Colorina: alcune notizie storiche

Andiamo avanti con l’avanscoperta del mio territorio d’origine…

La nascita di Colorina

8 maggio 1488 – Colorina e Fusine, per motivi di tasse esose, si staccano da Berbenno costituendo un Comune unico.

Purtroppo, il matrimonio non fu mai d’amore. L’Adda sempre in piena causava liti per chi dovesse sistemare gli argini; inoltre, gli alpeggi della Valmadre e della Valcervia erano spesso i figli contesi.

8 aprile 1513 – Colorina diventa un comune a sé stante, con le quadre (tipo odierne frazioni) di Corna, Borgo (Centro + Poira e Bocchetti), Monte Nona, Rodolo (includeva anche Gaggine, l’odierna Selvetta + Busca Spessa, gli odierni Piani che erano una palude con isolette) e Valle. Il torrente di Colorina è il Presio.

Nel 1533 Colorina acquista l’Alpe Cogola e l’Alpe Bernasca, utili alle attività di pastorizia (che costituivano l’unica ricchezza per il Comune poverissimo) le quali appartenevano uso capione ai dei contadini bergamaschi. Questo causa una scomunica da parte di Clemente VII.

Piccolo ragionamento sui toponimi

Colorina – viene dal latino corylus = nocciolo

Poira – Dal dialetto lombardo purif = zona ombreggiata, senza sole

Bocchetti – Dal dialetto buchec‘ = piccoli boschi

Gaggine – dal longobardo gahagi = bosco privato di robinie

Rodolo – etimologia incerta, forse da un nome di persona (lo capiremo nelle prossime puntate)

Corna – dal latino cornu = monte non molto alto

(Alpe) Cogola – dal latino cotes = pietra, roccia

(Monte) Nono/a – nell’antichità romana l’ora nona era tra le 14 e le 15, forse l’orario in cui questa fitta abetaia era illuminata; oppure, era una nomenclatura legata alla misurazione dei terreni. Questa zona è legata alla Leggenda della Volpe che puoi leggere qui.

(Alpe) Bernasca – dal tedesco brennenberg = montagna bruciata, arsa e con vegetazione rada

(Torrente) Presio – dal latino praesum= che sta sopra in posizione di comando e presidio

Una curiosità storica

Durante le Guerre di Valtellina, una delle truppe francesi del Duca di Rohan si stanzia tra Fusine (di giorno) e Colorina (di notte). Era la truppa di Monsieur de Melun, composta da 700 soldati e 30 cavalli, che rimane sul territorio dalla primavera del 1636 alla primavera del 1637. Il decano di Fusine (il Sindaco) aveva scelto come fornitore un certo Giacomo Pasquino di Dusone (Berbenno), della famiglia dei Mezzera (quelli della Gisèta di Morbegno). I sindaci non potevano sottrarsi all’obbligo di fornire vitto e alloggio agli eserciti di stanza, ma Colorina fa causa a Fusine perché non vuole contribuire alle spese. Tra le cose, i Francesi, schierati con i Grigioni, erano i nemici della Valtellina schierata con la Spagna. L’esercito porta la peste e in un anno muoiono 129 colorinesi. In più, i soldati stupravano le donne, rubavano bestiame, vino e castagne.

Miss Raincoat

Pubblicità

Gisèta di Via Margna 1×02

[Come molti di voi già sanno, ho dato al mondo la Ricerca sulla Gisèta di Via Margna. Davvero, non pensavo che così tante persone, non solo morbegnesi, fossero tanto affezionate a un posticino così poco conosciuto e così tanto piccolo. Grazie mille ancora per tutti i complimenti post-presentazione, non solo sulla ricerca stessa (che in effetti ha dissepolto una storiella mooolto interessante e intrigante), ma anche sul mio modo di pormi come guida. Non sapete quanto possa fare piacere sapere di aver preso la strada giusta, specie per chi fa un mestiere come il mio!!! Per quanto riguarda la ricerca vera e propria la potete già consultare presso la Biblioteca di Morbegno. Quelli che vorranno leggere o conservare (o utilizzare per i tavoli traballanti), il libro-guida dovranno aspettare qualche mese (ma sicuramente prima della fine dell’anno, mi hanno fatto sapere…). Da quanto ne so, sarà un volume della serie “Conosci Morbegno”.Nel frattempo, per i curiosi, ne pubblicherò un brevissssssimo riassunto di quattro episodi qui sul mio blog]

La Gisèta dei Pasquini”

La Gisèta nasce nel Seicento:un secolo non solo triste e tormentato, ma anche pieno di contraddizioni. Esso si apre funesto nel 1600 con una scossa di terremoto e la superstizione sfocia nel cosiddetto Processo dei Bruchi (infestavano Morbegno – esiliati sui monti di Talamona). Nel 1620 la Valtellina entra a far parte della Storia: la ritroviamo sui libri di scuola per il cosiddetto Sacro Macello. I governatori delle Tre Leghe Grigie avevano inasprito non solo le tasse, ma anche il divario tra Riformati e Cattolici, in modo da distaccare la Valle dall’area “italiana”, così, fomentati dal Duca di Feria (governatore spagnolo cattolico di Milano) nel corso di una notte i Cattolici valtellinesi trucidano centinaia di valtellinesi Riformati (tanti erano passati dall’altra sponda per motivi di lavoro o di matrimonio) in un qualcosa a metà tra la guerra civile e l’attentato terroristico. Il Sacro Macello si inserisce nella Guerra dei Trent’Anni, durante la quale la “Spagna” (+Cattolici) e la “Francia” (+Riformati) si litigano l’egemonia sull’Europa con la scusa della religione: sappiamo, infatti, che dopo essere stata sconfitta dalla Francia, la Spagna restituisce la Valle ai Grigioni: a niente era valsa la guerra, solo a portare peste (terribile nel 1630) e carestia.

C’è da dire che alcuni si arricchirono durante la guerra. Le truppe andavano rifocillate (a spese dei Comuni) e i mercanti potevano fare la cresta. Al fine della nostra narrazione è bene sapere che tra Fusine e Colorina la truppa francese, oltre a “insegnare le buone maniere alle fanciulle” (Manzoni) consumava, a spese del decano di Fusine che si riforniva a Berbenno (per 700 soldati e 30 cavalli) – in una giornata: 1 vacca per la truppa, 1 castrato di pecora per gli ufficiali, 1 litro di vino a persona, 150 grammi di sale, se possibile anche pane, formaggio, burro e castagne.

Quando, nel 1639, tornarono i Grigioni in Valle, Morbegno fu più lungimirante rispetto agli altri Valtellinesi e cominciò una pacifica e rassegnata convivenza con gli svizzeri. Infatti, la ripresa della seconda metà del Seicento di Morbegno è notabile. Coloro che si erano arricchiti durante la guerra comprano terreni a prezzi stracciati, coloro che erano rimasti cattolici (e non si erano convertiti anche solo per convenienza) ornano chiese e costruiscono cappelle, i nobili si sporcano le mani con i mestieri dei borghesi come mercanti e notai (insomma, quei lavori che lucravano su chi non sapeva leggere o fare i conti). Insomma, la Morbegno della metà del Seicento, quando nasce la Gisèta, è una Morbegno nuova e vivace, seppure memore di un periodo orribile.

La mia ricerca è partita dall’iscrizione sia esterna sia in controfacciata che ci dà due informazioni: quando – 1665 e chi – Pasquini. La Confraternita dei Luigini, sita dall’Ottocento in questa chiesina, si è tramandata che i Pasquini erano una famiglia ricca che non ebbe eredi (li ebbe, ma non consoni) e che lasciò la chiesa a un prete che celebrò quì la sua prima messa (è la messa di consacrazione). Inoltre, senza fondamenta, per decenni si è creduto che i Pasquini fossero della famiglia Pasqualini di Aicurzio, imparentata con i Malacrida di Caspano.

I Pasquin sono, invece, un ramo della famiglia Mezzera. Questa famiglia borghese è originaria di Bellano/Dervio, dove si era arricchita con il commercio di pane e con il possedimento di forni (prestiné) e che si sposta, a inizio Seicento, anche a Morbegno e a Chiavenna. Il primo ad arrivare a Morbegno fu Carlo Mezzera detto di Bellano, che si sposa con una nobile degli Schenardi di Morbegno. Tramite l’incrocio di documenti notarili (in quegli anni i registri sono frammentari, sono secoli difficili) ho desunto la sua prole maschile sana (le femmine non sono quasi mai citate).

Carlo Mezzera era un giudice, lo ritroviamo spesso protagonista nelle carte dei processi di faide di famiglie spaccate in due per motivi di religione.

  • Il primogenito, nonché possessore della bottega di pane aMorbegno, è Nicolò Mezzera, morto di peste e senza eredi consoni nel 1639 (lo troviamo negli ex voto della Madonna delle Grazie a Sacco; la famiglia di sua madre era molto legata a questa Madonna molto venerata durante il periodo della Peste Manzoniana);
  • La bottega passa a Giovanni Pietro Mezzera detto il Pasquino. Lui sposa una nobile degli Acquistapace di Morbegno (la madre e la suocera erano due sorelle Schenardi) che muore di parto nel 1632, partorendo Giovanna, unica erede e malata di epilessia;
  • Don Giovanni Antonio Mezzera organista e sacerdote alla Collegiata di Sondrio;
  • Giacomo Mezzera detto il Pasquino di Dusone (Berbenno) fornitore delle truppe di Fusine e sposato con una Bassi, della famosa famiglia di notai;
  • L’ultimogenito Battista Mezzera (ha più o meno l’età di Giovanna) diventa notaio, sposa una Vicedomini dei notai di Traona e lì vi risiederà.

 

Quindi, i Mezzera erano borghesi che si erano allacciati con la nobiltà locale. Inoltre, i mestieri sia di notaio sia di prestiné garantivano di essere ricchi quanto i nobili. L’appellativo Pasquin deriva dall’agnello pasquale (lo troviamo anche nel sottarco del presbiterio, non si sa se è per questo!), simbolo della Corporazione dei Fornai e Panettieri. Sul portale della chiesa, comunque, lo stemma che spicca è quello Acquistapace della moglie nobile e più ricca (con i gigli, la spada e, ovviamente, la corona). La particolarità della facciata, eppure, rimane nelle statue sulla sommità (non sono ne angeli ne simmetriche): sono Giovanna bambina orfana e Giovanna adulta vestita da monaca (porta le spighe – il “denaro” dei Mezzera Pasquin).

La casa di Gio. Pietro era in Via Margna, al limitare del Pozzo Modrone, dove c’erano le botteghe artigiane, tra le quali la sua di famiglia. Il padre Carlo risiedeva nella zona di San Pietro; gli Schenardi in Via San Marco e gli Acquistapace in Via Cotta. Il legame famigliare tra Schenardi e Acquistapace lo ritroviamo nella pala d’altare degli Angeli Custodi in Via San Marco, culto radicato nella famiglia Acquistapace discendente da Gerola (nell’angolo in baso a sinistra c’è lo stesso stemma che troviamo sul portale). Inoltre, la moglie di Gio. Pietro lascia in dote le due statuine che rappresentano S. Michele Arcangelo e Angelo Custode (mensoline ai lati), che un tempo erano festeggiati ambo i due il 29 settembre; lascia anche la miracolosa statuina della Madonna messa a in teca d’altare. Gli Acquistapace erano importanti membri della Confraternita di S. Maria delle Grazie di Sacco, la cui statua trafugata nel 1927 fu importante nell’ex voto durante la peste del 1630. La statuina quattrocentesca della Gisèta è creduta gemella (ossia ricavata dallo stesso tronco) di quella di Sacco e presenta forti analogie anche con quella omonima di Gerola Alta.

Concludiamo la sezione storica antica con la protagonista della Gisèta: Giovanna Mezzera fu Gio. Pietro Mezzera detto il Pasquino. Nel 1664 apre a Morbegno il Monastero della Presentazione, Giovanna ha già 32 anni e suo padre scrive il suo testamento. Non si era risposato perché non voleva perdere l’eredità e lo status sociale della moglie. Con il testamento, lascia i suoi terreni a Morbegno, la bottega e la casa a Giovanna nominando come tutore il fratello, il notaio Battista; l’eredità della moglie (terreni a Regoledo – in loc. S.Maria e sotto Sacco – e corredo nuziale tra cui le statuine già citate) diventa un beneficio legato all’altare di una chiesa che fa costruire per ricordare la moglie e la sciagurata figlia: questo beneficio fu assegnato alla famiglia della moglie, gli Schenardi. Giovanna viene costretta nel Monastero perché nessuno la voleva con sé: oltre ad avere l’epilessia (ai tempi curata con vischio, fegato di avvoltoio, sangue e ossa umani) aveva anche la mano destra paralizzata. Di fatto, Giovanna era una mentecatta con una malattia da peccatrice (anche se la sua famiglia faceva parte della Confraternita del Santissimo Sacramento di Morbegno), perciò non poteva diventare una suora e alla sua famiglia andava benissimo che lei rimanesse in Convento nascosta a pregare, in cambio delle cure delle suore. Il rappresentante giuridico del Monastero, inoltre, era il notaio Francesco Schenardi (suo padre era fratello delle nonne di Giovanna), l’avido notaio che si ripulisce tasche e coscienza ristrutturando l’Angelo Custode. In più, la cospicua donazione che Battista fa al Monastero chiude il capitolo: Giovanna muore chiusa in convento nel 1698. Oltre a pagare la retta di ammissione come tutte le suore,infatti,  lo zio notaio dona dei terreni per avere uno sconto sulla retta (10 terreni a Morbegno appartenuti a Gio. Pietro). Ovviamente, questi soldi vengono pagati con l’eredità di papà Gio. Pietro in mano a Giovanna, ma gestita dallo zio.

Possiamo, quindi, definire la Gisèta, più che una cappella privata, il finto mausoleo voluto da un papà borghese in punto di morte.

[continua…]

❤ Miss Raincoat

Gisèta di Via Margna 1×01

Come molti di voi già sanno, ho dato al mondo la Ricerca sulla Gisèta di Via Margna. Davvero, non pensavo che così tante persone, non solo morbegnesi, fossero tanto affezionate a un posticino così poco conosciuto e così tanto piccolo.
Grazie mille ancora per tutti i complimenti post-presentazione, non solo sulla ricerca stessa (che in effetti ha dissepolto una storiella mooolto interessante e intrigante), ma anche sul mio modo di pormi come guida. Non sapete quanto possa fare piacere sapere di aver preso la strada giusta, specie per chi fa un mestiere come il mio!!!

Per quanto riguarda la ricerca vera e propria la potete già consultare presso la Biblioteca di Morbegno.
Quelli che vorranno leggere o conservare (o utilizzare per i tavoli traballanti), il libro-guida dovranno aspettare qualche mese (ma sicuramente prima della fine dell’anno, mi hanno fatto sapere…). Da quanto ne so, sarà un volume della serie “Conosci Morbegno”.
Nel frattempo, per i curiosi, ne pubblicherò un brevissssssimo riassunto di quattro episodi qui sul mio blog.

“C’era una volta Morbegno…”

La storia della Gisèta è ambientata nel Seicento, un secolo di pace forzata, rassegnazione e superstizione. Infatti, è in questo secolo che i Morbegnesi assistono al Processo contro i Bruchi che, sebbene stessero davvero infestando la cittadina, non avevano nessuna colpa per essere, addirittura, esiliati sui monti del paese limitrofo di Talamona. D’altronde, è anche lo stesso secolo che si apre funesto con una scossa di terremoto ben percepita a Morbegno.

Storicamente, l’epoca è ricordata per ciò che successe nel luglio 1620, il cosiddetto Sacro Macello, la strage perpetrata da un gruppo di Cattolici valtellinesi ai danni di circa 600 Riformati. Il luttuoso episodio è inseribile nel contesto della Guerra dei Trent’Anni (1618-1639), il conflitto tra quello che allora erano Francia e Spagna, per accaparrarsi l’egemonia del continente europeo. In verità, il casus belli fu la discriminanza di pensiero tra Cattolici e Protestanti, ma ben presto gli scontri divennero proprio politici e si tradussero in una catastrofe, per via delle soventi devastazioni sia di villaggi sia di campagne, saccheggi (dato che vari eserciti erano composti da soldati mercenari), carestie, uccisioni di massa ed epidemie micidiali.

Del resto, anche la Valtellina, in pochi anni, si vide dapprima stanza dell’esercito spagnolo e poi quello francese, ottenendo come tornaconto soltanto il batterio della peste, della quale ricordiamo spiacevolmente l’ondata del 1630, che dimezzò drasticamente la popolazione nel sondriese. A Morbegno, gli abitanti, per scampare all’infezione, vissero a lungo segregati nelle cantine delle abitazioni o si trasferirono nelle baite di montagna. Tuttavia, il sacrificio non valse a nulla, dacché nel 1639, all’indomani del Capitolato di Milano, la Valtellina fu riconsegnata in mano alle Tre Leghe Grigie, che la Corona spagnola si era riproposta di scacciare, in nome del Cattolicesimo.

Dopo la strage, i Grigioni si erano ritirati in Svizzera e la Valtellina, presso il Forte di Fuèntes , fu presidiata dall’esercito spagnolo, all’inizio con lo scopo di appoggiare i Cattolici e, presto, per portare la Valle sotto il dominio asburgico. Tra il 1624 e il 1631, intanto, l’esercito francese, ai comandi del Duca di Rohan, condusse una Campagna per scacciare gli avversari spagnoli e restituire la sovranità alle Tre Leghe Grigie. Nel 1635, di fatto, la Spagna venne sconfitta, ma non provò ad opporre resistenza in nome della religione, siccome non aveva affatto a cuore la questione valtellinese, bensì la sua strategica funzione di crocevia. Il Capitolato del 1639 fu una pace studiata a tavolino con la quale, senza rancore, la Spagna rese la Valtellina ai Grigioni; grazie al Papa, alleato della Spagna, si ottenne che, a Sud delle Alpi, fosse tollerato solo il Cattolicesimo, ossia che, salvo i funzionari, nessun Riformato potesse dimorare in Valtellina per più di tre mesi.

I potenti signori svizzeri, soprannominati Bündner Wirren (dal tedesco,”Torbidi Grigioni”) stavano già inginocchiando i Valtellinesi tramite tasse e pretesti religiosi, sin dal Cinquecento, al fine di ottenere un terreno florido per l’agricoltura e conosciuto da secoli per i terrazzamenti coltivati a vigneto: la guerra fu soltanto l’apoteosi di un periodo di estrema tensione. La Valtellina, con le Contee di Bormio e Chiavenna, interessava alla Spagna, per raggiungere i suoi territori d’oltralpe, senza passare dalla Repubblica di Venezia, alleata con la Francia. Ovviamente, la Spagna approfittò del nervosismo che già albergava in Valle. Da Coira, sopraggiunse l’imposizione di consegnare almeno una chiesa per paese ai predicatori evangelici, la quale dottrina non prevedeva la rappresentazione di Dio e i Santi, considerata idolatria (mentre, per i Cattolici, la rappresentazione del divino era parte dell’educazione religiosa) e, soprattutto, fu ristretta la facoltà di essere meta di visite pastorali (l’unico che ci riuscì fu il morbegnese vescovo Feliciano Ninguarda) e di avere più di un certo numero di conventi (i Grigioni volevano radere al suolo quello di Sant’Antonio a Morbegno). Queste decisioni, furono molto più che poco democratiche, se si pensa che l’identità valtellinese, pur concedendo che parte della popolazione fosse costituita da convertiti oppure “immigrati” grigionesi, restava in maggioranza cattolica. L’attrito si fece sempre più palpabile, quando, infine, fu torturato ed ucciso il beato Nicolò Rusca, che seppure davvero avesse fomentatol’odio verso i Riformati, era già anziano. L’idea dell’attentato del 1620 nasce all’indomani di questa  morte, voluto benchè molti Evangelici fossero valtellinesi così come coloro che li trucidarono. Il burattinaio della cruenta rivolta fu, chiaramente, il Duca di Ferìa, che da Milano rappresentava il governo spagnolo.

Nel 1636, dopo i tumulti del Sacro Macello e la vittoria a Morbegno, tra i territori di Fusìne e Colorina, si poteva vedere accampata la truppa francese (gli alleati dei Grigioni) di Monsieur de Melun, dell’esercito del duca di Rohan, nella dimensione di circa 700 soldati e 30 cavalli. I decani di Fusìne e di Colorina, a loro malgrado, si dovettero impegnare a fornire vitto e alloggio al drappello, benchè fossero Cattolici. Inutile dire che, oltretutto, i paesi dovettero anche subire arroganze, soprusi, il contagio della peste da dei militari che, più che altro, come scrisse il Manzoni insegnarono le buone maniere alle fanciulle. È documentato che il reggimento in solo una giornata consumava una vacca per la truppa, un castrato di pecora per gli ufficiali, un boccale di vino a persona (un litro circa), mezza libbra di sale (150 grammi) e, se fosse stato possibile, anche pane, formaggio, burro e castagne. — Cit. Da una ricevuta, datata 6 dicembre 1636, la quale prova che il decano di Fusìne deve a Giacomo Pasquino, di Dusone a Berbenno, una somma di denaro per la spesa di vitto)

Comunque, durante la seconda metà del Seicento (specie dopo il 1639), Morbegno si riprende straordinariamente. Mentre la maggior parte dei paesi della Valtellina erano ancora in astio con i dominatori grigioni, i più lungimiranti Morbegnesi, cercarono di accettare la triste realtà stringendo alleanze economiche, in modo da beneficiare della beffa. Grazie, appunto, al fiorente commercio di una cittadina già aperta verso la Serenissima, mediante la Via Priula costruita a fine Quattrocento, poterono essere costruiti chiese e palazzi. Addirittura, il mestiere dei mercanti era diventato talmente vantaggioso da far sì che molti nobili decisero di sporcarsi le mani di un denaro guadagnato alla maniera dei borghesi (allo stesso modo, il mestiere del notaio e del giudice p.e.). Le famiglie che diedero impulso alla “riconquista” di Morbegno furono i Vicedomini, i Malacrida e i Parravicini, dei quali alcuni rami, soprattutto per convenienza, si erano uniti alla causa della Riforma insieme ai Grigioni; però, coloro che rimasero coerenti nella professione di fede, abbellirono chiese e cappelle con onerosi lasciti e benefici, spesso anche sotto forma di preziose opere d’arte. Eppure, è proprio a cavallo tra Seicento e Settecento che i Grigioni acquistano varie proprietà nella Valtellina, da poco ritornata sotto il loro controllo. Erano dei terreni che, dopo i saccheggi, non erano più ricchi di coltivazioni e fu una conseguenza ovvia che tutti coloro che durante la guerra si erano arricchiti investirono il loro denaro, comprandoli a prezzo stracciato. Come contravvenivano agli accordi del Capitolato di Milano? Spesso, affittavano a livello i possedimenti a coltivatori locali, concedendoli in godimento a determinate condizioni di vantaggio; altre volte, costruendo anche sontuosi palazzi residenziali, contestavano la legge contraendo matrimoni con donne con cittadinanza valtellinese. È stimato che un quinto di campi, vigne e alpeggi, a quel tempo, fossero di proprietà grigionese.

Don Giovanni Tuana  ci racconta molto dettagliatamente la Valtellina di metà Seicento nel suo “De Rebus Vallistellinae”. In particolare, descrive una Morbegno popolata di circa 300 famiglie, tra le quali molte nobili o forestiere. Qui si teneva un mercato settimanale e si potevano trovare botteghe di ogni arte e sorte. La Chiesa di Sant’Antonio risultava essere molto frequentata, sia per messe o preghiere molto frequenti, ma anche per la musica. Nella piazza antistante, oltre al mercato, si tenevano mostre e giostre, perciò era un luogo dove si potevano fare piacevoli passeggiate. Verso il fiume Adda, Morbegno aveva una zona campestre fertile e con allevamenti bovini. Nella frazione di Campovico, esposta al sole, abbondavano vigne e vi era un torchio, in loc. Cerido, dove si produceva un vino assai prezioso; la frazione Arzo, invece, ricca di castagneti, era anche il luogo dove si facevano pascolare mucche e capre, che, ovviamente, in estate si trasferivano in Val Gerola, indiscusso regno di quel formaggio eccellentissimo che poteva gareggiare con il Parmigiano citato dal Tuana.

[continua…]

❤ Miss Raincoat

 

Il San Giovanni in Valmala ad Ardenno

Valmala è una contrada di Ardenno  poco sopra via Calchera; i suoi primi abitanti discendevano da Gaggio, un’altra frazione di questo Comune retico. Gli avi ardennesi, popolavano questa zona più “scura” e scoscesa poiché il piano era prevalentemente paludoso fino alla bonifica ottocentesca.

Don Giacinto Turazza, nel suo scritto sulle chiese ardennesi , colloca cronologicamente questa cappella ca. nel 1630. In quegli stessi anni  in via Calchera, era stanziato il l’Esercito Spagnolo , opposto a quello Francese, che si trovava tra Fusine e Colorina (ovviamente, a spese dei Comuni ospitanti).

Le Guerre di Valtellina (Sacro Macello, 1620 – Capitolato di Milano, 1639) furono un conflitto nato per il dominio delle terre di Valtellina, Bormio e Chiavenna da parte dei Grigioni, poi sfociato nel più ampio conflitto della Guerra dei Trent’Anni (Francia & Protestanti VS Spagna & Cattolici).

Il committente della cappella privata fu Antonio Tartaglia, un borghese proprietario terriero del quale non sappiamo nient’altro. Consideriamo probabile che questa chiesa fosse un ex voto post- peste Manzoniana (1630), la quale aveva fatto man bassa anche qui ad Ardenno. Sappiamo bene anche che dal Cinquecento – a causa del clima di ristrettezza economica causato dal dominio grigione e corollarimolti ardennesi emigrarono nelle capitali economiche italiane, come Roma e Napoli.  A volte, facevano costruire nella Ardenno natia delle cappelle/santelle/chiese a proprie spese (palese il caso della S.M. Assunta di Biolo).

Lo stile della chiesetta è molto semplice, con uno spartano campanile a vela, ma anche con le piccole ricercatezze nel portale e nel timpano spezzato.

La dedicazione a San Giovanni lo vede come protettore dalle calamità naturali. Il 24 Giugno ad Ardenno, da sempre, viene celebrata una messa nella cappelletta seguita da uno spuntino con gli amici e famiglia. La celebrazione della Nascita di San Giovanni è antichissima: S. Agostino la fa risalire al I sec. La ricorrenza, non a caso, cade in concomitanza con il Solstizio d’Estate ed è la Festa della Fertilità, essendo il sole allo zenit e la luna in cancro. La notte del 23 Giugno, la più corta dell’anno, è pure la notte in cui le streghe si divertono a infestare le mele con i giuanin, il nome dialettale dei bruchi.

Il Santo è rappresentato sia in un affresco esterno, sull’ala verso nord, e in una tela conservata all’interno (visibile tramite una grata). All’esterno viene raffigurato in modo popolare, con la sua iconografia più riconoscibile: veste rossa del martirio, bastone dell’Agnus Dei (ciò che predicava nel deserto), trasandatezza tipica del suo voto di nazireato (ascetismo). abbiamo anche una cornice a forma di conchiglia, simbolo del Battesimo di Cristo. La tela della cappella è abbastanza pregiata, ma è di autore ignoto.La rappresentazione del Battesimo si rifà al Vangelo di Marco (anche per via del suo implicit evangelico sulla vox clamantis in deserto come il ruggito di un leone) con il Cielo che si apre per la discesa dello Spirito Santo. Altri elementi immancabili del soggetto pittorico sono il fiume Giordano, la città immaginaria sfumata nello sfondo (Nazareth) e gli Angeli. Anche qui troviamo una conchiglia – che non sempre è presente nel corredo iconografico – che fu dapprima il simbolo pagano dell’unione fertile tra uomo e donna, quindi la nascita; nel mondo Cristiano, tramite la purificazione battesimale con l’acqua, la venuta al mondo come Credente.

Il pittore potrebbe rifarsi alla Scuola di Sigismondo de Magistris, pittore della seconda metà del Cinquecento e ligio alle regole del Quattrocento milanese, attivo in Valtellina – nei dintorni possiamo apprezzare le sue Storie del Battista presso Bioggio di Mello nel 1522.

…[Eternal sunshine of my spotless mind]…

❤ Miss Raincoat