Porta del Mallero, detta anche del Cantone – (in piazza Vecchia) su questa porta si affiggevano le cosiddette grida (regolamenti, leggi, bandi…) ed essa portava lo stemma di Sondrio, ossia i Santi patroni (S. Gervasio e Protasio) e lo stemma guelfo;

Piazza Vecchia, prima di Piazza Garibaldi, fu il cuore della città, nonché sede del mercato settimanale e delle fiere. Il Cantone è il quartiere che nasce nel 1325 fuori dalle mura e oltre il Mallero diventando la zona dei nobili “forestieri”. In particolare, i Parravicini e poi i Carbonera. Piazza Vecchia e il Cantone erano collegate da un ponte fin dal Trecento, ma che fu più volte ricostruito per alluvioni. Per esempio, il motivo per il quale la Torre Ligariana (ossia il campanile della Collegiata) non ha un coronamento è perché i soldi furono devoluti all’ennesima ricostruzione del ponte.

  • Porta di Cugnolo – (in piazza Garibaldi) era la porta meno importante, poiché non si trovava sulla Valeriana, l’antica strada medievale che collegava la Bassa all’Alta Valle e che seguiva il tracciato pedemontano retico in posizione rialzata per evitare i pericoli della palude popolata da lupi, orsi e ladri. Sondrio, a differenza di Morbegno, era attraversata da quest’importante infrastruttura, in particolar modo la Piazza Vecchia era la Posta (dove ci si rifocillava e si lasciavano i cavalli).

L’odierna Piazza Garibaldi, fino all’Ottocento, non esisteva. Era una zona pressoché prativa attraversata dai Malleretti e per poter arrivare alla porta di Cugnolo si percorreva appunto la Strada delle Pergole. Dalla stessa, si raggiungeva la campagna fino al fiume Adda dove si poteva prendere il navèt, il traghetto, per passare alla sponda orobica di Albosaggia.

Un’ultima parola sul Campello, così chiamato perché al lato della chiesa sorgeva il campo santo recintato. Dentro le mura, quest’area era il luogo del potere civile e religioso. Inoltre, era anche una sorta di parco dove si poteva passeggiare, giocare e spesso venivano organizzati spettacoli (ad eccezione dei roghi per le streghe che avvenivano nel sagrato di San Rocco; i presunti sabba (e la reale prostituzione), al contrario, prendevano vita in Piazzetta dell’Angelo Custode).

In Piazza Campello oggi vediamo una Collegiata dedicata ai Santi Gervasio e Protasio fortemente rimaneggiata in stile neoclassico e la vicina ed emblematica Torre Ligariana, del Settecento. Il suddetto camposanto sorgeva sul lato sud, dentro il quale era stato posto l’Oratorio della Confraternita del SS. Sacramento dedicato a San Pietro Martire (del 1640 e demolito nell’Ottocento). Di fronte alla chiesa, c’erano l’Ospedale e l’Oratorio privato dei Beccaria dedicato a S.Antonio abate (del XV e demolito nell’Ottocento). Al lato nord della chiesa, c’erano il Palazzo Pretorio (che oggi è la sede del Municipio) e, proprio all’angolo tra chiesa e palazzo, la chiesa di S. Eusebio (del XIV e demolita nell’Ottocento). Dietro alla chiesa, infine, c’era il luogo di culto che fu ceduta ai Protestanti tra il 1582 e il 1620, inizialmente dedicato ai Santi Narbore e Felice. Fu demolito dopo il 1639, ricostruita dalla Confraternita della Buona Morte e, poi, ridemolita nell’Ottocento.

Questo è quello che racconterebbe Sondrio se fosse meno pudica…

Miss Raincoat

Un weekend a Vienna

Adoro Vienna! Soprattutto perché è stata una mia scoperta recente, cioè che ho fatto quando già ero entrata a far parte del matto business turistico. La trovo una città dove è possibile immergersi, anche se non si ama particolarmente il caos tipico delle capitali e, oltre ad essere davvero friendly, è anche la dolcissima patria della storia d’amore tra Sissi e Franz o, per i più goderecci, della Sachertorte.

Per chi non potesse partire, si può trovare qui la ricetta originale della Sachertorte.

Il viaggio

In macchina: Sondrio – Innsbruck- Salisburgo – Vienna (741 km, in media  8h30 min)  –calcola il tuo percorso

In autobus: con Flixbus da Milano a ca. 100 € a/r, comunque sempre con un cambio

In aereo: mediamente, da Milano costa 150 € a/r (a volte, con scalo a Zurigo) – controlla i voli

Hotel

Premettendo che a Vienna non è una questione di stelle, ossia abbastanza tutti gli alberghi sono confortevoli, in centro un tre stelle costa mediamente sugli 80/100€ per una notte, senza colazione.

Un hotel che può far comodo anche sia a chi viaggia con bambini, animali domestici o arriva in macchina e ha bisogno del parcheggio è l’Hotel Post (ha anche la navetta gratis per l’aeroporto).

Questa struttura, oltre ad avere anche un ristorante tipico, gode di un’ottima posizione, dato che è situata a 5 minuti dal Duomo e a 10 dall’Hofburg (il centro della città); inoltre, ha una fermata metro a pochi passi.

più info sull’Hotel Post

Cosa vedere a Vienna

  • Castello di Schönbrunn (residenza imperiale estiva) + zoo – 14,20€ ; 18,50 €
  • Palazzo dell’Hofburg (Sissi) – 13,90 €
  • Stephansdom (Duomo) 3,00 €
  • Parco del Prater (si pagano le giostre, non l’entrata – da 1 a 5 € + Ruota Panoramica Wienerriesenrad – 9,50 €)
  • Castello del Belvedere (nella galleria il “Bacio” di Klimt ) – 9,00 €
  • Quartiere Landwasser case asimmetriche, colorate e con archittura del verde firmati Hundertwasser – gratis
  • Kunsthistorische Museum (ampia collezione di Brueghel) + Kunstkammer (raccolta di oggetti curiosi, ceramiche, orificeria…) – 15,00 € ; 10,50 €
  • Museo dell’Albertina (stampe antiche e moderne in esposizioni temporanee, se si ha fortuna anche la “Lepre” di Dürer) – 12,90 €

** i bambini fino a 6 anni gratis sia attrazioni, sia trasporti; fino a 19 anni, invece, gratis i musei

Sito Turistico Vienna

Vienna Card

Per riduzioni su musei/attrattive (da 1 a 3 €) e ristoranti e tutti i mezzi pubblici gratis, è acquistabile in tutti gli alberghi oppure online (il prezzo parte da 13, 50€ e varia in base a quanti giorni dura il vostro soggiorno).

per info e acquisto

Nelle foto: la Chiesa di San Carlo, vicino al Belvedere; la Donauturm nel Parco del Danubio, dall’altra parte del fiume rispetto al Prater

Gute Reise!

❤ Miss Raincoat

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