Valtella in Love – Compilation

Ebbene sì. Siamo giunti al finale di questa avventura che ci ha fatti innamorare dei personaggi delle storie d’amore valtelliniche. Abbiamo conosciuto questa terra di confine, dove con la magia non si scherza nemmeno per scherzo, dove chi spezza un cuore paga pegno perpetuo e dove la natura impervia si piega alle sofferenzee ai sentimenti dell’umanità – come la foresta di rovi attorno alla Bella Addormentata.

Vi ho raccontato le favole dei posti dove sono cresciuta, di un drago e di una volpe. Dei miei uomini alfa valtellinesi preferiti, l’Homo Salvadego e don Antonio Malacrida. Di alcuni delitti “d’amore” davvero commessi. Di creature fantastiche (forse). Di matrimoni (s)combinati. Di cosa bisogna avere paura se ci si innamora in provincia di Sondrio. Insomma, vi ho raccontato come ci teniamo caldo quassù durante i lunghi gennai…

Per chi non li avesse letti, per chi volesse rileggerseli, per chi li vuole vedere tutti insieme – li metto qui sotto (basta clikkare sopra il titolo):

Grazie per averci letto 🙂

Miss Raincoat e gli Unicorni

“El giner al se ciapa cume l’è” detto di Montagna in Valtellina

Gennaio si prende per com’è.
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Cena con Delitto

Per la Vigilia di Natale del 1635 il duca Enrico di Rohan, comandante dell’esercito francese stanziato in Valtellina, aveva organizzato una festa esclusiva per tutti i valtellinesi più influenti al Castel Masegra di Sondrio. Nel 1620 era scoppiato il Sacro Macello (seguito a ruota dalle Guerre di Valtellina) anche perché le Tre Leghe avevano tolto gran parte dei privilegi fiscali alla nobiltà di latifondo prevalente in Valle. Il simpatico Enrico voleva farseli un po’amici, dato che la Valtellina gli interessava molto per ottenere il suo obiettivo: fare in modo che la Francia vincesse contro la Spagna nel conflitto più grande e rilevante della Guerra dei Trent’Anni e, soprattutto, non ritornare in esilio a Venezia. A lui, in effetti, delle scaramucce tra
questi villici di montagna non interessava un granché, era un’altra partita a scacchi da portare a casa….

Era una notte gelidissima – un po’ come le nostre ultime – e anche Gian Giacomo Paribelli aveva raggiunto l’antico maniero dalla sua Albosaggia. Non era nobile di stirpe, suo padre aveva ottenuto recentemente il titolo. La sua famiglia era, infatti, diventata ricca per via della gestione del navét di Albosaggia, il traghetto sull’Adda all’altezza del quale si pagava la tassa sul trasporto delle merci. Era stato anche un eccellente combattente durante il Sacro Macello al fianco del Robustelli, dicevano. Convinto della grave colpa degli eretici, ne aveva aspettati due, padre e figlio – li conosceva bene – , e li aveva buttati giù nell’Adda dal ponte di San Pietro, a Berbenno. Cinque anni prima la peste gli aveva portato via Lucrezia, la sua bellissima figlia ma nemmeno questo lutto gli aveva fatto perdere il mordente.

Detestava i Grigioni. Detestava i Francesi. Si definiva un valtellinese cattolico puro.
Eppure, durante la cena prese posto vicino al Duca con la erre moscia, che non si sa mai…

Dal castello non uscì vivo. Appena preso un sorso di vino dal suo calice stramazzò al suolo. Non si seppe mai chi fu il colpevole del suo avvelenamento. Pare che il suo fantasma si aggiri per il Castel Masegra cercando di capire chi sia il suo sicario. Un giro di Cluedo infinito.

Io non penso sia stato il Rohan. A lui non interessava la stupida esistenza di un signorotto di paese. Penso più a una faida famigliare. Il fratello di Gian Giacomo aveva sposato Caterina, sorella di Nicola Parravicini – cancelliere di Valle, quindi subalterno delle Tre Leghe e amico degli oppressori cioccolatai (perdonatemi, lo so che la Svizzera ancora non si era fatta nemmeno conoscere per il cioccolato ai tempi).

Nicola era contrario al Sacro Macello, non solo perché tra i suoi famigliari c’erano state vittime, ma anche perché la considerava una barbarie. Inoltre, per spaventarlo o anche solo per ottenere dei riscatti, spesso gli incendiavano casa o lo prendevano in ostaggio. I mandanti di queste scaramucce erano i comandanti
nobili delle truppe, ma gli esecutori erano contadini al soldo alla quale facevano il lavaggio del cervello. Possiamo considerare Nicola come quei magistrati che oggi devono andare in giro con la scorta, per capire la sua situazione. Purtroppo, l’ultima volta se l’erano presa con sua figlia, Lucrezia e l’avevano stuprata davanti ai suoi occhi; non aveva ancora dieci anni. Lucrezia, si chiamava, come la figlia del Paribelli.

Da “Il Signore degli Anelli (Il Ritorno del Re)”

Figli di Gondor! Di Rohan! Fratelli miei! Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore! Ci sarà un giorno, in cui il coraggio degli uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza, ma non è questo il giorno! Ci sarà l’ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l’era degli uomini arriverà al crollo, ma non è questo il giorno! Quest’oggi combattiamo! Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella terra, vi invito a resistere! Uomini dell’Ovest!

Che fine fece Lucrezia Parravicini? La rinchiusero in convento (il San Lorenzo di Sondrio) siccome sviluppò seri problemi psichiatrici – ai tempi si tamponava così. Una decina di anni dopo la morte dei genitori, ventenne, si tolse la vita. I Grigioni, invece, nonostante quasi vent’anni di guerra, rimarranno a governare la Valtellina fino al Settecento inoltrato…

Miss Raincoat

Valtella in Love

Chi è la misteriosa donna ardennese di Salvatore Quasimodo?

Eccoci qui per un altro appuntamento romantico tra i borghi della Valtellina. Oggi ho scelto Ardenno, borgo della Bassa Valle, incuneato nella curva ad esse che aggira la Colmen (Culmine di Dazio) proprio sotto alla Val Masino. L’etimologia del toponimo è piuttosto ardua da decifrare. Il Guler, storico delle Tre Leghe, ci ha parlato delle estati infuocate, ardenti, che costringevano gli abitanti a trasferirsi nelle località più a monte – ma il Guler risulta un fantasioso esagerato, frattanto, quando descrive le origini dei nomi dei paesi valtellinesi. Io credo molto nella tradizione cattolica che lega Ardenno a San Lorenzo, martirizzato su una graticola ardente oppure in quella pagana delle popolazioni germaniche che la lega ad Arduena, ossia Diana – la dea delle Selve.

Salvatore Quasimodo, il poeta di poche parole e dal rapporto difficilissimo con le donne e l’amore, nel 1934 è a Sondrio. Non in villeggiatura come amava fare il suo collega Carducci a Madesimo, ma in castigo. Abitava a Milano, in realtà, dove lavorava come geometra presso il Genio Civile. La sua condotta non doveva essere tra le migliori, tant’è che il suo Capo, tra le cose avverso al suo essere un poeta, lo confina in Valtellina. Precisamente, il Quasimodo avrebbe dovuto lavorare negli uffici di Piazzale Lambertenghi, sul Mallero, dove oggi troviamo gli Uffici dell’Agenzia del Territorio, anche se spesso veniva richiamato per inconcludenza. Di fatto, se ne stava spesso e volentieri sul treno per Milano dove, nel tragitto, passava il tempo cercando di sedurre le maestrine, come le chiamava lui – le più giovani ed inesperte maestre delle scuole elementari. Immaginiamoci un trentacinquenne moro e affascinante che si presenta come poeta e comincia a parlare loro dei miti greci quasi senza pudore…

Quando viene pubblicata la raccolta “Ed è subito Sera”, sono già passati circa dieci anni dal suo soggiorno in Valtellina. In questa edizione del 1942 sono contenute ben due poesie che parlano di Ardenno, quindi il ricordo era ancora bello denso.

“La dolce collina”

Questa poesia è molto conosciuta perché è anche turisticamente utilizzata per pubblicizzare Ardenno. Durante una giornata di pioggia il poeta si trova ad Ardenno. Lui non chiama il borgo per nome (se escludiamo l’immagine degli alberi bruciati dai fulmini), ma lo descrive: c’è il fiume Adda che scorre, un gruppo di case scure e il profilo arrotondato della Colmen. Sta scrutando il cielo come farebbe chi consulta l’oroscopo e pensa al futuro con uno sguardo al passato. Il suo pensiero è rivolto a una donna vestita di verde e con un fiore di corallo tra i capelli che incontrava di nascosto tra le canne delle rive. L’immagine della collina simile alle forme sinuose femminili è ben comprensibile; invece, il fiore color corallo io penso che possa essere un pretesto per inserire la metafora del fiore dell’ibisco, simbolo di bellezza fugace. I fiori dell’ibisco, leggeri e delicati, durano solo un giorno, ma essendo tropicale, è anche molto seducente ed esotico. Per il Quasimodo, avere una storiella con la sua personale Diana, una “selvaggia” (in effetti, la Valtellina non gli piaceva affatto, l’aveva definita come un deserto di ghiaccio) lo aveva distolto dalla noia delle giornate sondriesi tutte uguali, a suo dire. Non penso che fosse una donna molto acculturata, dato che nella seconda poesia parla di “cupo dialetto” e penso che fosse poco più che adolescente. Sicuramente, non era una delle scafate donne d’élite che lui era solito frequentare.

***

Lontani uccelli aperti nella sera
tremano sul fiume. E la pioggia insiste
e il sibilo dei pioppi illuminati
dal vento. Come ogni cosa remota
ritorni nella mente. Il verde lieve
della tua veste è qui fra le piante
arse dai fulmini dove s’innalza
la dolce collina d’Ardenno e s’ode
il nibbio sui ventagli di saggina.
Forse in quel volo a spirali serrate
s’affidava il mio deluso ritorno,
l’asprezza, la vinta pietà cristiana,
e questa pena nuda di dolore.
Hai un fiore di corallo sui capelli.
Ma il tuo viso è un’ombra che non muta;
(così fa morte). Dalle scure case
del tuo borgo ascolto l’Adda e la pioggia,
o forse un fremere di passi umani,
fra le tenere canne delle rive.
“Sera nella Valle del Masino”

In questa poesia non c’è niente di simpatico verso il nostro territorio. Lo perdoniamo perché Quasimodo, uomo siciliano, era stato obbligato al clima pungente invernale delle nostre Alpi per punizione e, si sa, lui detestava il potere imposto. L’ambiente qui, non era mondano come Milano e, soprattutto la sera, quando tutto si spegneva, lui era obbligato a riflettere. Aveva una relazione tormentata con Marta (la scrittrice Sibilla Aleramo): si scrivevano e, in questo periodo, si vedono soltanto una volta in totale segreto in una stanza dell’Hotel della Posta a Sondrio. Un altro motivo che creava repulsione al luogo per Salvatore, inoltre, era il fatto che l’indimenticabile primo vero amore di Marta fosse il poeta morbegnese Guglielmo Felice Damiani, morto giovane anni prima, nel 1904. I sentimenti che lui prova incastrato tra le vette gelide erano la tristezza, il tedio, la nostalgia, il rimpianto e anche un po’ d’amore. Possiamo immaginare che ad Ardenno abbia trovato davvero un po’ di calore “ardente”, per dimenticare e per svagare la mente. Un’altra ipotesi che mi sono fatta, in relazione alla simbologia funebre di entrambe le poesie (ibisco, spirale, luna, corvi, etc..), è che la sua donna misteriosa di Ardenno morì durante “l’esilio valtellinese”, probabilmente di tubercolosi. Ho anche collocato geograficamente queste poesie in località Ponte del Baffo, la prima curva salendo verso la Val Masino, dove era sita l’Osteria del Baffo.

***

Nello spazio dei colli,
tutto inverno, il silenzio
del lume dei velieri:
fredda immagine eterna
navigante! E qui risorge.

Presto la rana cresce il verde:
è foglia; e l’insetto di spine
s’avventa sull’erbe dei canali.
I mulini tentano le ruote,
deserti, all’acqua che si piega.

Non udrò ancora fragore del mare
lungo i lidi dell’infanzia omerica
il libeccio sull’isole
funebre a luna meridiana,
e donne urlare ai morti cantando
dolcezze di giorni nuziali.

E tu come la terra
riappari a volte, e mi deludi
discorde. Basta così poco tempo
per morire da vivi.

Nella veste di colore infantile
inventi il passo d’una spirale
al timpano che imita la notte.
Ma il tuo volto dilegua in tonfi,
in cesure straziate.

Tornano già i prati alla valle; forte
il lamento del corvo. Che certa
presenza, cara, di vita! Avverto
la sera alle tempie, e l’allarme
è un canto di cupo dialetto.

Nulla rimane della mia giornata.
Mi sorprende immutabile la noia
misericorde a ogni gioia apparsa
e alle radici subito indurita.

Calma notte superiore
volontà di consensi,
mi forzerò in così stretta misura
d’ingenua sapienza,
in tutto il freddo pietoso
serrato dentro il mio corpo
.

Miss Raincoat

Josei Ukiyo

Josei Ukiyo sono io quando faccio finta di essere una scrittrice. ll mio pseudonimo è formato da due parole giapponesi che significano “giovane donna (josei)” e “mondo fluttuante (ukìyo)”. Scrivere, per me, non è mai stato solo un hobby. Lo è perché lo faccio aggggratisss, ma non lo è perché mi è necessario. Spesso, poi, mi affeziono dei personaggi che faccio nascere e crescere. Tengo anche un diario (segretissimo) dal 1998, grazie alla mia maestra di italiano (in fissa per Carducci). Ho un amante segreto che si chiama Kindle: il mio libro preferito è “Jane Eyre”; il mio autore preferito è Elias Canetti. Altre cose senza le quali non vivrei: musica, correre, i rossetti e gli aperitivi con gli amici.
Mi guadagno da vivere facendo la guida turistica in una provincia moooolto a nord della Lombardia. Mi piace molto viaggiare (le mie città preferite: Vienna, Copenaghen, Trieste e Parigi), anche se credo che il mio lavoro mi piaccia molto perché mi permette di raccontare i miei luoghi. Ovviamente, il mio mito lavorativo è Alberto Angela – anche se la mia vera icona sarà sempre Debbie Harry dei Blondie.

Ho deciso di raccogliere in questo post (che poi man mano aggiornerò) le mie favelle, che potrete leggere e scaricare tramite il link.

L’odore del Sole (2019) 75 pagine — le vicende si intrecciano attorno alla misteriosa sparizione della tela dell’Estasi di Santa Cecilia e alla fuga di una giovane donna da Varenna (LC) alla profumata e soleggiata Puglia. link: lodoredelsole

Come la Teodora di Manara (2020) 53 pagine — Un omicidio avvenuto nel Palazzo Malacrida di Morbegno (SO) non trova il colpevole come se fosse una partita a Cluedo. A ogni stanza il suo possibile assassino, celato dietro le illusioni ottiche dell’Arte del Settecento. Chi sarà il colpevole? [il racconto avrà anche un sequel]. link: comelaT

Jesus of Suburbia (2021) 17 pagine — L’incontro tra due sconosciuti alla stazione del treno di Sondrio potrebbe diventare salvifico nella risoluzione delle loro rispettive burrasche sentimentali. link: jesusofsub

[post in costante aggiornamento]

Josei Ukiyo

Sondrio (Desnuda)

Una delle domande che spesso mi pongono i turisti attenti è perché Sondrio (the capital city of the Valley) sia così tanto diversa da Morbegno (capitale indiscussa della Bassa Valle dove risiedono indiscutibilmente le persone più fiche della Provincia 😛).

La risposta è molto più semplice di quanto si possa pensare. Sondrio è stata vestita. Le sue vergogne, ossia la sua Storia anche abbastanza drammatica, sia per quanto riguardano le Guerre Cumane sia per quanto riguarda il periodo del dominio delle Tre Leghe con annessi spargimenti di sangue, è stata coperta da un eclettismo classicheggiante, se volete anche burbero e squadrato (asburgico, diremmo) voluto da mamma Austria a metà Ottocento. Ne è una prova la Piazza Garibaldi, che nasce proprio a celebrare il nuovo padrone straniero e poi per ringraziare il Giuseppe barbuto, lì fermo e di pietra.

Il nome Sondrio, del resto, deriva dal longobardo “sunder” (terra coltivata direttamente per il Re). Il re Enrico III affida il territorio compreso tra Berbenno e Sondrio ai De Capitanei, degli arimanni (ossia degli ex guerrieri) con il compito esclusivo di difenderlo con abilità strategiche.

La cinta muraria di Sondrio fu costruita nel 1318 per difendere la città durante gli scontri tra guelfi e ghibellini scoppiata a Como, ma arrivata fin quassù poiché i Capitanei erano guelfi. Nel 1309, purtroppo, Sondrio era stata duramente messa a prova dall’esercito dei ghibellini comandato dai Rusca. La città era stata devastata insieme al suo Castello Masegra (ricostruito poi nel 1413) e riaddobbata ai suoi piedi, protetta da mura e canali. Questi ultimi vengono chiamati Malleretti e ottenuti deviando le acque del torrente Mallero. Le mura, per capirci, seguivano questo percorso: Fracaiolo – Piazza Garibaldi (all’altezza di Palazzo Martinengo) – Piazza Campello – Piazza Quadrivio – Scarpatetti – Masegra.

Le mura avevano quattro porte:

  • Porta di Prada, detta anche Rastrello – (in piazza Quadrivio) all’ingresso est, dove si facevano anche i controlli in periodo di pestilenza. Questa porta aveva un’insegna con lo stemma guelfo dei Capitanei, poi sostituito con quello delle Tre Leghe;

Piazza Quadrivio diventò il quartiere dei nobili, anche se il suo nome vuol dire “carrobbio, passaggio dei carri”.

  • Porta di Foppa – (Scarpatetti);

Scarpatetti diventò il quartiere rurale di Sondrio.

  • Porta del Mallero, detta anche del Cantone – (in piazza Vecchia) su questa porta si affiggevano le cosiddette grida (regolamenti, leggi, bandi…) ed essa portava lo stemma di Sondrio, ossia i Santi patroni (S. Gervasio e Protasio) e lo stemma guelfo;

Piazza Vecchia, prima di Piazza Garibaldi, fu il cuore della città, nonché sede del mercato settimanale e delle fiere. Il Cantone è il quartiere che nasce nel 1325 fuori dalle mura e oltre il Mallero diventando la zona dei nobili “forestieri”. In particolare, i Parravicini e poi i Carbonera. Piazza Vecchia e il Cantone erano collegate da un ponte fin dal Trecento, ma che fu più volte ricostruito per alluvioni. Per esempio, il motivo per il quale la Torre Ligariana (ossia il campanile della Collegiata) non ha un coronamento è perché i soldi furono devoluti all’ennesima ricostruzione del ponte.

  • Porta di Cugnolo – (in piazza Garibaldi) era la porta meno importante, poiché non si trovava sulla Valeriana, l’antica strada medievale che collegava la Bassa all’Alta Valle e che seguiva il tracciato pedemontano retico in posizione rialzata per evitare i pericoli della palude popolata da lupi, orsi e ladri. Sondrio, a differenza di Morbegno, era attraversata da quest’importante infrastruttura, in particolar modo la Piazza Vecchia era la Posta (dove ci si rifocillava e si lasciavano i cavalli).

L’odierna Piazza Garibaldi, fino all’Ottocento, non esisteva. Era una zona pressoché prativa attraversata dai Malleretti e per poter arrivare alla porta di Cugnolo si percorreva appunto la Strada delle Pergole. Dalla stessa, si raggiungeva la campagna fino al fiume Adda dove si poteva prendere il navèt, il traghetto, per passare alla sponda orobica di Albosaggia.

Un’ultima parola sul Campello, così chiamato perché al lato della chiesa sorgeva il campo santo recintato. Dentro le mura, quest’area era il luogo del potere civile e religioso. Inoltre, era anche una sorta di parco dove si poteva passeggiare, giocare e spesso venivano organizzati spettacoli (ad eccezione dei roghi per le streghe che avvenivano nel sagrato di San Rocco; i presunti sabba (e la reale prostituzione), al contrario, prendevano vita in Piazzetta dell’Angelo Custode).

In Piazza Campello oggi vediamo una Collegiata dedicata ai Santi Gervasio e Protasio fortemente rimaneggiata in stile neoclassico e la vicina ed emblematica Torre Ligariana, del Settecento. Il suddetto camposanto sorgeva sul lato sud, dentro il quale era stato posto l’Oratorio della Confraternita del SS. Sacramento dedicato a San Pietro Martire (del 1640 e demolito nell’Ottocento). Di fronte alla chiesa, c’erano l’Ospedale e l’Oratorio privato dei Beccaria dedicato a S.Antonio abate (del XV e demolito nell’Ottocento). Al lato nord della chiesa, c’erano il Palazzo Pretorio (che oggi è la sede del Municipio) e, proprio all’angolo tra chiesa e palazzo, la chiesa di S. Eusebio (del XIV e demolita nell’Ottocento). Dietro alla chiesa, infine, c’era il luogo di culto che fu ceduta ai Protestanti tra il 1582 e il 1620, inizialmente dedicato ai Santi Narbore e Felice. Fu demolito dopo il 1639, ricostruita dalla Confraternita della Buona Morte e, poi, ridemolita nell’Ottocento.

Questo è quello che racconterebbe Sondrio se fosse meno pudica…

Miss Raincoat

L’Orlando Furioso in Valtellina

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori/ le cortesie, l’audaci imprese io canto/ che furo al tempo che passaro i Mori/ d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto/ seguendo l’ire e i giovenil furori/d’Agramante lor re, che si diè vanto/ di vendicar la morte di Troiano/ sopra re Carlo imperator romano.

Proemio dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto

Poco tempo fa, mi sono trovata a spiegare per quale motivo nella tradizione antica valtellinese si sono tramandati nomi inconsueti come Angelica, Doralice, Ruggiero, Orlando o Rinaldo, per esempio. Semplice, sono tutti nomi da ricondursi alla grande fortuna dell‘Orlando Furioso di Ludovico Ariosto qui tra le Alpi Retiche e le Prealpi Orobie.

Ne abbiamo una manciata di esempi nella scelta delle tematiche pittoriche al Palazzo Valenti di Talamona, al Castel Masegra di Sondrio e all’iconico Palazzo Besta di Teglio. Tutti e tre si ispirano all’edizione illustrata del poema, stampata a Venezia circa nel 1542 da Giolito De Ferrari.

Le motivazioni di questo grande affetto verso le vicende di Orlando & Friends sono principalmente tre: * la Valtellina era aperta agli influssi di corti raffinate come quelle dei Gonzaga e degli Estensi (infatti la prima pubblicazione ebbe luogo a Ferrara); * la storia appassionava, divertiva e svagava da un momento storico terribile (pensiamoci, le frequenti pesti e carestie erano mischiate anche con i primi sostanziali problemi con il dominio delle Tre Leghe); * l’armonia tra il filo narrativo amoroso e quello celebrativo.

L’Orlando Furioso riprende la tradizione del ciclo carolingio e bretone che già metteva in scena l’amore folle dell’eroe durante le guerre tra Saraceni e Cristiani. Anche in Valtellina, a Castionetto di Chiuro, esiste una Torre di Roncisvalle del XIV secolo e voluta come strumento di difesa da Stefano Quadrio. Forse, è vero che il suo nome viene da “rusciavai”, un termine dialettale per indicare un dosso particolarmente ripido, ma a noi ci piace pensare alla poesia. Orlando muore proprio a Roncisvalle, in una battaglia alla fine della quale i Cristiani hanno la peggio.

Palazzo Valenti

Un anonimo artista raffinato del XVI affresca sulla facciata dei testi che conosceva molto bene. Il canto messo in arte è il secondo.

Castel Masegra

Un anonimo artista del XVI affresca i primi 8 episodi in una stanza interna del piano nobile. Il probabile committente fu Castellino III Beccaria, leggendario discendente di Orlando; pare anche che l’Olifante echeggiasse nel torrente Mallero. Il canto messo in risalto è il quarto.

Palazzo Besta

Vincenzo De Barberis, uno dei collaboratori di Giulio Romano presso il Palazzo Te di Mantova, dipinge vari affreschi per la corte coltissima di Azzo e Agnese Besta. In particolare, lascia 24 scene molto teatrali sull’Orlando Furioso. La particolarità è che, in questa dimora, il poema non è trattato in chiave scanzonata bensì morale. Le scene, infatti, sono abbinate agli Adagia di Erasmo da Rotterdam. Sicuramente, è emblematico il peso del canto trentaquattro.

❤ Miss Raincoat

°* Letture consigliate dall’Unicorno °*

“Orlando Furioso” raccontato da Italo Calvino

“Orlando Furioso raccontato in affreschi in Valtellina: appunti per un viaggio” dell’Associazione Culturale Bradamante

“L’Orlando Furioso in Valtellina” di Giacomo Maria Prati

Giovanni Gavazzeni & Rosa Pirola

Talamona, 1841 – 1907

Nel cuore del borgo di Talamona, in Casa Mazzoni, poco distante dalla chiesa parrocchiale, una casa silenziosa e celata dagli alberi, il pittore Giovanni Gavazzeni si era arrangiato la sua casa-studio.

Era un uomo taciturno, schivo, meticoloso – un orso buono. Aveva trascorso tutta la sua giovinezza all’Accademia Carrara di Bergamo, lontano anche dagli schiamazzi anti-austriaci (per quanto, al compimento del diciottesimo anno di età, lasciò per un breve tempo gli studi e marciò con Garibaldi su Sondrio).

Decise di tornare a casa sua, nel suo paesello orobico, lontano dal caos cittadino che detestava, e lì venne apprezzato dalla committenza ecclesiastica, nobile, borghese e perfino contadina. L’Accademia Carrara, lontana dal rettorato innovativo di Hayez a Brera , si ispirava al Settecento Veneziano e a Raffaello. Il Gavazzeni, anche se molto incuriosito dal tema romantico dell’incubo notturno, rimase sempre fedele al tema sacro inserito in paesaggi idilliaci o in interni dettagliatamente ottocenteschi. Quello che lui ricerca sono le emozioni semplici. Quello che lo ossessiona solo le cromie intense studiate scrupolosamente.

La critica, non trovandolo al passo con i tempi, lo snobba. Eccetto lui, sua maestà Vittore Grubicy De Dragon, il pittore-critico e mercante che aveva scoperto per esempio Segantini (amico del Gavazzeni e anche del Damiani). Lo incuriosirono, del Gavazzeni, i suoi sentimenti trasparenti così diversi dall’artificialità ampollosa dell’arte sacra tardo-ottocentesca. La definì un’arte delicatamente schietta, poiché l’artista aveva nel cuore un misticismo personalmente sentito.

Non sappiamo dove e quando cominciò l’intensa e tenera storia d’amore con Rosa Lucia Pirola di Masino (Ardenno), nata nel 1850 e figlia di Francesco, che concesse la mano della figlia al pittore di buonissima fama locale il 6 febbraio 1873 nella chiesa di San Pietro al Masino. Rosa seguirà il marito nella casa-studio di Talamona e lui la trasformerà nella sua Musa. Il desiderio inesaudito di diventare genitori, anche un’onta ai tempi, diventerà il tema nascosto e ricorrente della sua arte, anche se nel 1892 adottarono i figli del cognato, rimasti orfani (Carlino, Giovanni e Guido Pirola) – che fecero vivere nell’agio, viaggiare, studiare e amarono calorosamente.

Le sue Sacre Famiglie, come la Sacra Famiglia dei Fratelli Ciapponi in Via III Novembre a Morbegno, sono sempre pervase da un clima intimamente famigliare. Rosa, è sempre il volto di Maria, un volto dai lineamenti aristocratici; una Madonna rappresentata come madre timida e affettuosa. Il San Giuseppe, sempre anziano e sempre un autoritratto, si protende verso il Figlio ed è devoto e protettivo verso Maria.

L’amore per Rosa, nonostante tutto, non ha eguali nella vita affettiva del Gavazzeni. Forse, l’unica eccezione, potrebbe essere il legame d’amicizia quasi paterna con il poeta Guglielmo Felice Damiani (1875-1904). Insieme, furono pionieri della Storia dell’Arte della Bassa Valle.

Il Gavazzeni morì in casa sua a Talamona, a fine novembre, per una pleuropolmonite. Stava ultimando il Cristo Redentore per il Cimitero di Sondrio. Il caso vuole che, in carriera, per la Collegiata di Sondrio, aveva realizzato il Transito di San Giuseppe, dove Rosa, impersonificando Maria, gli bacia teneramente e disperatamente le mani; tre putti attorniano il capezzale (dei quali uno ci invita dentro la scena guardandoci fisso); Gesù, triste e composto, lo eleva al Cielo come suo padre putativo.

Il nostro pittore valtellinese riposa in pace nel Cimitero di Talamona. Sulla sua tomba, vicino al monumento di Egidio Guanella e la copia del Redentore, porta l’epitaffio <illustrò la fede con il pennello>.

Miss Raincoat

°*Letture consigliate dall’Unicorno°*

  • Giulio Spini, Renzo Fallati, Eugenio Salvini – “Giovanni Gavazzeni 1841- 1907”
  • Mario Vergottini, Simona Duca, Giampaolo Angelini – “Giovanni Gavazzeni . Pittore nella Valtellina di Fine Ottocento”
La “Madonnetta” – ossia il luogo dove ho conosciuto il Giovanni ❤

Cronache dal Bancone

Vini Bianchi di Valtellina

Siamo abituati a conoscere la Valtellina per il suo vino Valtellina Superiore DOCG, un rosso fermo, realizzato con minimo 90% di uve Nebbiolo (che locamente viene chiamato Chiavennasca, ossia “più vinoso”) e con minimo 12% VOL. Questo vino, che invecchia 24 mesi in botti di rovere (o 36 in caso di Riserva), nasce tra Buglio in Monte e Tirano, acquisendo anche il nome delle sottozone (Maroggia, Sassella, Grumello, Valgella e Inferno). Inoltre, i più informati, sanno che in Valle si produce anche lo Sforzato DOCG, un passito rosso secco con 14% VOL, lasciato 3 mesi sui graticci e invecchiato in botte per altri 20 mesi. Eppure, tutta la costiera delle Alpi Retiche della Provincia di Sondrio è foderata dalla monumentale ed eroica presenza dei muretti a secco che terrazzano gli impervi ma soleggiati speroni rocciosi dove cresce la vite da secoli. Il terreno, in prevalenza sabbioso o ciottoloso (roccia granitica sfaldata), in alcune zone anche povero di calcare, ripaga con una vendemmia che si può verificare da metà settembre a metà ottobre. Quindi, tutti i vitigni idonei del territorio sondriese possono essere inseriti nel marchio Alpi Retiche IGT (un tempo era Terrazze Retiche), che abbraccia varie tipologie di vino – tra i quali i famosi bianchi da nero.

Oggi andremo a conoscere quattro vini bianchi che ho conosciuto nel percorso Vini a Palazzo durante la manifestazione Degusta Morbegno.

ROSE’ CASA VINICOLA BETTINI (San Giacomo di Teglio)

è uno spumante (perlage: continuo e minuto; spuma: fine e abbondante) brut (secco), rosé (colore: rosa pallido) e metodo classico o champenoise (rifermenta in bottiglia tramite dei lieviti detti liqueur de tirage). Il profumo è intenso; il sapore è vivace, fragrante e leggermente aspro. L’abbinamento consigliato è l’aperitivo, un brindisi oppure un antipasto di pesce/crostacei. Qui abbinato con caprino con timo, olio e pepe.

12% VOL. – servito a 8/10°C – costo medio di una standard 13,00 €

  • uve – 100% Chiavennasca (Nebbiolo)

VILLA QUADRIO CASA VINICOLA BALGERA (Chiuro)

è uno spumante (perlage: persistente e minuto; spuma: fine e abbondante), brut (secco), bianco (colore: giallo paglierino tenue) e metodo charmat (rifermenta un un grande recipiente chiuso, detto autoclave per 9 mesi). Il profumo è intenso e fruttato; il sapore, molto fine, ha una buona struttura sebbene molto fresco. L’abbinamento consigliato è l’aperitivo o pesce in generale. Qui abbinato con lardo nostrano e miele di castagno.

12% VOL. – servito a 6/8°C – costo medio di una standard 20,00 €

  • uve – 70% Chiavennasca (Nebbiolo); 30% Chardonnay

OPERA CASA VINICOLA MAMETE PREVOSTINI (Mese) *l’etichetta ospita ogni anno un artista valtellinese, il 2019 è la volta di Elena Pontiggia

è un vino bianco (colore: giallo paglierino brillante) fermo. Vinifica fermentando in acciaio inox e affinandosi 5 mesi in fusti di rovere. Il profumo è fresco ed equilibrato; il sapore ha note di frutta matura come mela ed albicocca. L’abbinamento consigliato è l’aperitivo, secondi di carne o pesce e formaggi poco stagionati. Qui abbinato con Crotto stagionato e marmellata di mirtilli. * Il Crotto è un formaggio vaccino semiduro con gusto deciso, il quale matura nei tipici crotti della Valchiavenna (grotte con ventilazione costante).

13% VOL. – servito a 8/10°C – costo medio di una standard 18,00 €

  • uve – 30% Chardonnay, 10% Sauvignon, 5% Pinot Bianco; 5% Incrocio Manzoni (Riesling + Pinot Bianco) nella zona di Postalesio

CA’ BRIONE CASA VINICOLA NINO NEGRI (Chiuro)

è un vino bianco (colore: giallo paglierino) fermo. Vinifica con un leggero appassimento di 15 giorni, fermentando e affinandosi in piccole botti di rovere. Il profumo è floreale e tende al sambuco; il sapore ha note di frutta come pesca, pera e melone. L’abbinamento consigliato è un primo di terra in bianco, un secondo di pesce/crostacei o un formaggio fresco. Qui abbinato con un Casera 300 giorni e la Bisciola. * Il Casera è un formaggio vaccino realizzato con latte parzialmente scremato e con un sapore più dolce del Bitto, tendente alla frutta secca; la Bisciola è un pane nero con frutta secca e uvetta, un dolce poco dolce.

13% VOL. – servito a 10/12°C – costo medio di una standard 27,00 €

  • uve: 45% Sauvignon; 30% Chardonnay; 15% Incrocio Manzoni (Riesling + Pinot Bianco); 10% Chiavennasca (Nebbiolo) nella zona di Chiuro, Teglio e Tresivio

La mia classifica: 1. Opera – 2. Villa Quadrio – 3. Cà Brione – 4. Spumante Rosé Bettini

Miss Raincoat

“Non esiste un vino buono, esiste solo un vino che ti piace”

Un ringraziamento speciale per gli insegnamenti di mangia&bevi (bene) ai sommeliers Alessandro ed Elia dell’AIS di Sondrio 🙂

Cronache dal Bancone

Sabato ho fatto tardi all’appuntamento con le mie amiche S&S perché c’era un traffico assurdo in entrata a Sondrio… Quindi, sono giunta al luogo del nostro meeeeeting (che è una panchina, tipo anziane) con una fame cieca, dacché erano già le 7,40. Ma vuoi rinunciare all’aperitivo? Assolutamentissimamente NO!!!

COSA HO APPREZZATO DI QUESTO APERITIVO
  • Il Negroni – è un cocktail che non amo. Ok, non è stucchevole ma è un po’ forte se sei a corto di pappa nel pancino. Eppure, questo mi è piaciuto. Bello. Color Rosso Campari. Con il gin perché lo vogliamo giusto. E con il vermut. Giustamente l’oste ce lo fece fiutare prima, perché un buon Negroni lo si riconosce da questo ingrediente, un vino liquoroso che basa la sua aromaticità sull’assenzio.
  • Le polpette greche – si dice presto polpetta (prendi un po di carne la appallottoli e la friggi, sembrerebbe all’apparenza facile) ma nooooo, queste erano le keftedes (carne macinata + cipolla + menta), ovviamente abbinate alla mia salsa preferita, ossia la tzatziki (yogurt + cetrioli + aglio), originaria dei Balcani.
  • I turtei de pum (frittelle di mele della Valtellina) – Beh, prima di tutto le ho apprezzate perché dopo la vacanza sensoriale tra casa al mare e casa in montagna di Dracula l’alito andava ripulito. E devo dire che la mela fa la sua sporca mansione. Il bar le offriva anche perché agosto e settembre (fino ai primi d’ottobre per le tardive) sono i mesi di raccolta delle nostre Mele di Valtellina IGP, in particolare per le frittelle vengono utilizzate le Golden (l’impasto prevede: mele, farina 00, zucchero, latte, acqua frizzante meglio se Levissima, lievito, uova e un pizzico di sale * per aromatizzare: cannella o rum o limone). Vengono fritte in olio di arachidi e infine spolverate con lo zucchero a velo. Solitamente, si cucinano per Carnevale. Perchè le Mele di Valtellina sono speciali? Dicono per l’escursione termica. Ma detta così non si capisce, vero? Sono più colorate, non presentano retrogusti rugginosi e sono profumatissime.

Una mela al giorno toglie il medico di torno, ma se la friggi non ti serve più nemmeno Adamo!

🙂 Ringraziamo il King’s Caffé di Sondrio

Miss Raincoat e le sue Dame di Compagnia

Morbegno La Sera è Viva 2018

Haute Saison. In francese, forse, suona più dolce. In italiano si dice “Oh, ma per me quando arrivano le vacanze?”.

Beh, l’avevo messo in conto,comunque, che avrei dovuto badare ai turisti in orario di vacanza e badare a me stessa, mentre i comuni mortali lavorano o sono a scuola o si lamentano di qualcosa sui social. Non mi ero resa conto che avrei perso l’opportunità di poter andare ai concerti migliori della stagione estiva. Punterò sulle piccole serenate notturne, ho deciso! In questo periodo, quindi, si lavora e non si dorme mai. E si cerca di non perdere voce, pazienza e memoria. E a Morbegno, capitale della Bassa Valtellina, un caposaldo di questo periodo è Morbegno La Sera è Viva.

Quest’anno la manifestazione  compie 25 anni. Ergo, è nata prima che io imparassi a leggere e scrivere. Prima che quella str** della maestra P. d dicesse a mia mamma – con me lì presente – che ero troppo goffa e timida per riuscire mai a sembrare intelligente o simpatica o spigliata. . E invece eccomi qui a lavorare tra i migliori, a destreggiarmi tra una serie di oltre 40 appuntamenti che porteranno i turisti a passeggiare dalle Porte della Valtellina, paeselli di mezza costa compresi,  fino alle ridenti sponde del Lago di Como. Ovviamente, dovrei anche ricordare la maestra M. che, invece, ha creduto in me e nella mia innata abilità di raccontare storie avvincenti. E che mi ha insegnato a farlo nel modo corretto, che mi ha insegnato a osservare la meraviglia che mi circonda, ad ascoltare le persone, a gongolare e ad accettare le critiche intelligenti. Che mi ha insegnato a perdermi nei libri e nelle canzoni e a ritrovarci me stessa. La maestra M. mi ha insegnato a orientarmi. La maestra P. … va beh, non voglio dirlo!!!

Io quest’anno, dopo aver proposto monumenti minori o angoli di strade, ho deciso di puntare i riflettori su due dei pezzi forti: l’ex chiesa conventuale di Sant’Antonio e il Palazzo Malacrida di Morbegno. Li ho scelti per vari motivi: a) sono un monumento “sacro” e un monumento “profano” b) rappresentano i due apogei artistici di Morbegno: il Cinquecento e il Settecento c) sia i Domenicani sia i Malacrida rappresentano le personalità più controverse della Bassa Valle.

Qui sotto vi annoto i due appuntamenti:

  • mercoledì 4 luglio h. 20,30  – Palazzo Malacrida
  • mercoledì 11 luglio h. 20,30 – Chiesa di Sant’Antonio

A chi mi dice per primo “beata te che sei sempre in giro” regalerò la mia maglietta preferita. (Ho sentito dire che gli haul tra i blogger sono popolari, no? – Ma io non sono né blogger né popolare. Qui si domano solo unicorni! E si regalano magliette usate. Ahahah).

[per scaricare programma completo e info aggiuntive qui]

❤ Miss Raincoat