Il Complesso di Sant’Antonio a Morbegno

Facciata e Protiro

Il primo nucleo della chiesa, inizialmente dedicata a Santa Marta, esisteva già circa nel 1370 ed era comunemente conosciuto con il nome di Santa Marta in Quadrobbio (ossia “quadrivio“).

La sua storia si interseca con le vicende degli Inquisitori Domenicani provenienti dal Convento di San Giovanni a Como (odierno edificio della stazione ferroviaria), già presenti in Valle per convincere con le buone o con le cattive gli eretici antipapali, ma definitivamente ospiti ben graditi dal 1328, anno in cui scappano dalle lotte tra guelfi e ghibellini a Como e si rifugiano, inizialmente, attorno al San Domenico a Regoledo di Cosio.

A fine Quattrocento, addirittura con l’approvazione degli Sforza, Morbegno decide di ampliare la Santa Marta (* Sant’Antonio, originariamente, era il secondo dedicatario; con l’ampliamento Santa Marta viene mandata in pensione…) e farla diventare il complesso conventuale che avrebbe ospitato i domenicani in una location più consona al loro prestigioso ruolo. Sulla carta, la Comunità di Morbegno si proclamava cattolicamente contenta di poter avere i frati inquisitori in loco, siccome l’eresia stava traviando anche il clero locale e c’era bisogno di una guida spirituale; sul rovescio della pagina, però, non dimentichiamo che ospitare la Sede Inquisitoria dell’intera Valtellina a Morbegno dava lustro alla cittadina! In poco tempo, inoltre, molti valtellinesi cominciarono a recarsi spesso in questa nuova chiesa per partecipare a quei riti tipicamente domenicani, spettacolari e con musica emozionantissima.

Ma ritorniamo all’Arte.

L’esterno della chiesa, realizzato nei primi anni del Cinquecento, si colloca nel Rinascimento Valtellinese (stessi anni dell’Assunta di Morbegno; architettura top del periodo: Il Santuario di Tirano), sebbene il coronamento a forma ondulata ci riporta subito al rifacimento simil-barocco del Seicento. Quindi, si potrebbe dire che ciò che rimane di veramente – ma superbamente – rinascimentale sia il protiro (la struttura di copertura del portale).

Quello che faccio sempre notare ai turisti è questo: in poco spazio, vengono conglobati molti elementi, difficili da cogliere con un solo sguardo distratto. Ecco a cosa servono le guideeh 🙂

Partiamo, insolitamente, dai particolari. Abbiamo quattro colonne snelle, rinforzate da fasce, le quali, rispettivamente portano il tatuaggio di importanti stemmi: lo stemma della famiglia morbegnese Ninguarda, ossia i committenti, lo stemma di Morbegno (chiave e spada, S. Pietro e Paolo – i patroni), la tau di S.Antonio e il cane dei Domenicani. Anche lesene del portale reggono un’Annunciazione sulla parte frontale (con Maria e Arcangelo Gabriele separati, soluzione molto pop-rinascimentale) e sui profili dei ritratti di San Domenico e San Vincenzo (forse il più cattivo degli inquisitori domenicani – non dimentichiamoci che pure in Valtellina qualche strega venne bruciata!). I capitelli delle colonne, infine, sono decorati con sole e teschio, per creare il ciclo infinito di vita e morte – per me, un grande indizio di Rinascimento: finito il lockdown medievale, si vedeva molta luce e molta speranza…

Il mio particolare preferito del protiro è la volta. Lo so, è un mero esercizio di stile dello scultore, però i cassettoni finti sembrano il matelassé di Coco Chanel anche se è stato realizzato con maestria di scalpello sul marmo di Musso.

Le opere di concetto sono quelle delle due lunette.

La lunetta scultorea è stata realizzata da Francesco Ventretta di Piuro (Valchiavenna), il quale realizza tutta la scultura del protiro circa nel 1517. L’artista era cognato di Tommaso Rodari, papà della parte rinascimentale del’Assunta di Morbegno e del Santuario di Tirano, nonché colui che porta il Rinascimento architettonico in Valle. La Pietà che ci lascia il Ventretta è molto drammatica, specie nel volto disperato di Maria e resa ancor più drammatica dal fatto che è stata posta sopra l’Annunciazione.

La lunetta pittorica è stata realizzata da Gaudenzio Ferrari, circa nel 1526 – negli anni in cui era impegnato sul cantiere dell’Assunta di Morbegno. Famoso per i Sacri Monti del Varallo e per la lezione leonardesca che impregna le sue opere, si stabilì a Morbegno dopo le sue seconde nozze con la nostra Maria Foppa, vedova Ninguarda. La sua Natività ha i suoi amabili colori tersi, soprattutto il blu molto ceruleo. Inoltre, un suo marchio di fabbrica sono gli angeli musicanti, tutti uno diverso dall’altro. Due di questi angeli tengono in braccio Gesù Bambino, poiché all’epoca le donne importanti facevano accudire i loro figli dalle balie. In maniera molto rivoluzionaria per l’epoca, Giuseppe si protende verso il centro della scena. In quegli anni, infatti, alla figura del padre putativo era stata riconosciuta la grande missione di avere accettato il disegno divino anche se fosse soltanto un uomo.

Così, anche le due lunette si pongono a simbolo del ciclo della vita e in maniera del tutto positiva rispetto al progetto che dall’alto era stato riservato all’uomo. Per questo motivo, si può dire che non solo la forma ma anche il significato pongono quest’opera al centro del movimento culturale del Rinascimento.

Umberto Saba

“Ed è il pensiero della Morte che, infine, aiuta a Vivere”

Miss Raincoat

Pubblicità

Morbegno La Sera è Viva 2018

Haute Saison. In francese, forse, suona più dolce. In italiano si dice “Oh, ma per me quando arrivano le vacanze?”.

Beh, l’avevo messo in conto,comunque, che avrei dovuto badare ai turisti in orario di vacanza e badare a me stessa, mentre i comuni mortali lavorano o sono a scuola o si lamentano di qualcosa sui social. Non mi ero resa conto che avrei perso l’opportunità di poter andare ai concerti migliori della stagione estiva. Punterò sulle piccole serenate notturne, ho deciso! In questo periodo, quindi, si lavora e non si dorme mai. E si cerca di non perdere voce, pazienza e memoria. E a Morbegno, capitale della Bassa Valtellina, un caposaldo di questo periodo è Morbegno La Sera è Viva.

Quest’anno la manifestazione  compie 25 anni. Ergo, è nata prima che io imparassi a leggere e scrivere. Prima che quella str** della maestra P. d dicesse a mia mamma – con me lì presente – che ero troppo goffa e timida per riuscire mai a sembrare intelligente o simpatica o spigliata. . E invece eccomi qui a lavorare tra i migliori, a destreggiarmi tra una serie di oltre 40 appuntamenti che porteranno i turisti a passeggiare dalle Porte della Valtellina, paeselli di mezza costa compresi,  fino alle ridenti sponde del Lago di Como. Ovviamente, dovrei anche ricordare la maestra M. che, invece, ha creduto in me e nella mia innata abilità di raccontare storie avvincenti. E che mi ha insegnato a farlo nel modo corretto, che mi ha insegnato a osservare la meraviglia che mi circonda, ad ascoltare le persone, a gongolare e ad accettare le critiche intelligenti. Che mi ha insegnato a perdermi nei libri e nelle canzoni e a ritrovarci me stessa. La maestra M. mi ha insegnato a orientarmi. La maestra P. … va beh, non voglio dirlo!!!

Io quest’anno, dopo aver proposto monumenti minori o angoli di strade, ho deciso di puntare i riflettori su due dei pezzi forti: l’ex chiesa conventuale di Sant’Antonio e il Palazzo Malacrida di Morbegno. Li ho scelti per vari motivi: a) sono un monumento “sacro” e un monumento “profano” b) rappresentano i due apogei artistici di Morbegno: il Cinquecento e il Settecento c) sia i Domenicani sia i Malacrida rappresentano le personalità più controverse della Bassa Valle.

Qui sotto vi annoto i due appuntamenti:

  • mercoledì 4 luglio h. 20,30  – Palazzo Malacrida
  • mercoledì 11 luglio h. 20,30 – Chiesa di Sant’Antonio

A chi mi dice per primo “beata te che sei sempre in giro” regalerò la mia maglietta preferita. (Ho sentito dire che gli haul tra i blogger sono popolari, no? – Ma io non sono né blogger né popolare. Qui si domano solo unicorni! E si regalano magliette usate. Ahahah).

[per scaricare programma completo e info aggiuntive qui]

❤ Miss Raincoat

Una domenica a Como

Domenica scorsa sono tornata nella città che mi ha dato i natali (ma anche alcune pasque trascorse a mangiare gli arancini di zia Maria come antipasto). Lo so, da concittadina di Alessandro Volta, dovrei contraddistinguermi, se non per il genio, almeno per un  po’ più di tempra. Comunque, ci tenevo a ringraziare i miei Ciceroni P. e G. e anche Fabri Fibra per averci dato lo spunto per certe “eleganti e intelligenti” conclusioni (#stavocollibanese). 

collage

Il capolavoro indiscusso di Como è ovviamente il Duomo (**cfr. foto in copertina). Non vorrei fare la (Barba)rossa della situazione, ma vince  su quello di Milano. Fu costruito  a fine Trecento in sostituzione a una cattedrale precedente e ciò che mi stupisce è il contrasto tra il corredo scultoreo quattrocentesco di Tommaso Rodari (presente anche a Morbegno nell’esterno dell’Assunta), la cupola barocca di Filippo Juvarra e l’azzurro di un cielo di fine estate. 

Nel collage in alto troviamo, in senso orario:

  • Porta Torre – fortezza realizzata per difendere l’ingresso di Como, ai tempi di Federico Barbarossa (è un esempio  interessante di architettura militare romanica)
  • Chiesa della SS. Annunciata (meglio conosciuta come Del Crocifisso) -(già S. Pietro Celestino). Nell XIV sec. chiesa dei monaci Celestini, crebbe come Santuario per via del Crocifisso donato nel 1401 ai Confratelli dai pellegrini romei ,specie dopo il Miracolo delle Catene Spezzate al Ponte di S. Bartolomeo nel 1529; alcuni degli stucchi interni settecenteschi sono di Stefano Salterio da Laglio (che troviamo nella facciata del San Giovanni a Morbegno). La facciata è ottocentesca; il gruppo dell’Annunciazione è del 1871, in particolare. L’Ossario risale alla Peste del 1630.
  • Chiesa di S. Eusebio – è la chiesa dove si sono sposati mamma e papà. Le sue origini sono medievali, benché il finestrone termale (ampio semicerchio tripartito) sia seicentesco ed il pronao settecentesco; neanche a farlo apposta, nella prima cappella a destra troviamo un dipinto del valtellinese Eliseo Fumagalli, la “Comunione di S. Luigi Gonzaga”  (nell’ angolo in basso a sinistra la Casa dove il mio Babbo ha trascorso gli ultimi anni da scapolo)
  • Cortesella – che ci parla di un vivace medioevo fatto di botteghe
  • Piazza San Fedele – con Basilica del XII sec.
  • Broletto – al lato del Duomo, la più alta forma di municipalità medievale
  • Tempio Voltiano – sul Lungo Lago, troviamo un edificio in stile palladiano (famoso per essere stato impresso sul retro del deca “di memoria pezzaliana”) memore dell’illustre ingegnere comasco che inventò la pila, Alessandro Volta.
  • Casa del Fascio – dietro al Duomo e dirimpetto al Teatro, la geometria pura del razionalismo di Terragni, oggi sede della Finanza.
  • Teatro Sociale – Realizzato nel 1813 sul Castello di Torre Rotonda; fu dotato di corrente elettrica, ovviamente, da Volta.
  • Casa a Graticcio (Piazza S. Fedele) – del XVI sec. in legno e mattoni a spina di pesce
  • Casa a Corte (Cortesella) – il bello di Como è il poter spiare dentro i cancelli e trovarci l’Arte.

Chiaramente, per una che ama l’acqua come me, il giro non può che concludersi romanticamente sul Lungo Lago Mafalda di Savoia (**foto in centro).

La spensierata visita a Como mi ha trasmesso una malsana voglia di tornarmene a lavorare di buona lena, capendo che, probabilmente, le prime cose che vedi quando nasci ti rimangono dentro come una specie di imprinting. E mi ha anche regalato cento tonnellate in più, grazie all’abbondante pranzo di zia Maria!

Se volete organizzarvi per vedere ComoVisitComo

❤ Miss Raincoat