I territori contesi di Colorina e dintorni

Una delle parentesi più interessanti della Storia di Colorina sono le lotte e le fatiche per l’ottenimento di qualche lembo rigoglioso di terra, dato che nell’erario si sentiva l’eco…

La Busca Spessa (“Il Bosco Rigoglioso”)

(Odierna località Piani di Selvetta)

Questo lembo di terra fu creato dalle vari e frequenti esondazioni del fiume Adda che creavano degli isolotti ricchi di limo fertile, sebbene circondati da una palude insalubre. Nasce come un territorio amministrato sia da Berbenno sia da Ardenno e concesso per 1/6 a delle famiglie di Rodolo. Con la nascita di Colorina, nel 1513, Colorina ne acquista la metà destra (Cantone), concedendola ai Salis e poi ai Parravicini.

Va tutto in pace fino al 6 luglio 1828. Alcuni abitanti di Buglio sequestrano una quarantina di bestie, chiudono un pascolo, otturano un fosso e chiedono un cospicuo riscatto al Comune di Colorina. Colorina fa orecchie di mercante e, a fine mese, riapre il pascolo. Buglio reagisce rubando tre cavalli e chiedendo un riscatto ancora più alto. Seguono anni di liti e processi, fino al 27 luglio 1831. Colorina ottiene, sostanzialmente, la riva destra e Buglio la riva sinistra, con il diritto di essere affittuari ambo le parti.

La Busca Spessa fu per molto tempo una zona difficile, infestata da lupi e briganti e quasi nessuno la percorreva, se non costretto. Fu bonificata nell’Ottocento. Veniva chiamata La Piana dei Lupi.

Il Piano di Berbenno

(Odierno territorio da San Pietro a Villapinta)

Nel Cinquecento era un territorio di Berbenno molto prolifico per pascoli, fienagione e pesca, siccome era molto esteso e molto fertile. Coloro che non erano residenti a Berbenno, Fusine o Colorina non potevano usufruirne. Tant’è che i Bormini che avevano pagato nel 1488 per tenerci cinquanta cavalli allo stato brado, furono malamente scacciati nel 1539.

Vendullo delle Ortiche

(Odierno confine tra Colorina e Forcola)

Segna l’odierno confine tra Selvetta di Colorina e Selvetta di Forcola, oggi in corrispondenza del ponte (in antichità, dove c’è il ponte era ubicato un prato chiamato la Stretta della Selvetta). Era un bosco utilizzato per ricavare legname. Il contenzioso fu tra Colorina e Ardenno (che inglobava Forcola), terminato il 12 aprile 1793. La causa continuò anche con la nascita del Comune di Forcola, fino al 1869 e questo bosco fu soprannominato Il Bosco della Lite . La rivalità tra quelli di Rodolo (i busc’ = i caproni) con quelli di Sirta (i toor = i tori) è rimasta abbastanza proverbiale 🙂

Miss Raincoat

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Il Borgo di Berbenno

Ultima puntata su Berbenno, per poi passare alla sponda senza sole d’inverno!!!

Il centro storico di Berbenno è più o meno segnato dai confini della Chiesa dell’Assunta e del Municipio, insomma, il borgo attorno all’antico Castello di Roccascissa. A una decina di metri dalla chiesa, inoltre si può trovare un masso avello (probabilmente una tomba) denominato Cuna del Bau (La Culla del Diavolo).

A destra del Municipio, troviamo la cinquecentesca Casa Negri (famiglia di Grosio imparentata con i Lavizzari). Dentro la sua pianta a U, contiene un brolo (localmente chiamato singella; a Berbenno c’è pure una via centrale con questo toponimo). Il portale immette a un cortile porticato che un tempo era anche loggiato. In questa zona di Berbenno un tempo appariva il fuoco fatuo.

Spostandoci verso il ponte sul torrente Finale troviamo Casa Ponsibio già Odescalchi (famiglia di Como presente a Berbenno dal 1377) con addossata la Torre Capitanei. Anche questo edificio ha una tipica pianta a U con un piccolo cortile loggiato. Il sottotetto è decorato con una fascia con motivi geometrici e uccelli. Il fronte est ha dei portalini scolpiti; il fronte ovest ha un portale con lo stemma Sebregondi (protestanti molto ricchi a Berbenno, fino al Sacro Macello).

Scendendo in Via Roma troviamo l’Oratorio dell’Immacolata (1724). Apparteneva alla famiglia Noghera, di Polaggia, imparentata con i Parravicini. Molto particolare il portale con la chiave di volta a cuneo. In Via Garibaldi Casa Moncecchi, oltre a conservare il ballatoio in legno, ha un importante affresco entro finta cornice con i Santi protettori di Berbenno, ossia l’Assunta e San Giuseppe (il patrono).

Salendo in Via Crotti troviamo Casa Parravicini – Guicciardi. I Parravicini giungono a Berbenno tramite i matrimoni con gli Odescalchi. I Guicciardi di Ponte si impegnarono molto nel Sacro Macello come cattolici ferventi anche qui a Berbenno. Questo palazzo ha una pianta a L e sulla facciata si distingue il matrimonio degli stemmi delle due famiglie (la Sacra Famiglia è di fine Ottocento, invece). Questo palazzo diventò il Casino dopo il Sacro Macello, ossia la dimora estiva del parroco, che nel 1709 finanziò l’Assunta di Pietro Bianchi detto il Bustino sopra il portale.

Un personaggio molto importante e sentito dalla popolazione è San Bello. Il suo vero nome è San Benigno De Medici, nato a Volterra nel 1372. Troppo gracile per le penitenze, si impegna come pellegrino insieme a suo fratello che muore a Chiuro, mentre stanno andando in Svizzera. Dopo il lutto, Benigno si trasferisce il località Monastero da un amico, un certo Luigi Lupi, che gli fece assaggiare il Maroggia, un vino che lui amò. Tanti lo stimavano come figura religiosa, ma a Colorina lo presero a sassate. Si narra che i Colorinesi furono puniti dalla maledizione di non avere più vocazioni sacerdotali. San Bello muore qui l’11 febbraio 1472. La messa funebre fu celebrata dal frate domenicano del Sant’Antonio Andrea Griego da Peschiera (è il reliquiario di cera nel San Giovanni di Morbegno). A febbraio si ricorda la sua morte con la Sagra della Gallina.

Il grande ed elegante monastero di Monastero, a circa 650 metri slm, è del Seicento. La chiesa del monastero conserva la tomba di San Bello. Un tempo questa era impreziosita da un’importante trittico ora nel MVSA di Sondrio, dipinto da Alvise Donati nel 1512 (è una Madonna con Bambino in maestà di San Bello e San Liberale con la particolarità di una simbolica aquilegia viola).

Miss Raincoat

L’Assunta di Berbenno

Di questa chiesa, che praticamente è lo scenario che si può vedere dalla mia cameretta a casa dei miei genitori, avevamo già parlato nella serie #valtellainlove, poiché è legata a una leggenda, quella del Drago di Roccascissa che potete leggere qui. Di vero c’è che è stata costruita sui ruderi del Castello di Roccascissa dei Capitanei di Sondrio. Fu infatti edificata nel 1383 e poi ricostruita dopo il Sacro Macello (quindi, nella seconda metà del Seicento) in chiara chiave anti-protestante (a Berbenno c’era una grossa comunità, la guerra fu dura e molti persero la vita…)

La Chiesa, che domina la vallata sottostante, ha un volume molto particolare, si potrebbe dire asimmetrico. Il porticato d’ingresso ad arcate è seicentesco. Il portale ha un portone ligneo riccamente intagliato e una lunetta con l’Assunta di Pietro Bianchi. All’ingresso troviamo anche un’epigrafe in latino attribuita a Bernardo Piazzi, arciprete di Berbenno dal 1690 al 1724; la mamma dell’astronomo Giuseppe, Maria Maddalena Artaria, era sua sorella (traduzione: “Si ricordino, quelli che non la invocano, ossia gli altri [chiaro riferimento ai Protestanti], che pur non avendola come protettrice non saranno dei disperati. Entrino volentieri quelli che passano. In questa chiesa tutto parla della Madre di Dio. E’ intitolata all’Assunzione e ricorda la Natività”). L’interno, a una sola navata, è coperto da una cupola e ha sei nicchie laterali con statue. Sono molto di pregio le opere lignee del coro e dell’organo, di Johannes Schmidt di Lipsia (1648). Gli affreschi, di Cesare Ligari, raggiungono l’apice con l’Assunta nel presbiterio. L’ancona, con al centro la statua di Maria, ha otto tele cinquecentesche (le più importanti sono due della Scuola di Gaudenzio Ferrari e una in stile morazzoniano, forse dei fratelli Recchi). La chiesa conserva anche delle reliquie di San Pietro e Paolo, citazioni alla vecchia chiesa matrice di cui abbiamo già parlato qui.

Lunetta sopra il Portale

Attigua alla chiesa, troviamo la Canonica. Le due strutture sono collegate tramite un portico del Cinquecento. Certamente, è una struttura dalle grandi dimensioni se si pensa che fosse abitata da un arciprete e da un frate carmelitano. In realtà, l’arciprete doveva avere tre cappellani per aiutarlo a curare le anime di tutte le chiese della pieve, anche quelle in montagna – ma, purtroppo, con lui c’era solo un frate dedito a digiuno e silenzio. Pare che la Canonica, come edificio, risalga al 1100 circa. La facciata è molto decorata: il portale ha una volta a pinnacolo e un dipinto con la Sacra Famiglia molto famoso; sempre in facciata troviamo un’Assunta attribuita a Vincenzo De Barberis. Dall’androne, munito di orologio a ore italiche, si accede a un vano scale con gli stemmi dei vari arcipreti (pressoché tutti di famiglie nobili) che hanno abitato la canonica.

Dipinto della Canonica

Miss Raincoat

La Chiesa di San Pietro

Siamo ai piedi del borgo di Berbenno, nella contrada più vicina al fiume Adda e alla Statale Trentotto. Il Ponte di San Pietro, più volte al centro delle diatribe sulle parcelle della manutenzione nel corso della Storia, fu anche uno dei tristi teatri del Sacro Macello: da qui, molti Protestanti vennero gettati nel fiume . Nel corso delle Guerre di Valtellina, ovviamente, era considerato un punto strategico. Per me, è la prima cosa che vedo quando scendo dal treno alla Stazione di San Pietro – Berbenno (quella con la banchina corta).

Il nucleo di questo edificio è molto antico, si pensa che sia del 900 – quindi, di prima dell’Anno Mille. Tuttavia, venne ricostruito nel Cinquecento. Fino al Settecento, fu la chiesa matrice della pieve di Berbenno anche se era, più che altro, frequentata dai paesi Ultra Abduam, al di là dell’Adda, come Fusine o Colorina; gli abitanti di Berbenno, erano più comodi a frequentare l’Assunta, invece.

La posizione di questa chiesa era molto isolata (quindi, una zona davvero poco ben frequentata) e vicino ad essa, l’unica costruzione era un’hostaria (una sorta albergo con ristorante spartano); il custode della chiesa era lo stesso oste. Per via delle alluvioni frequentissime, il pavimento fu rialzato tre volte. Dopo secoli di screzi su quale Comune dovesse pagare le spese, la matrice venne spostata all’Assunta (sul poggio) il 7 luglio 1776.

La Chiesa di San Pietro è l’unica in Valtellina ad avere una pianta basilicale (*). Le sue tre navate sono in grado di ospitare circa cinquecento persone. Il pulpito, l’altare e l’ancona sono del Seicento. Non ha una torre campanaria (ha un campanile a vela) e non è orientata (probabilmente, per via del guado del fiume) . Gli stipiti del portale, datati 1563, sono decorati a candelabre attribuite a Tommaso Rodari (di fatto, ricordano quelle dell’Assunta a Morbegno).

*Pianta Basilicale – Così si definisce una chiesa a tre navate, con la centrale rialzata e senza transetto. Questo assetto è tipico delle chiese paleocristiane (ossia dei primi anni di libertà di culto) che si ispiravano alle basiliche civili romane, in grado di ospitare folle. Non sempre erano orientate (ossia rivolte ad est). Spesso, tenevano più conto dell’astronomia in taluni giorni dell’anno (come l’azimut del sole alle feste dei patroni) o seguivano criteri più geografici.

Miss Raincoat

La Pieve di Berbenno

Oggi voglio inaugurare una serie di post presi dalla mia prima ricerca storico-artistica della mia carriera, su Colorina & Dintorni (ossia le mie radici materne). Iniziamo con il farci un’idea su Berbenno, siccome Colorina nasce come una sorta di sobborgo di questo antico centro politico-amministrativo…

Berbenno viene dal nome di persona etrusco Vibrenus ed è un’evoluzione del toponimo Vibrenna che ci riporterebbe alla mente un antico castrum romano (accampamento fortificato stabile o temporaneo, dove risiedeva l’esercito) – ipotesi accreditata anche dal ritrovamento di alcuni sesterzi (monete della Roma Imperiale in lega di rame e zinco).

Fu un importante centro politico ed amministrativo.

Nel 1010 il Vescovo di Como, dona all’Abbazia di Sant’Abbondio in Como i territori di Berbenno, Olonio, Ardenno, Poschiavo e Bormio, le quali diventano delle pievi, ossia dei centri di circoscrizioni ecclesiastiche. Berbenno faceva capo a un territorio costituito dagli odierni Comuni di Berbenno, Postalesio, Fusine (con annessa Val Madre), Colorina e Cedrasco. Cedrasco, dal 1454, ottenne l’autonomia parrocchiale, poi seguito da Monastero e Pedemonte nel 1624 e Postalesio nel 1523. La storia dell’autonomia di Colorina e Fusine, siccome è più travagliata, la scopriremo nelle prossime puntate…

La chiesa matrice della Pieve di Berbenno era la Chiesa di San Pietro, costruita nel 1116, poi sostituita dalla Chiesa dell’Assunta nel 1766, per motivi di furti e ladri, ma non solo… (anche questo lo scopriremo nelle prossime settimane).

Da punto di vista politico, dal 1335 Berbenno era definito un comuni loci rusticorum, un feudo rurale con un castello, dipendente da Como e assegnato ai Capitanei di Sondrio. Si può dire che, quasi già in partenza, per quanto rimasero dipendenti dal punto di vista “religioso”, Cedrasco e Postalesio (uniti insieme) furono un Comune a sé stante dal 1370.

Berbenno era diviso in due parti: citra Abduam versus plateam (dalla parte dell’Adda verso la strada) e ultra Abduam versus Fuxinas (oltre l’Adda verso Fusine, quindi il territorio di Colorina, Rodolo, Selvetta e Fusine). Ovviamente Citra Abduam era la parte che aveva più potere, non solo per l’esposizione eterna al sole 🙂

Citra Abduam aveva anche delle quadre (ossia delle frazioni): Berbenno Centro, Monastero+Maroggia, Polaggia, Piazza (Pedemonte). Berbenno Centro era diviso in contrade: Dusone e Polaggia, Bulgarò (nome che viene dalla tradizione della concia vegetale del cuoio bulgaro) , Regoledo, Sedurno (odierna Via Pradelli, infatti significa “alla base”) e San Pietro (zona Stazione e chiesa).

Dusone pare che venga dall’etimo gallico “dusius”. Era un demone, tipo un fauno, un mostriciattolo dei boschi mezzo uomo e mezzo capra che si divertiva a sedurre le donne, insomma gli spiriti della natura verdeggiante… (simili all’Homo Salvadego, ma più porno :)).

L’importanza di Berbenno rimane testimoniata dalla Chiesa dell’Assunta, costruita sui resti del Castello di Roccascissa del Mille, dalla Cappella di San Gregorio a Polaggia, unica rimanenza del Castello di Mongiardino del Trecento e dalla Torre dei Capitanei del Duecento (in zona Municipio).

A livello storico, è da ricordare la Chiesa di Sant’Abbondio a Polaggia. Dal 1577 al 1620 fu l’edificio religioso ceduto alla numerosa comunità evangelica risiedente a Berbenno, dove il Sacro Macello fece molte vittime. L’ultimo pastore di Berbenno fu Jenatsch, figura emblematica ed enigmatica della quale avevamo già parlato qui.

[ (!)Per non essere confuso con Berbenno (BG) viene chiamato Berbenno di Valtellina]

Miss Raincoat

Jürg Jenatsch

Jürg Jenatsch (con l’accento sulla a) è il tipico uomo del Seicento, mosso da ambizioni personali, talvolta opportunista, e penzolante tra l’amor di patria e la fede personale.

Nasce in Alta Engadina, forse a Samaden, nel 1596. Suo padre, oltre che notaio, era anche un pastore protestante a Silvaplana. Studia teologia a Zurigo e a Basilea e, infine, anche lui diventa un pastore. Dopo aver passato un anno a Scharans, nei Grigioni, presta il suo ministero a Berbenno (dal 1618 al 1620).

Negli stessi anni in cui risiede a Berbenno, è pure supervisore religioso al Tribunale di Thusis. Lui in persona condurrà l’interrogatorio di Nicolò Rusca. Evidentemente sapeva che era innocente. Il processo, comunque, andava fatto, dato che l’arciprete di Sondrio aveva molti nemici. Forse, l’avrebbe salvato dalla pena se l’anziano Rusca non fosse morto durante le torture…

Nel 1620 scoppia il Sacro Macello. Durante gli scontri, muoiono sua moglie Katharina Von Buol (di Davòs) e sua madre Ursina. Lui, invece, si era rifugiato a Sondrio, dato che in molti avrebbero voluto la testa di chi aveva ordinato l’uccisione dell’amato e mai dimenticato arciprete Nicolò Rusca. Così, riuscì a scappare in Engadina. Tuttavia, l’esperienza lo segna nell’intimo, tant’è che decide di prendersi una pausa dall’attività religiosa e si arruola per la sua patria, le Tre Leghe, precisamente con il partito filo-veneziano (in guerra al fianco della Francia e del mondo protestante).

In questa nuova esperienza sarà il mandante di vari omicidi “da macellaio”. Quello più storicamente impattante è l’uccisione di Pompeo Von Planta, capo del partito avversario filo-spagnolo. Fu trucidato con un ascia davanti al camino del suo castello vicino a Merano. Pompeo, insieme al fratello Rudolf, era stato condannato e assolto dal Tribunale di Thusis e bandito dalle Tre Leghe. I due erano anche imparentati con Gian Giacomo Robustelli, il fautore del Sacro Macello. Negli stessi anni, lo Jenatsch viene ovviamente deposto dall’ufficio di pastore.

L’ex pastore, ormai colonnello, rientra in Valle come uomo di fiducia del Duca di Rohan, comandante dell’esercito francese. Il suo intento era restituire la Valtellina alle Tre Leghe, della quale era diventato un leader.

Nel 1627 si risposa, con Anna Von Buol, cugina della prima moglie. Lo stesso anno, a Coira, sfida a duello un suo superiore, Jacob Ruinelli, sfidandolo per l’onore di un bambino che (forse) aveva urtato mentre era a cavallo. Fu prosciolto, comunque, dall’accusa di omicidio. Fatto ilare, in questo periodo è attestato che lo Jenatsch soffrisse di calli ai piedi per la scomodità degli stivali. Dopo la bagarre del duello, si trasferisce a Venezia come reclutatore di soldati ma, siccome aveva il complotto facile, viene incarcerato per insubordinazione.

Uscito dal carcere, ritorna in Valtellina al servizio della Francia e delle Tre Leghe. Ben presto, si rende conto che non era intento di Richelieu restituire la Valtellina al vecchio dominatore svizzero. Come tanti altri esponenti suoi conterranei, partecipa al Kettenbund: nonostante l’alleanza delle Tre Leghe con Parigi, intrattiene trattative segrete con l’avversario, la Spagna.

Voleva a tutti i costi che la Valtellina tornasse in mano alle Tre Leghe. Non solo si allea con la Spagna e ottiene per sé un titolo nobiliare, ma, addirittura, all’improvviso, abiura e diventa cattolico. Raccontò di aver visto la Luce in carcere a Venezia, però era chiaro che la religione era un modo come tanti per rendere sicure le sue relazioni con la Spagna. Era diventato un uomo potente e temuto, anche per i suoi traffici poco chiari. Stava sul collo alla Spagna, continuando ad essere amico anche della Francia; la Francia, però, rivelò alla Spagna i suoi giochi poco puliti. Ultimamente, non era simpatico né ai Cattolici né ai Protestanti.

La notte del 24 gennaio 1639 era periodo di Carnevale, in quei giorni chiunque si lasciava andare… Jenatsch aveva deciso di fare bisbocce in una locanda di Coira (la Stabigen Huetli, oggi inglobata al Palazzo Salis). Non ne uscì in verticale, dato che fu assassinato da un gruppo di uomini travestiti da orso. Pochi mesi dopo le Guerre di Valtellina sarebbero finite e la Valle sarebbe ritornata in mano grigiona.

Fu sepolto di fretta il giorno dopo. Nessuno aveva voglia di conoscere il nome dell’assassino, come se non ci fosse alcun minimo interesse di indagare con meticolosità. Come per Pompeo Von Planta, l’arma fu un’ascia. La leggenda vuole che Katharina, figlia orfana di Pompeo, fosse anche l’amante dell’assassino Jenatsch (benché anche lei sposata – con Johan Rudolf Travers, quella sera seduto vicino a Jürg), a sua volta morto assassinato.

Miss Raincoat

Quando il nuovo venuto si fu staccato dall’abbraccio del pastore, i due si misurarono reciprocamente con lieti sguardi. Waser era un po’ sbalordito; ma riuscì a non lasciarlo punto trasparire. Si sentiva un pochino umi­liato accanto alla statura atletica del Grigione, dalla cui nera testa barbuta emanava come uno splendore di forza selvaggia. La potenza di una volontà sfrenata, dopo essere stata assopita nei lineamenti foschi, quasi sonnolenti del suo compagno di scuola, s’era svegliata, scatenata — egli lo sentiva — agli sbaragli di una vita pubblica tempestosa.

C.F. Meyer

Valtella in Love

883 – “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”

Solita notte da lupi nel Bronx/ Nel locale stan suonando un blues degli Stones/ Loschi individui al bancone del bar/ Pieni di whisky e margaritas/Tutto ad un tratto la porta fa slam/ Il guercio entra di corsa con una novità/ Dritta sicura: si mormora che/I cannoni hanno fatto bang…

Introduzione da karaoke facile, per introdurre il tema odierno: in Valtellina, se vuoi innamorarti di un essere magico a caso, puoi. Altro che le repliche di Harry Potter su Italia Uno…

Il Gigiàt della Valmasino

Il Gigiat è un uomo peloso, una sorta di essere umano gigantesco con le corna e le zampe da stambecco. Questa creatura non è stata tradita dalla moglie, anzi, è un tipo molto libero, considerato il Guardiano delle Alpi. Il nostro Gigi è molto atletico, si diverte a saltellare tra le rupi e non dorme mai. Non è offensivo, punisce solo chi non rispetta le montagne con scherzi pesanti. Riesce bene anche a farsi amare dalle donne, che per lui nascondono castagne, noci e cacio per le foreste. Insomma, è il macho delle Alpi Retiche! 🙂

Il Giuèt di Caldenno (Berbenno di Valtellina)

Il Giuet è una sorta di basilisco, un serpente con il muso di drago, che si fa avvistare nelle estati sugli alpeggi sopra Polaggia, frazione di Berbenno. Molti lo scambiano per un neonato: il suo aspetto lo fa sembrare un bambino in fasce colorate e il suo fischio ne ricorda un vagito. Essendo ghiotto di latte, alcune donne che avevano appena partorito, lo hanno anche nutrito dal loro seno. Qual è la differenza? Che questo mostro non si ferma nemmeno davanti all’amore materno: il suo sguardo fa cadere chiunque in un sonno profondo, fino alla morte. Si narra che dentro al Giuet siano state imprigionate da Dio le anime dannate dei Protestanti di Berbenno, degli eretici, uccisi durante il Sacro Macello – che così si vendicano con i Cattolici. La mia professoressa di Francese delle Medie era convinta di averne tenuto in braccio uno 🙂

Miss Raincoat

883 – “Nord Sud Ovest Est

Viso pallido ti sta ingannando/ Non la troverai/ Sono mesi che stai cavalcando/ Dimmi, dove andrai?

Valtella in Love

Il Drago di Roccascissa

Circa attorno all’anno Mille, a Berbenno di Valtellina venne veramente costruito il Castello di Roccascissa (il nome è quello dello sperone roccioso), il quale costituiva il primo nucleo del sistema difensivo del borgo. Presso questo castello, fin dalle origini esisteva una cappella dedicata alla Madonna che costituisce il nucleo originario dell’odierna Chiesa dell’Assunta (del XII e poi ricostruita dopo il Sacro Macello, ossia 1620), molto particolare per la sua forma asimmetrica e composita ben visibile dalla pianura sottostante. La fortificazione venne completata nel Quattrocento con la Torre dei Capitanei e la Rocca di Mongiardino. Oggi, però non vi racconterò la Storia, ma la Leggenda…

Durante il Medioevo, il Castello di Roccascissa guardava di torvo una bella porzione di territorio, dalla Valmasino fino a Triangia e apparteneva alla famiglia dei De Capitanei (per capirci, quelli del Castel Masegra di Sondrio).

Raniero De Capitanei, dopo una vita passata in battaglia, decide di ritirarsi a vita privata in monastero e di regalare il castello a suo nipote Goffredo, il quale era ultimogenito e non avrebbe avuto un’eredità ricca di premi e cotillons. Il patto è che il nipote utilizzi il maniero per diffondere pace e concordia, concetti non molto chiari alla famiglia – e, soprattutto, a Goffredo che era particolarmente avido di potere.

Subito appresa la notizia della morte dello zio, Goffredo si affretta con il suo cavallo verso la Rocca di Berbenno, abbandonando anche la moglie, l’unica per la quale provava un sentimento umano. Inoltre, fece forgiare un drago di ferro battuto da porre in cima alla torre; questo, con la forza del suo odio, prese vita: chiunque si fosse avvicinato al castello senza convocazione, sarebbe morto incenerito.

Sua moglie, per fargli una sorpresa, lo va a trovare senza avvisarlo. Il drago, che accecato dal male, non poteva riconoscere le buone intenzioni, figuriamoci l’amore, la ammazza con una lingua di fuoco. Goffredo, in quel momento, sta dormendo. Appena si accorge di quanto è accaduto il suo cuore si sgretola insieme a tutto il castello che, appunto, prende il nome di Rocca-scissa.

Miss Raincoat

Il borgo di Berbenno con la Chiesa dell’Assunta

Il San Simone e Giuda a Valle di Colorina

Un paio di anni fa, durante una mostra di cimeli di caccia, ho scoperto che una chiesetta sconsacrata, sulla strada dalla frazione dove abito al centro municipale, possedesse anche un interno capace di stimolare la mia curiosità, poco risvegliata da quelle corna esposte così alla mercé di tutti. — Eh sì, detesto ambo i tradimenti e la caccia per procurarsi gingilli da esposizione, sia in senso stretto sia in senso figurato!

La chiesa di Valle, consacrata fino al compimento dell’attiguo Santuario del Divin Prigioniero (costruito dopo la Prima Guerra Mondiale) è riportata sul resoconto della Visita Pastorale Ninguarda, perciò esisteva già nel Cinquecento come entità, benché la sua forma odierna è del 1795. La Comunità, difatti, voleva spostare l’edificio originario perché  troppo vicino al torrente Presio e pericolosamente lontano dal borgo. Per ragioni del tutto pecuniarie, però, a metà dell’abbattimento della vecchia struttura, si dovette procedere a ricostruirla lì dov’era. Cornuti e mazziati!

Come dedicazione, è “sorella” del San Giacomo a Selvetta, lungo la stessa mulattiera che portava verso Sondrio (anche Valle, originariamente, dipendeva dalla Matrice di Berbenno [fino al 1629], alla quale si attribuisce il progetto delle dodici chiese votate agli Apostoli); è curioso sapere che San Simone e Giuda, festeggiati il 28 ottobre, proteggono i disperati. Nel territorio di Colorina, comunque, era molto più vivo il culto della Madonna del Rosario, probabilmente per un forte legame con l’ambiente domenicano (legato al Sant’Antonio di Morbegno).

La facciata non è diversa rispetto ad altre chiese coeve riscontrabili lungo la pedemontana via verso Sondrio, delle quali citiamo la cinquecentesca SS. Giacomo e Filippo ad Albosaggia. Infatti, l’impostazione è molto tardo-rinascimentale nel timpano e nei due ordini di finestre (nel primo: tre, con la mediana a tutto sesto; nel secondo: una più grande, che riprende la forma delle laterali sottostanti). Originariamente, il timpano e parte della facciata erano sicuramente affrescati. Sempre all’esterno, sul lato verso la strada, troviamo una teca, aggiunta nel Novecento, con la statua di S. Antonio da Padova. Nella stessa ala troviamo la torre campanaria, rinascimentale anch’essa, ma con l’aggiunta seicentesca del cupolino ottagonale, quasi per fare concorrenza all’Assunta di Berbenno, dalla quale si era resa indipendente nel 1622.

L’interno, a giudicare dai lacerti di affreschi e di stucchi, doveva presentarsi molto colorato e decorato in uno stile sempre tardo-cinquecentesco (il cosiddetto Rinascimento Lombardo, qui presente grazie alla Scuola del De Barberis). L’aula con copertura a botte è asimmetrica e presenta, appunto, due cappelle solo sul lato sinistro: la prima a pianta rettangolare e la seconda, più prossima all’altare, a pianta semicircolare e con copertura a volta (sulla quale viene rappresentato una Gloria di Dio; alludente forse al fatto che, sotto, ci fosse la statua della Madonna ???).

Ambo le due pareti laterali presentano segni di dipinti che, a giudicare dagli “indizi” (come la mitra, il bastone pastorale ed un leggio), potrebbero riferirsi ai Quattro Dottori della Chiesa. Non potrebbe essere così improbabile, visto che, dal Medioevo, i quattro Padri edificatori della Chiesa Terrena, accompagnavano la figura “mediatrice” della Vergine con il Bambino nel catino absidale (qui è troppo deteriorato per capire che cosa rappresentasse, però); probabilmente, dati i periodi funesti, durante il Dominio Grigione di fede evangelica, gli affreschi del San Simone e Giuda volevano proporsi come forti anche “lontani” da Berbenno e autorevoli nel manifesto dogmatico cattolico.

Auguro un’altra buona vita alla piccola chiesetta, che sabato 16 settembre 2017, alle ore 20:00, diventerà ufficialmente l’Auditorium “Monsignor Lino Varischetti”!!!

❤ Miss Raincoat

Alcune precisazioni storiche: dal 1679 al 1886 vicecuria di Berbenno; con alle dipendenze: Corna che dal 1624 al 1651 è autonoma – Rodolo – S. Giacomo (Selvetta) -nel 1886 entra nella Parrocchia di Colorina. Sconsacrata con la costruzione del Santuario del Divin Prigioniero nel 1925.

Il San Giacomo di Selvetta

Siamo in loc. Gaggine, sulla Strada Provinciale Orobica che porta a Colorina (SO), quando incontriamo questa piccola chiesetta che, a dispetto delle sue dimensioni, conserva una storia secolare.

Quando questa chiesetta fu edificata il corso dell’Adda era spostato più a nord, nella Piana di Berbenno. Quest’area era chiamata Busca Spessa, era una zona paludosa con vari isolotti fertili, appartenente al territorio di Colorina. Il vero nucleo “stabile” di quest’area difficile e malsana (denominata anche Piana dei Lupi, infestata da bestie feroci, banditi e malaria) era quella che oggi si chiama loc. Gaggine e un tempo si chiamava Gerone; di fatto, la chiesa è speronata dal Sasso di San Giacomo.

Circa nel 1380, questo luogo di culto venne edificato alle dipendenze di Berbenno, dove era sita la chiesa matrice (poi ristrutturata senza alterazioni nel 1488, quando Colorina+Fusine diventano un Comune separato da Berbenno). L’architrave monolitico della porta di destra è originario; le finestre strombate e il campanile a vela sono sicuramente del Quattrocento. Alla chiesa era collegato un ossario, dipinto nel Settecento – in occasione del fatto che Valle diventa vicecuria indipendente da Berbenno.

Dobbiamo la dedicazione a San Giacomo a un progetto di intitolazione delle chiese della pieve ai dodici apostoli, benché la vocazione campestre di questa chiesa sembra più devota a quella della Madonna e ai Santi collegabili alla Confraternita del SS. Sacramento / Domenicani S. Antonio di Morbegno e alla vita contadina. Se ci rifacciamo alla pericolosità della strada che passava ai piedi della chiesa, quella che tanti si rifiutavano di percorre preferendo la più lunga Valeriana, capiamo che San Giacomo (quello del famoso Cammino) si interpoine anche come protettore dei viandanti. Per dire, se uno della Sirta doveva sciaguratamente andare a Fusine, purtroppo ci doveva passare per forza…

Scoperta solo negli Anni Ottanta, la parete nord interna presenta un ciclo di affreschi davvero notevole. Procedendo da sinistra, troviamo questi tre soggetti:

  • Sant’Anna con Maria Bambina (1481)

Ipotizziamo che sia la madre della Madonna poiché non porta la corona, ma un’ aureola.

  • Maestà con San Martino e Sant’Antonio

Il Bambino è ritto e benedicente; S. Martino e S. Antonio proteggono, rispettivamente, agricoltori ed allevatori . Lo trovo molto simile alla Madonnina di Colorina.

  • Vergine con il Bambino e Santi (1476)

Questo è il dipinto, il più antico, con un’iscrizione in caratteri gotici che riportano il nome del committente (un certo figlio di Lorenzo fu Lazzaro di Alfaedo, frazione di Forcola) e la didascalia “in grembo matris sedet sapientia patris”

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L’esecutore di questo polittico proviene, con molta probabilità, dalla scuola di Giovannino da Sondalo, un pittore del XV secolo valtellinese, attivo in Alta Valle dalla fine del Quattrocento ai primi del Cinquecento, tramite un linguaggio popolare, uno spiccato realismo nordico e un’incisiva drammaticità. Il suo capolavoro è la chiesa di Santa Marta a Sondalo.

Miss Raincoat