Il Castel Grumello

Le Giornate di Primavera del FAI di Sondrio si sono svolte a Piuro, considerata la Pompei alpina (il borgo originario fu distrutto da una frana avvenuta nel 1618). Dato che Piuro si trova in Valchiavenna, in modo da dare un’ampia visione sul panorama storico-artistico sondriese, è stato proposto anche un altro monumento sito in Valtellina (e fruibile tutto l’anno): il Castel Grumello.

Grumello, per chi è godereccio come me, è il nome di un vino. A essere sinceri, è la denominazione di una sottozona della produzione del Valtellina Superiore DOCG (detto il Nebbiolo delle Alpi), che indica i terrazzamenti vitivinicoli a nord-est di Sondrio, dominati dall’omonimo antico castello.

Però, se vogliamo fare per forza gli intellettuali, Grumello è una rocca nel Comune di Montagna in Valtellina sul quale si erge lo strategico fortilizio. La toponomastica di questa altura, del resto, viene dal latino “grumus” (roccia). Il Grumello fu insediato già durante l’Età del Ferro, come testimoniano le coppelle ritrovate nell’area.

Venne fatto costruire nel 1326 da Corrado De Piro, della famiglia ghibellina (infatti, i merli delle torri sono a coda di rondine). Nel 1372, però, i De Piro vennero sconfitti dai guelfi Capitanei (signori di Sondrio e residenti al Castel Masegra) e il maniero venne ceduto, per metà, a Tebaldo De Capitanei.

Strutturalmente, è definito gemino per via delle due strutture separate un tempo anche cinte e collegate da mura. Considerando gli scavi archeologici, oltre ad essere più ampio di come lo vediamo oggi, doveva essere anche uno dei più grandi castelli della Valtellina. La costruzione occidentale, pur essendo dotata di torre di avvistamento, era la parte residenziale: presenta, infatti, un arco d’ingresso, ampie aperture e il rudere di un camino.  La costruzione orientale, con la torre più ampia e con massi ben squadrati, invece, era l’edificio militare consacrato all’avvistamento dei nemici.

Il Castel Grumello, così come gli altri castelli valtellinesi, vide la sua fine con l’arrivo dei Governatori delle Tre Leghe Grigie che, per prevenire tentativi di riconquista, rasero al suolo tutte le fortificazioni nel 1526.

Orari: da marzo a settembre tutti i giorni (tranne i lunedì non festivi) dalle 10 alle 18; da ottobre a febbraio lo stesso, a parte che la chiusura è alle 17 – Prezzo: (devoluto al FAI) 3€ per gli adulti; 1 € per i bambini da 4 a 12 anni. 

❤ Miss Raincoat

Pubblicità

La mia Mostra del Bitto

Come vi avevo promesso,  parlerò della 110ª Mostra del Bitto anche sotto una mia luce più retrospettiva e introspettiva…

Ovviamente, per chi volesse sapere di cosa si tratta la kermesse di Morbegno per antonomasia può consultare il sito ufficiale qui 

Innanzitutto, vorrei ovviamente ringraziare il mio capo A. per aver scelto me tra tanti altri, il dott. M. (e tutto il FAI) per l’occasione, i colleghi che mi hanno sopportata e supportata (nun semo mica i scenturioni de Roma!), tutti i cocchieri che hanno organizzato con precisione il carrozzone dell’evento e, chiaramente, la folla di turisti senza la quale non si potrebbe nemmeno lavorare. Ah, dimenticavo anche H. N. Morse, che ha sintetizzato per primo il paracetamolo.

Morbegno, sabato 14 ottobre 2017

La mattinata l’ho trascorsa con la collega (pure di chioma) E. ed il mio capo A. per una sorta di “aggiornamento sul campo” nei  vari Presidi FAI:

  • Palazzo Folcher – Approfittando del fatto che l’edificio è soprastante all’antico Caffé Letterario di Morbegno, mi sono scottata dapprima la punta della lingua con un caffé nero bollente (“amaro, come la vita” cit. Capo A.) e poi mi sono meravigliata del racconto appassionato dell’arch. Cerri, il quale sta seguendo qui i lavori di restauro. In realtà ho intenzione di scriverne un post a sé stante nelle prossime settimane (e non vedo l’ora di poterci portare anche i turisti, una volta che il restauro sarà terminato): il luogo è stupendo nella sua corte raccolta e quasi segreta, nei suoi soffitti decorati e tutti diversi come i servizi di piatti chic’n’cheap e negli scorci verdi e azzurri che si possono spiare dalle finestre ancora da ripulire. Piazza 3 Novembre

  • Casa Mariani – Anche questa dimora ha una corte interna che mi ricorda la descrizione del giardino dei misteri di Mary. I Mariani sono ricordati come notai e giureconsulti, che rogavano nella tipica Stüa (locale “alpino” totalmente rivestito in legno e riscaldato tramite una stufa) del 1592. La particolarità di questa visita è che  stata condotta dagli eredi Mariani in persona, che, tra le cose, sono persone di una simpatia e dolcezza ineccepibile. Via Romegialli

L’ora di pranzo, da buona guida, l’ho passata in piedi, ma invece della Fiesta ho mangiato un panino (era un paninazzo, lo ammetto) Bitto+Bresaola preparatomi con amore dal mio barista di fiducia, il sign. B. Approfittando dell’orario poco di punta, mi sono concessa anch’io un giro in Mostra/Fuori Mostra. Massima stima per le donne che si sono prestate all’abbigliamento folk valtellinese: so per esperienza che gli sciapei (zoccoli di legno) sono più scomodi di un tacco 13 senza plateau. Mi è piaciuta molto, oltre alla tradizionale sfilata enogastronomica, l’esposizione degli sci antichi, comunque.

Durante il pomeriggio ho effettivamente lavorato presso il Presidio Fai del Complesso di Sant’Antonio (del quale troverete un mio riassunto qui). Lì si è chiarito anche che a) la cantina “nel Chiostro” si trova attraversando la porta del chiostro (siete fantastici quando bevete vino valtellinese, giuro!) b) sì, se entrate trovate anche il bagno, che non è ovviamente il pozzo al centro del chiostro c) le spille del FAI sono fashion, munitevene!

A parte gli scherzi, l’interesse dimostrato per i turisti che ho guidato è stato stratosfericamente appagante; ah, alla fine di un giro ho pure ricevuto una stretta di zampa inaspettata da un cane fighissimo e acculturato.

Dopo il dovere, il piacere.

Con una puntualità che non la contraddistingue, mia sorella è giunta al Presidio preceduta da due asinelli (che facevano parte delle attrazioni, non sono suoi) e questo è stato il momento catartico, che mi ha fatto capire di essere sopravvissuta alla giornata.

L’ultima cosa intelligente che ho fatto sabato è stata portare mia sorella a vedere il presidio FAI a Casa Mariani, dove abbiamo conosciuto una comitiva di tipi proprio nel mood dell’evento. Del tipo, gente che passa dal parlare della valenza ingegneristica della termodinamica ecologica (e stica’) del tipo architettonico della stüa [sic.]all’esclamare la necessità di un bicchiere di Valtellina e stuzzichini. Come Carducci, più o meno, in questa poesia.

Poi, come da previsto, tarallucci e vino anche per me.

Con tanto di apparizioni mistiche (ma neanche troppo), aperitivi rinforzanti plurimi e un Battisti di circostanza in questo periodo allucinogeno [Ringraziamo i musicisti e l'”oste” M. per le illuminazioni, comunque. Thx for made us believe in pink unicorns!]. E mi fermo con la narrazione perché della cena, siccome non si dovrebbe MAI brindare alla stanchezza cosmica, ricordo poco.

Mi sono voltata, improvvisamente, verso mia sorella e l’ho vista felice: per me, la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta nel non averle puntato il dito contro e di aver tifato per lei, purché stesse bene. E mi sono voltata verso di me e ho capito che è finito quel meccanismo malato di giornate senza parole, di non sentirmi abbastanza, di essere troppo severa con me stessa. Basta mettere il tuo rossetto più bello e più durevole e concederti di essere te stessa, senza voler essere all’altezza di qualcuno. Scusa, ma all’altezza di chi, poi?

Questa sarà ricordata come la giornata in cui ha ricominciato a funzionare una lampadina che credevo fulminata. Dopo 3 anni di non voler più essere me. Dopo 5 mesi di cattiva alimentazione e 1 mese di digiuno. Non c’è un motivo preciso o un nome di persona. Semplicemente, una specie di estate di S. Martino in anticipo, voluta da me. Volevo l’uragano, ma l’uragano sono io. <fine dello spot motivazionale>

«la serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino» J. H. Comroe

❤ Miss Raincoat 

*Sul mio Instagram potete trovare altre foto

Il Complesso di Sant’Antonio (in Mostra)

Durante la 110ª Mostra del Bitto , ho avuto l’onore di essere tra le guide dei presidi FAI che facevano da corollario all’evento che ha ancora una volta coronato e confermato la vocazione turistica della mia amatissima Morbegno. 

Cominciamo con il dire che il Sant’Antonio non è un monumento che si riesce a guardare nella sua interezza cogliendo una sintesi, perché è frutto di un susseguirsi di anni, di varie mani e di varie teste, sia laiche sia monastiche.

Detto questo, bisogna sapere che, per quanto nasca sulle spoglie di una primitiva chiesetta alle porte della cittadina, intitolata a S. Marta, proietta Morbegno oltre l’orizzonte provinciale. Infatti, fu un convento che, da una parte fu chiesto a gran voce dalla Comunità, ma dall’altra ospitò in un luogo definitivo i frati domenicani espulsi da Como durante le lotte tra guelfi e ghibellini.

La Chiesa viene consacrata nel 1504. In facciata, ciò che rimane dello stile originario rinascimentale è il protiro, che si compone di due lunette: in quella scultorea troviamo una Pietà molto drammatica di Francesco Ventretta, alunno dei famosi fratelli Rodari; in quella pittorica un Presepio di Gaudenzio Ferrari, considerato un alto esempio del Rinascimento Valtellinese, specie per i colori molto tersi.

L’interno della chiesa è l’ambiente che ha più risentito del radicale restauro barocco “grossolano” del 1663, il quale, non solo ha snaturato la leggerezza elegante rinascimentale con l’aggiunta di stucchi e arzigogoli, ma ha sostituito anche la copertura a capriate con una volta a crociera, la quale nasconde parte degli affreschi. Tuttavia, la struttura, un’ ampia aula con otto cappelle voltate a botte,  rimane a testimoniare un luogo studiato per le prediche appassionate tipiche dell’ambiente domenicano. Oggi, l’edificio è un Auditorium ed è “spoglio” per via della confisca napoleonica del 1798, che vide statue, dipinti, marmi, reliquiari andare all’asta . Comunque, dobbiamo pensare che, fin dalla sua costruzione l’impegno sostenuto per la decorazione costituì una vera e propria gara per il patriziato morbegnese e morbegnasco.

La mia cappella preferita è la prima di sinistra, del 1515 e dedicata a S. Caterina d’Alessandria, protettrice delle fidanzate e dei notai, di patronato dei Vicedomini. In essa si declinano la ricchezza cromatica del Cinquecento Lombardo.

Le altre cappelle di sinistra sono dedicate a Natività e Adorazione dei Magi, ai SS. Domenico e Pietro martire (dedicatario Convento e patrono degli emicranici) e ai S.Vincenzo/Beato Andrea Griego da Peschiera (le sue reliquie sono esposte nella parrocchiale di Morbegno) – Le cappelle di sinistra sono da datare tutte tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento (quella del S. Vincenzo è curiosamente del 1492, anno in cui Colombo scoprì l’America); a destra, la parte che presenta un sacco di emergenze anche addirittura dell’antica chiesa di S. Marta, troviamo S. Antonio abate, S. Martino, S. Domenico e S. M. Maddalena. 

Dalla chiesa si accede al chiostro Nord del 1485, seguito dal Sud del 1514 (costruito come spazio accessorio, in uno stile più “spensierato”).

Lo spazio, contraddistinto da una certa essenzialità monastica, si compone di un quadrato di 22 colonne in marmo di Musso che compongono archi arrecanti i colori domenicani (rosso, bianco e nero); sull’ala nord troviamo una meridiana con  la citazione eloquente “sicut umbra vita fugit“.

Appena usciti dalla chiesa ci troviamo in un angolo detto atrio, perché da lì ci entravano i frati. Vincenzo de Barberis, pittore cinquecentesco e maestro di Cipriano Valorsa, ci lascia due dipinti datati 1576, con una coloristica vivace inconfondibile e che riprendono gli stessi due temi delle lunette in facciata.

Quasi tutte le pareti del chiostro sono ricoperte da riquadri inerenti la vita e i miracoli di San Domenico, sempre in stile cinquecentesco, accompagnati da didascalie in rima in lingua volgare. Sulla parete nord troviamo un’interessante affresco seicentesco che riguarda la legittimazione dell’ordine domenicano da parte dei SS. Pietro e Paolo, patroni di Morbegno.

La visita si conclude nel Capitolo (stanza riservata alle riunioni e al Tribunale dell’Inquisizione) e nel Refettorio, ambi i due decorati con interessanti declinazioni del tema della Crocifissione con i Santi.

collage

E’ molto difficile riassumere in un singolo post tutto quello che conosco e amo di questo meraviglioso luogo d’arte che, più che una lettura, meriterebbe una passeggiata in loco (magari con me) !!!

Spero, comunque, di aver destato il vostro interesse!!! 

❤ Miss Raincoat 

 

What’s going on & other (Ghost) Stories

Una specie di aggiornamento di stato lungo, troppo lungo e poco interessante per Facebook e, probabilmente, anche per voi che leggete il mio blog (alcuni di voi si drogano assai, dacché lasciano pure likes. Grazie!). Quindi, a parte per la citazione all’album dei miei amatissimi Coldplay e per la foto che ho scattato dal terrazzo – ché non avevo nemmeno voglia di andare in giardino – , potete tranquillamente switchare la versione del visualizza e non risponde dei blogger.

< Ah, non c’entra un cavolo, ma con l’argomento mi è venuto in mente che ho ripreso con il mio hobby totalmente dilettantistico della fotografia. Sto leggendo e prendendo un sacco di appunti su tutte queste cose fenomenali come il bilanciamento del bianco, il fuoco, il controluce, il flash, i tempi brevi…. E la mia vecchia Nikon taroccata è felicissima!!! >

Stavo dicendo in apice, è un periodo di fermento. Sono già stanca a pensare alla stanchezza positiva che accumulerò in questo periodo di novità lavorative che, tra le cose più importanti, mi vedranno collaborare con il FAI durante l’evento della Fiera del Bitto a Morbegno e giocare a fare finta di essere una Madrelingua italiana con un gruppo di stranieri (unito, ovviamente, al mio solito peregrinare da Accompagnatrice e allo sproloquiare da Guida). – E, comunque, stay tuned perché porterò avanti la matta carrozza di questo blog trainata da unicorni rosa!

Quindi, ho l’ansia a mille, come sempre. Però sono anche felice. Molto. La stima lavorativa (il feedback, leggi come farebbe Fedez), dopo lavoraccio sporco e anche gratis, è arrivata; ora mi sto scaldando per la salita vera e propria. Come le ragazzèh con il grillètto facilèh cit. Fedez, sempre lui

Però, ci insegna Sandra Bullock con in mano l’Oscar (bando ai doppi sensi balordi), una donna in carriera (detesto questa parola, preferisco “donna con portafoglio di Gucci da sé acquistato”) deve per forza avere il cuore spezzato. Il mio non è spezzato, dacché chi non ti vuole intera non può averti a pezzi. Tuttavia, vorrei puntualizzare a colui che mi ha definita “non abbastanza” che non ho afferrato il concetto.

Stamattina sono passata davanti al’obitorio (non per motivi macabri: la fermata del bus si trova a un centimetro da lì). Mi sono sentita una di loro, una di quelle persone che piangevano un uomo che se n’è andato via troppo presto, spegnendosi letteralmente all’improvviso, come il mio Max. Sono troppo empatica, forse. O, più semplicemente, ho provato la stessa cosa nello stesso luogo. Io non sapevo nemmeno dove si trovasse l’obitorio. E non sapevo dove scavare per ritrovare la forza. Quello è stato l’unico periodo dei miei 27 anni e un quarto in cui non mi sono sentita abbastanza. Eppure, ho scavato con le unghie appena rifatte e ce ne sono venuta fuori. Puoi dirmi tutto. Anche che sono psicopatica. Anche che disprezzo quello che non posso avere. Ma non che non sono abbastanza. 

Manco di un’infinità di qualità. Ne ho molte altre. Je suis comme je suis. Però, nella sua assolutezza non è che non sono abbastanza, nessuno lo è. Sono emersa dal mio stesso buio e ho fatto in modo che quel nero, che non se ne va più via, faccia sembrare i miei colori più saturi, tendenti al fluo. Magari puoi dire che la mia tavolozza è kitsch, che non ti piace, che preferisci un wengé abbinato al cristallo. Non che non sono abbastanza. Non che ho poche tonalità. 

Dunque, invece che stare a sentire alla Bullock, io mi affiderei agli insegnamenti di quella strafiga della Winslet che, anche se c’è posto e ti chiami Leonardo Di Caprio, ti butta a mare lo stesso. 

Per finire, vi faccio pure ascoltare questa cover rock’n’rolla Made in Ticino dei Barbie Sailers della mia canzone preferita di questo mese, “Without You” di Avicii.

❤ Miss Raincoat