Stanza 1 : “Tipi Psicologici”
“Corrispondenze fra il passato e il presente. Corrispondenze fisiche, non c’è dubbio. Ma anche corrispondenze psicologiche”
Pietro Ligari “Ritratto della figlia Vittoria” (ca. 1735 – 57×72 cm – olio su tela – Pinacoteca Ambrosiana a Milano)
Pietro Ligari, oltre ad essere uno stimato interprete del Barocco Lombardo, diventa anche una superstar nella sua terra d’origine, la Valtellina. Nel suo stile contrito, dipinse la sua figlia preferita, la primogenita Vittoria – così diversa dall’altro figlio e pittore Cesare, irrequieto e irrisolto. Lei era fiera, altera e indomita, benché padre e fratello l’avessero rilegata al ruolo di assistente: la restauratrice di tele ammorbate, copista delle loro opere maggiori, ma anche il minuzioso pennello che creava le mani che si stringono, che si attorcigliano in ogni loro pezzo. Cesare la descrisse così in una lettera “non si è mai adattata ai soliti impieghi femminili”. Infatti, dedicò la sua vita all’Arte, senza né sposarsi né farsi suora. Ovviamente, non escludo che abbia potuto avere delle avventure hot hot hot con i più potenti al suo secolo, poiché in tanti la consideravano stronza ma bellissima. Rimase tenacemente nubile in casa paterna e lasciò che i suoi uomini di famiglia le gestissero le scelte, gli incarichi e le occasioni – senza farsi mancare la costante lucidità nell’inquietudine. In questo ritratto aveva circa 20 anni.
La vediamo a mezzo busto. Sta dipingendo qualcuno che le sta di fronte, suo padre o – forse – noi. Nell’osservarla, la teniamo un po’ con noi anche se è una creatura sfuggente. La sua tavolozza ha sette colori, come le sette note musicali (lei si dedicava alla pittura e al clavicembalo), come i doni di Dio e come Nettuno (il pianeta dell’istinto). I primi due colori rappresentati sono il rosso e il bianco, che richiamano le sue vesti – l’abito che non fa la monaca. Indossa un turbante giallo paglierino. Il copricapo era tipico per i ritratti di pittori, che lo usavano per non sporcarsi i capelli; lei però è anche una donna e rappresentarla senza la chioma la fa diventare meno sensuale, più una beghina dell’arte. Sembra Pizia, la Sibilla Delfica (tra le cose, Pietro le aveva rappresentate tutte per il San Giovanni di Morbegno), la profetica sacerdotessa vergine di Apollo, dio di Arti e Scienze. Vittoria, per curare i nervi, si strafaceva di laudano e, sicuramente, aveva anche dei trip frattanto. Il colore scelto per il turbante è quello della sua anima, della paura per morte, della legge morale. Il turbante è, quindi, il nucleo di questo ritratto, che non restituisce soltanto un volto, ma anche una vita; l’apice, invece, è lo sguardo penetrante, quasi erotico, di Vittoria.
Vittoria porta abiti da signora nobile e conosciamo la sua passione per la moda. La camiciola bianca di seta leggera rappresenta la sua purezza; sopra, ha un broccato rosso, più pesante il simbolo della sua ostentata femminilità. Lei è una donna capace di darsi e togliersi giusto in tempo. Una pelliccia di ermellino le copre il seno. L’ermellino è l’animale alpino puro e incorruttibile, il quale cambia colore per non sopperire alle stagioni e che, per non sporcarsi il manto di sangue, si lascia morire piuttosto. Ma lei è più scaltra anche di quello stupido animale che si è fatto scuoiare…
Lo stile è equilibrato nella sua composizione chiastica, barocco nel chiaroscuro e ligariano nel tormento. Pietro non fu molto paterno in questa descrizione della figlia, pendolo tra santità e peccato, naturalmente e umanamente corrotta. Da un canto potrebbe essere una velata denuncia di un certo governatore di Coira che aveva fatto anche il gigione con la figlia, non una bacchettona ma pur sempre sua pupilla. Dall’altro, lo spiegherei con più certezza attribuendogli una valenza iconografica. Il dipinto non vuole glorificare una persona, ma impersonificare la Pittura – vergine ma non troppo, come certe notti per Ligabue.
Corrispondenza: Alba Rohrwacher
Antonio Caimi “Ritratto di Giacinto Maffei” (1851 – 47×59 cm – olio su tela – MVSA di Sondrio)
Giacinto Maffei era il fratello minore dell’arciprete di Sondrio, Antonio Maffei. Il prete, oltre al Seminario, frequentò anche l’Accademia di Brera e diede un notevole impulso all’archeologia valtellinese nell’Ottocento. Grande conoscitore d’Arte, riportò anche le reliquie del beato Nicolò Rusca a Sondrio. Giacinto, invece, era un medico. Dal 1845 al 1862 ricoprì il ruolo di medico condotto nel Comune di Sondrio, ossia era pagato dalla municipalità per assistere 24/7 i cittadini inclusi i poveri e i bisognosi e per garantire la profilassi igienica (erano gli anni del colera e della pellagra). Un suo caso fu addirittura pubblicato, quello di un ventenne morto il 13 novembre 1850 “per rottura del cuore”, in seguito allo spavento per aver assistito a una rovinosa frana in montagna.
In questo ritratto ha circa 40 anni. Della sua età, riporta rughe e occhiaie. Viene immortalato da Antonio Caimi, pittore di Sondrio e segretario presso l’Accademia di Brera. Il suo stile ricalca quello del maestro Hayez: la mezza figura si staglia su un fondo nero tramite dettagli a contrasto (qui è la camicia bianca) e l’attenzione massima ai dettagli fisici sfocia in fisiognomica.
Il dottore è vestito da gala, sta andando a una festa e ama andare alle feste. Il naso adunco ci parla di una personalità forte, curiosa, convinta ed idealista. Lo sguardo è luminoso, curioso, di qualcuno che coglie subito l’essenza delle cose. Abbozza un sorriso enigmatico, che lo rende affascinante anche se non adonico. Porta baffi, barba e capelli acconciati in un curioso ciuffo sulle tempie: è divertente ed eccentrico. Le guance leggermente rosse (togliendo l’opzione che abbia alzato un po’ il gomito) tradiscono o l’imbarazzo di essere ritratto oppure una personalità focosa e vitale. La scelta di non rappresentare le mani (che sicuramente, in quanto medico, erano curate) potrebbe voler celare che il nostro Giacinto non portasse la fede. Era ancora signorino alla sua età? Perché? Le visitava tutte senza prescrivere la ricetta?
Corrispondenza: Luca Bizzarri
❤ Miss Raincoat
🏷️ Ho preso spunto dall’omonimo libro di Flavio Caroli che Babbo Natale ci ha portato qualche anno fa. Caroli – lo dico per i distratti – è un Signor Critico d’Arte che non potete non aver visto da Fazio nei suoi undici anni di lezioni di Storia dell’Arte. Io lo adoro per il suo approccio alle opere come se stesse guardando un porno. Il suo Museo dei Capricci è un’immaginaria pinacoteca a forma di prisma, con varie stanze e vari sottofondi musicali. Qui voglio creare le stesse stanze, con i miei amati Coldplay in diffusione e riempirle con opere che hanno a che fare con la mia Valtella.