Il Museo dei Capricci

“Corrispondenze fra il passato e il presente. Corrispondenze fisiche, non c’è dubbio. Ma anche corrispondenze psicologiche”

Pietro Ligari, oltre ad essere uno stimato interprete del Barocco Lombardo, diventa anche una superstar nella sua terra d’origine, la Valtellina. Nel suo stile contrito, dipinse la sua figlia preferita, la primogenita Vittoria – così diversa dall’altro figlio e pittore Cesare, irrequieto e irrisolto. Lei era fiera, altera e indomita, benché padre e fratello l’avessero rilegata al ruolo di assistente: la restauratrice di tele ammorbate, copista delle loro opere maggiori, ma anche il minuzioso pennello che creava le mani che si stringono, che si attorcigliano in ogni loro pezzo. Cesare la descrisse così in una lettera “non si è mai adattata ai soliti impieghi femminili”. Infatti, dedicò la sua vita all’Arte, senza né sposarsi né farsi suora. Ovviamente, non escludo che abbia potuto avere delle avventure hot hot hot con i più potenti al suo secolo, poiché in tanti la consideravano stronza ma bellissima. Rimase tenacemente nubile in casa paterna e lasciò che i suoi uomini di famiglia le gestissero le scelte, gli incarichi e le occasioni – senza farsi mancare la costante lucidità nell’inquietudine. In questo ritratto aveva circa 20 anni.

La vediamo a mezzo busto. Sta dipingendo qualcuno che le sta di fronte, suo padre o – forse – noi. Nell’osservarla, la teniamo un po’ con noi anche se è una creatura sfuggente. La sua tavolozza ha sette colori, come le sette note musicali (lei si dedicava alla pittura e al clavicembalo), come i doni di Dio e come Nettuno (il pianeta dell’istinto). I primi due colori rappresentati sono il rosso e il bianco, che richiamano le sue vesti – l’abito che non fa la monaca. Indossa un turbante giallo paglierino. Il copricapo era tipico per i ritratti di pittori, che lo usavano per non sporcarsi i capelli; lei però è anche una donna e rappresentarla senza la chioma la fa diventare meno sensuale, più una beghina dell’arte. Sembra Pizia, la Sibilla Delfica (tra le cose, Pietro le aveva rappresentate tutte per il San Giovanni di Morbegno), la profetica sacerdotessa vergine di Apollo, dio di Arti e Scienze. Vittoria, per curare i nervi, si strafaceva di laudano e, sicuramente, aveva anche dei trip frattanto. Il colore scelto per il turbante è quello della sua anima, della paura per morte, della legge morale. Il turbante è, quindi, il nucleo di questo ritratto, che non restituisce soltanto un volto, ma anche una vita; l’apice, invece, è lo sguardo penetrante, quasi erotico, di Vittoria.

Vittoria porta abiti da signora nobile e conosciamo la sua passione per la moda. La camiciola bianca di seta leggera rappresenta la sua purezza; sopra, ha un broccato rosso, più pesante il simbolo della sua ostentata femminilità. Lei è una donna capace di darsi e togliersi giusto in tempo. Una pelliccia di ermellino le copre il seno. L’ermellino è l’animale alpino puro e incorruttibile, il quale cambia colore per non sopperire alle stagioni e che, per non sporcarsi il manto di sangue, si lascia morire piuttosto. Ma lei è più scaltra anche di quello stupido animale che si è fatto scuoiare…

Lo stile è equilibrato nella sua composizione chiastica, barocco nel chiaroscuro e ligariano nel tormento. Pietro non fu molto paterno in questa descrizione della figlia, pendolo tra santità e peccato, naturalmente e umanamente corrotta. Da un canto potrebbe essere una velata denuncia di un certo governatore di Coira che aveva fatto anche il gigione con la figlia, non una bacchettona ma pur sempre sua pupilla. Dall’altro, lo spiegherei con più certezza attribuendogli una valenza iconografica. Il dipinto non vuole glorificare una persona, ma impersonificare la Pittura – vergine ma non troppo, come certe notti per Ligabue.

Corrispondenza: Alba Rohrwacher

Giacinto Maffei era il fratello minore dell’arciprete di Sondrio, Antonio Maffei. Il prete, oltre al Seminario, frequentò anche l’Accademia di Brera e diede un notevole impulso all’archeologia valtellinese nell’Ottocento. Grande conoscitore d’Arte, riportò anche le reliquie del beato Nicolò Rusca a Sondrio. Giacinto, invece, era un medico. Dal 1845 al 1862 ricoprì il ruolo di medico condotto nel Comune di Sondrio, ossia era pagato dalla municipalità per assistere 24/7 i cittadini inclusi i poveri e i bisognosi e per garantire la profilassi igienica (erano gli anni del colera e della pellagra). Un suo caso fu addirittura pubblicato, quello di un ventenne morto il 13 novembre 1850 “per rottura del cuore”, in seguito allo spavento per aver assistito a una rovinosa frana in montagna.

In questo ritratto ha circa 40 anni. Della sua età, riporta rughe e occhiaie. Viene immortalato da Antonio Caimi, pittore di Sondrio e segretario presso l’Accademia di Brera. Il suo stile ricalca quello del maestro Hayez: la mezza figura si staglia su un fondo nero tramite dettagli a contrasto (qui è la camicia bianca) e l’attenzione massima ai dettagli fisici sfocia in fisiognomica.

Il dottore è vestito da gala, sta andando a una festa e ama andare alle feste. Il naso adunco ci parla di una personalità forte, curiosa, convinta ed idealista. Lo sguardo è luminoso, curioso, di qualcuno che coglie subito l’essenza delle cose. Abbozza un sorriso enigmatico, che lo rende affascinante anche se non adonico. Porta baffi, barba e capelli acconciati in un curioso ciuffo sulle tempie: è divertente ed eccentrico. Le guance leggermente rosse (togliendo l’opzione che abbia alzato un po’ il gomito) tradiscono o l’imbarazzo di essere ritratto oppure una personalità focosa e vitale. La scelta di non rappresentare le mani (che sicuramente, in quanto medico, erano curate) potrebbe voler celare che il nostro Giacinto non portasse la fede. Era ancora signorino alla sua età? Perché? Le visitava tutte senza prescrivere la ricetta?

Corrispondenza: Luca Bizzarri

🏷️ Ho preso spunto dall’omonimo libro di Flavio Caroli che Babbo Natale ci ha portato qualche anno fa. Caroli – lo dico per i distratti – è un Signor Critico d’Arte che non potete non aver visto da Fazio nei suoi undici anni di lezioni di Storia dell’Arte. Io lo adoro per il suo approccio alle opere come se stesse guardando un porno. Il suo Museo dei Capricci è un’immaginaria pinacoteca a forma di prisma, con varie stanze e vari sottofondi musicali. Qui voglio creare le stesse stanze, con i miei amati Coldplay in diffusione e riempirle con opere che hanno a che fare con la mia Valtella.

Il “Giudizio Universale”di Santa Maria del Tiglio

Siamo nell’iconica chiesa di Santa Maria del Tiglio a Gravedona (CO) in un’area che, in epoca romana, ospitava un tempio. Nel V secolo fu sostituito da un cristiano battistero dedicato a San Giovanni Battista (del quale rimangono i resti della pavimentazione a mosaico e della vasca ad immersione). Sopra a questo, nel XII secolo, la Regina Teodolinda fece costruire l’odierno edificio chiamato, appunto, anche Chiesa della Regina. Il nome più popolare “del Tiglio”, lo si deve a una piantina germogliata sul campanile ancora quasi da completare, la felice premonizione del suo significato più profondo, quello che la lega alla Primavera e alla Femminilità. Del resto, il tiglio è simbolo di fertilità ed è anche l’albero sacro a Venere. Lo stesso tema lo troviamo nello strambo bassorilievo sul retro della struttura, il quale simula le mammelle di Teodolinda.

Questa chiesa è anche una delle più sorprendenti architetture romaniche dell’Alto Lario. La sua cromia è scandita dalle fasce bianche e nere in pietre locali (Marmo di Musso e Marmo Nero d’Olcio). La particolare forma composita del campanile fa sconfinare la geografia del suo stile fino in Borgogna.

All’interno troviamo vari affreschi, tra i quali il più antico e imponente è il “Giudizio Universale” (del XIV secolo). Come avveniva spesso per questo soggetto in quest’epoca, viene posto in controfacciata cosicché, uscendo, si potesse ben ricordare che nell’ultimo dei giorni i Dannati avrebbero avuto una sorte diversa da quella dei Giusti. L’antichità del dipinto è sottolineata anche dall’uso dei caratteri gotici per le iscrizioni.

La composizione è notevolmente interessante dal punto di vista iconografico (è un prontuario per come non finire al Inferno, in pratica) e denota anche una conoscenza da parte del nostro autore ignoto del “Giudizio Universale” di Giotto, realizzato non tanto tempo prima a Padova presso la Cappella degli Scrovegni, il quale aveva rappresentato una novità nel porre sulla stessa scena il Giudizio, l’Inferno e il Paradiso. Sicuramente, a Gravedona lo stesso tema è rappresentato con la meno aggiornata stasi dei registri (la scena è divisa in strisce, come dei “fumetti”) e con colori più naturali, bruni e morbidi non solo rispetto a Giotto, ma anche rispetto al resto dei dipinti in questa chiesa. Possiamo definirlo un Giudizio Universale “pop” , orientato verso il “women power” materno, coda dell’antico culto pagano alla dea Cerere diffuso in queste zone.

Nella fascia più alta troviamo un enorme Cristo Giudice incorniciato entro una mandorla, simbolo del ventre materno immacolato attraverso il quale Dio si è fatto Uomo. Cristo, con in mano un minaccioso bastone (che a me richiama la Madonna del Cifulet, infondo tale madre…), separa i Buoni dai Cattivi. Attorno a lui una sorta di processione universale e penitente, perché tutti senza eccezione saranno chiamati alla cernita in questo giorno che sarà la fine del Tempo e l’inizio dell’Eterno.

Nella seconda fascia assistiamo alla Risurrezione dei Morti. Dalle bare scoperchiate emergono i defunti che si aiutano l’un l’altro a riemergere in attesa del Giudizio, in uno sfondo che simula il tramonto.

Come a interludio, un rettangolo che recita dal Vangelo secondo Matteo “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,  nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” e, al centro, ospita angeli tubicini che suonano le trombe per risvegliare i morti ed escono dal riquadro per prelevare gli eletti, quelli che han fatto i bravi.

Nella terza fascia si affaccia la divisione netta (ci sono due linee verticali: quella pura con parole comprensibili; quella sporca con grottesche di segni astrusi). A destra di Cristo i Giusti con un’ascetica barbona e in primo piano uno di loro che viene “svestito dai suoi averi” da un monaco; a sinistra di Cristo i Dannati ai quali dei demoni svergognati fanno leggere le pergamene della contabilità e delle frodi.

Sotto di loro troviamo la loro destinazione. Per i Giusti c’è una Gerusalemme Celeste, un Paradiso che assomiglia molto alla Repubblica delle Tre Pievi della quale Gravedona era la capitale. Per i Dannati un Inferno dove, nudi, devono subire le pene più atroci.

Nella fascia inferiore troviamo le Sette Virtù in corrispondenza dei Giusti e il Sette Vizi in corrispondenza dei Dannati. Vengono rappresentate con dei busti entro tondi con denominazioni e cartigli esplicativi.

Il tutto viene incorniciato con un riquadro che elenca varie Sante Martiri intervallate da palme (simbolo del martirio). In basso a sinistra, abraso, uno stemma che poteva essere quello del committente o della stessa Comunità di Gravedona.

Buona Primavera!🌺

Filandro da Sittewald, scrittore satirico tedesco del Seicento

In questa stanza domandai di nuovo al vecchio donde derivasse l’origine prima di questa malattia e la gravità dei casi. «Figlio mio» disse egli: «Solo l’ozio è principio del fornicare.Dove non v’è Cerere e Bacco non fa calore, là Venere non suda»

Il Compianto di Bellano

Siamo nella Chiesa di Santa Marta a Bellano (LC), ossia l’Oratorio della Confraternita dei Disciplini. Nella cappella di sinistra, dedicata al Santo Sepolcro, troviamo questo eccezionale esempio di Compianto sul Cristo Morto.

Si tratta di un gruppo di otto statue lignee a grandezza naturale, dorate e dipinte. Sono state realizzate circa nel 1520 dai fratelli Angelo e Tiburzio del Mayno di Pavia, le stesse mani delle ancone dell’Assunta di Morbegno (SO) e del San Lorenzo di Ardenno (SO). La loro Bottega era la più quotata nel Ducato di Milano. A livello scultoreo, sono tra i più conosciuti esponenti del Rinascimento Lombardo. Interpretano il classicismo con simmetria ed eleganza, senza privarla dei dettagli e dell’asprezza mitteleuropea e aggiungendo anche una nota torta, inquieta, che ci portano in anticipo nel clima espressivo del Manierismo.

I Compianti servivano per rendere teatrale, instagrammabile, il momento della deposizione del corpo di Cristo dalla Croce, per dire “guarda, è morto per i tuoi peccati!” tramite lo sgomento e la disperazione dei personaggi sulla scena. In questa scena nessuno di loro si guarda e ciò, oltre ad amplificare il dolore, crea movimento e lo spettatore è obbligato a soffermarsi a osservare ogni singolo elemento.

Possiamo osservare Gesù già in rigor mortis, sdraiato sulle vesti delle Pie Donne (come se fossero un sudario): la Madre, quasi svenuta dal dolore, gli regge la testa; Maria di Cleofa gli tiene una mano; la Maddalena, dalla chioma iconografica, gli afferra i piedi. Altre due donne completano il gruppo delle mirofore che portano la mirra e si occupano del feretro – ossa Maria e Marta, le sorelle di Lazzaro. La mirra ritorna come elemento dalla Natività, portata dai Magi. Il gineceo rappresenta il ventre, dove Dio si fa carne. Le donne sono sedute a terra, provate dal dolore, perché per quanto erano considerate immonde, creano vita (e con dolore). Agli uomini, invece, è delegata una posizione più dignitosa, in piedi. Abbiamo San Giovanni evangelista, l’unico dei quattro a presenziare la morte di Gesù, che indica il Cielo; dall’altro lato Giuseppe d’Arimatea, il quale prega con le mani aperte, in maniera fraterna (lui era un membro del Sinodo che si converte in extremis) – ambo le due figure maschili sembrano alludere al “fiat” (sono uomini abbastanza giusti e forti da accettare il disegno divino senza sentimentalismi muliebri). Anche in questa opera, troviamo il dualismo e il perno nella figura delle donne, che sono peccato e santità insieme. Se ci pensiamo, sono loro a trovare il sepolcro vuoto!

Women Power!🤩

Miss Raincoat

La Madonna del Cifulet

Ci troviamo a Gravedona (CO), nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, dal 1467 sede dell’oratorio del Convento femminile delle Suore Agostiniane. Fu costruita su sollecito dei gravedonesi agli Sforza (che ai tempi erano i capi) e finanziata soprattutto dalla famiglia Stampa, una delle più notabili del borgo lariano, la quale – nella stessa – detiene il patronato della seconda cappella a destra, dedicata a Sant’Antonio abate (quello degli animaletti) che, tra gli affreschi, porta proprio la singolare ma non unica iconografia della Madonna del Cifulet.

Il dipinto può sommariamente essere datato circa 1510 e viene attribuito a Domenico Pezzi di Valsolda (CO). Con sicurezza, si inserisce nel filone del Rinascimento Lombardo, nello specifico nell’ambito dei Leonardeschi.

Il repertorio iconografico è una derivazione della Madonna del Soccorso e il tema presente anche in favole che venivano raccontate ai bambini capricciosi. Il cifulett (lett. luciferetto) è un diavoletto, il babau per i più piccini. In dialetto comasco ciful significa anche testa di [zufolo]. La Madonna del Soccorso era un tema molto caro per le prediche degli agostiniani, qui delle donne, che utilizzavano la figura di una Maria impavida che percuote il Diavolo assoggettandolo per esortare i fedeli a pregare la Madonna, perché lei può tutto. Una sorta di wonder woman. Inoltre, nel vicino borgo di Ossuccio, fin dall’Antichità era presente un santuario dedicato a Cerere, la dea Madre di tutto ciò che può nascere in Terra.

In questa scena molto allegorica troviamo un demone, un tentatore, il quale ha le sembianze di un rapace e sta cercando di salire sullo stallo santo di Maria, la quale è pronta a percuoterlo con un bastone, come si fa con le bestie. Il demone, al posto delle parti intime, ha la faccia del Diavolo – perché il peccato che vuol far commettere è quello carnale. Con un uncino sta cercando di punzecchiare un bambino (con un uncino a forma di corna; le corna erano associate alle divinità pagane maschili che si occupavano di sesso fecondo, p.e. Dioniso o i fauni) che si sta nascondendo dietro le gonne di Maria. Ma lui non deve temere perché la Madonna, la quale è la Madre (qui vediamo un Gesù ritto e Benedicente, allusivo al Giorno del Giudizio e ai peccati che dovremo confessare) e, purissima (infatti ha il nodo sul ventre), è la sola che può guardare negli occhi il Cifulet e sconfiggerlo. Sulle nuvolette, completano il discorso due putti, che identificherei con un maschietto e una femminuccia (del resto, lei si deve coprire pudica le vergogne) i quali, con gli strumenti musicali (il tamburo e il triangolo), alludono all’unione sessuale, il tam tam ancestrale che è un peccato ma che tiene in ritmo la vita.

Io ho pensato che il bambinetto che si nasconde possa trattarsi di un San Giovannino (praticamente, il Battista da piccolo). Questo perché la notte della Natività di San Giovanni (24 giugno) è anche la Notte delle Streghe, le donne tentatrici. Inoltre, Maria è racchiusa entro una conchiglia che mi fa pensare al Battesimo. In questa cappella è qualcosa che si ricollega anche alle Tentazioni di Sant’Antonio. Gli Stampa affidano alle Suore il messaggio di non compiere atti impuri. Ma, tanto, anche se capita, è colpa delle femmine!

O sante o puttane. Da secoli. Ma se proprio dovessi scegliere, non avrei dubbi!😎

Miss Raincoat

Speciale Sanremo 2023

🤩 Le Muse

Per gli Antichi Greci le Muse erano delle sorelle Custodi delle Arti e della Cultura, le quali, grazie al loro canto (durante i banchetti degli Dei), permettevano agli avvenimenti più importanti di non essere dimenticati. Il loro protettore era il dio Apollo. L’unica categoria umana che poteva beneficiare della loro musica era quella degli artisti che ne beneficiavano in ispirazione. Queste sorelle erano: ✒ Calliope (Epica), 📃Clio (Storia), 🎵Euterpe (Lirica, quindi le Canzoni), ♥ Erato (Poesia Amorosa), 🗡Melpomene (Tragedia), ⛪Polimnia (Inni Religiosi o Discorsi in generale) , 🥸 Talia (Commedia), 💃 Tersicore (Danza) e 🌍 Urania (Astronomia)

🎧 La Playlist degli Unicorni

“Alba” di Ultimo → “Impressione (Levar del Sole)” di Claude Monet

Impressionismo 48×63 cm – 1872 – Marmottan Monet di Parigi

“Tango” di Tananai → “Il Maggiordomo Cantante” di Jack Vettriano

Contemporanea – 75×60 cm – 1992 – collezione privata

“Nel bene nel male” di Madame → “Minnie Cunningham” di Walter Sickert

Impressionismo – 76×64 cm – 1892 – Tate di Londra

“Parole dette male” di Giorgia → “Il tradimento delle immagini” di René Magritte

Illusionismo Onirico – 63×94 cm – 1929 – Los Angeles County Museum

“Supereroi” di Mr Rain → “Il Giuramento degli Orazi” di Jacques-Louis David

Neoclassicismo – 330×420 cm – 1784 – Louvre di Parigi

“Due” di Elodie “Le lacrime di Freyja” di Anne Marie Zieberman

Ne avevamo parlato qui

“Quando ti manca il fiato” di Gianluca Grignani → “S. Giuseppe col Bambino” di Guido Reni

Classicismo Seicentesco – 126×101 cm – Ermitage di San Pietroburgo

“Sali (Canto dell’Anima)” di Anna Oxa → “Aurora” di William-Adolphe Bouguereau

Ne avevamo parlato qui.

“Cenere” di Lazza → “Fin d’Arabesque” di Edgar Degas

Impressionismo – 65×36 cm – 1877 – Orsay di Parigi

“Duemilaminuti” di Mara Sattei → “La persistenza della memoria” Salvador Dalì

Surrealismo – 24×33 cm – 1931 – MOMA di New York

“Lasciami” dei Modà → “Sentiero a Louveciennes” di Alfred Sisley

Impressionismo – 38×46 cm – 1873 – Orsay di Parigi

“Furore” di Paola e Chiara → “Salomé” di Franz Von Stuck

Jugendstil – 114×92 cm – 1906 – Lenbachhaus di Monaco di Baviera

“Splash” di Colapesce e Dimartino → “Campo di Grano con Cipressi” di Vincent Van Gogh

Postimpressionismo – 72×91 cm – 1889 – National Gallery di Londra

“Terzo Cuore” di Leo Gassman→ “Famiglia di Saltimbanchi” di Pablo Picasso

Periodo Rosa – 213×229 cm – 1905 – National Gallery di Washington

“Un bel viaggio” degli Articolo 31 → “Love on the road” di Ron Hicks

Contemporanea -30×40 cm – 2011 – collezione privata

“Mare di Guai” di Ariete → “Un uomo e una donna davanti alla luna” di Caspar David Friedrich

Romanticismo – 35×44 cm – 1820 – Alte Nationalgalerie di Berlino

“Lettera 22” dei Cugini Di Campagna → “L’incendio alle Camere dei Lord e dei Comuni” di William Turner

Impressionismo – 92×123 cm – 1835 – Cleveland Museum of Art

“Vivo” di Levante → “Maddalena in Estasi” di Caravaggio

Barocco – 106×91 cm – 1606 – collezione privata

“Addio” dei Coma_Cose → “L’Addio” di Lionello Balestrieri

Futurismo – 73×60 cm – 1910 – Scuderie Viscontee di Pavia

“Se poi domani” di LDA → “Venere Rockeby” di Diego Velàsquez

Barocco – 122×175 cm – 1648 – National Gallery di Londra

“Made in Italy” di Rosa Chemical → “Uomo Vitruviano” di Leonardo Da Vinci

Rinascimento – 34×24 cm – 1490 – Gallerie dell’Accademia di Venezia

“Egoista” di Shari → “Medea” di Henri Klagmann

Arte Accademica – 121×82 cm – 1868 – Museo di Belle Arti di Nancy

“Mostro” di gIANMARIA → “Saturno che divora i suoi figli” di Francisco Goya

Romanticismo – 143×81 cm – 1823 – Prado di Madrid

“Non mi va” dei Colla Zio → “La Vestizione” di Edmund Blair Leighton

Arte Accademica – 182×108 cm – 1910 – colezione privata

“Cause Perse” di Sethu → “La Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello

Rinascimento – 180×316 cm – 1438 -National Gallery di Londra

“Stupido” di Will → “La Morte di Marat” di Jaques-Louis David

Neoclassicismo – 162×128 cm – 1793 – Museo Reale di Bruxelles

“Polvere” di Olly → “Early Spring in Central Park” di Paul Cornoyer

Impressionismo – 50×60 cm – 1899 – collezione privata

La Canzone Vincitrice

“Due Vite” di Marco Mengoni ➤ Robert Edward Hughes “Danza delle fate la notte del solstizio”

(titolo originale: “Midsummer Eve”) – 1908 – Birmingham Museum

Hughes risente particolarmente dell’influenza dei Preraffaelliti e in particolare di John Everett Millais, che determina anche una grande presenza di fiori nei suoi dipinti. L’artista si è inoltre occupato, come la Confraternita di vari soggetti presi dal repertorio di William Shakespeare, in questo caso è Sogno di Una Notte di Mezza Estate, ossia la rappresentazione di Titania, la Regina delle Fate. Hughes amava molto le storie d’amore incrociate, doppie, le due vite che canta Marco e che sono ben rappresentate dall’atmosfera magica di questo dipinto.

Miss Raincoat

*** per la descrizione delle altre opere seguite il blog nei prossimi mesi 🙂 (perdonate la mancanza – le opere erano troppe per un solo post e anche Sanremo ha una durata estrema – ma continuate a cercare Mr. Raincoat e le scoprirete prestissimo!)

Il Bacio nell’Arte

💏 L’Iconografia del Bacio

Per antonomasia, il bacio rappresenta la carnalità di un’emozione, ossia l’Amore nella sua fisicità. Di fatto, anche nelle emoji (l’iconografia dei socials) ci sono vari tipi di bacio e sono gli stessi che l’Arte ci propone:
🥰Bacio materno legato al nutrimento e al rapporto mamma-figlio. Ricordiamo, in tale direzione, le varie Madonne del Latte, legate al filone dell’iconografia della Nikopoia (la Madonna della Tenerezza);
😘Bacio d’Amore da quello più pacato a quello più licenzioso nei giochi di corteggiamento fino ad arrivare all’esaudimento di un desiderio, allo scambio d’amore oppure alla passione più dirompente.
😗Bacio del Tradimento, in particolare l’episodio di Giuda.
😍E poi ci sono i Baci Celebri, quelli della letteratura – i più noti sono quelli sciagurati – Romeo e Giulietta e le altre storie Medievali, oppure Dantesche come Paolo e Francesca. Sono dei baci dell’eternità, perchè sugellano la loro sciagurata fine, come se l’Amore portasse solo guai (alcuni dicono che non c’è nulla di più pieno di germi di un bacio – seguito dalla barba).
*L’icona popolare di questo filone iconografico è Il Bacio di Hayez, il quale racchiude anche il sentimento risorgimentale di Italia, l’Unità in un bacio tricolore.

Buon San Valentino dal ©Team degli Unicorni!

*La Playlist degli Unicorni
“Will Do” dei TV on the Radio (2011)
“Kiss Me” dei Sixpence None The Ritcher (1997)
“Music Sounds Better with You” di Stardust (1998)
“Fix You” dei Coldplay (2005)
“Love is Only a Feeling” dei The Darkness (2003)
“I don’t want to miss a thing” degli Aerosmith (1998)
“Bloody Valentine” di MGK (2020)
“La tua futura ex Moglie” di Willie Peyote (2019)
“La Cura” di Franco Battiato (1997)
“Amandoti” dei CCCP (1990)

Opere presenti nel Video

(in ordine cronologico e non di apparizione)

Antonio Canova “Amore e Psiche”

1787 – 155 cm – Louvre di Parigi
Con erotismo sottile e raffinato, Canova rappresenta il momento di contemplazione prima di un bacio. La storia di un amore ostacolato e ridestato con un bacio salvifico. Canova mette in eterno marmoreo il secondo prima che avvenga la magia.

(*) Francesco Hayez “Il Bacio”

1859 -112×88 cm – Pinacoteca di Brera a Milano
Collocato in un contesto medievale per sfuggire al controllo del potere straniero, è la raffigurazione un bacio giovane e passionale. La forte carica emotiva è metafora dell’ardore delle pulsioni risorgimentali, dell’Amor di Patria. (o della Perugina 🙂 )

Frank Dicksee “Romeo e Giulietta”

1884 – 171×118 cm – City Art Gallery di Southampton
La tragedia di Shakespeare rappresentata nel sentimento della devozione per il rischio. Il pittore Preraffaellita, mette in scena il dualismo preferito dalla Confratenita: innocenza e passione. “Ama il tuo peccato e sarai innocente” diceva Shakespeare.

William-Adolphe Bouguereau “Amore e Psiche bambini”
Erroneamente conosciuta come “Il Primo Bacio

1890 – 119×71 cm – Collezione Privata
L’opera più conosciuta di questo autore vede un Cupido, rappresentato come procace bambino alato, mentre bacia una piccola Psiche con le ali di farfalla (simbolo della donna, che da bruco diventerà farfalla). Rappresenta l’innocenza delicata prima della corruzione, prima che Venere – la dea dell’Amore -, con solo un bacio, corrompa tutto.

Henri de Toulouse-Lautrec “Il Bacio a Letto”

1892 – 70×54 cm – Museo d’ Orsay a Parigi
Frequentatore abituale, rappresenta un momento di effusione in una casa chiusa. Costrette a soddisfare la fame degli uomini, nei momenti intimi le prostitute si lasciano travolgere da un amore delicato e omosessuale alle prime ore del mattino, appena sveglie, con un amore tenero e scandaloso.

Edvard Munch “Il Bacio”

1897 – 98×81 cm – Museo Munch a Oslo
Una coppia avvolta dall’oscurità, si abbraccia mescolandosi, lasciando tutto il resto fuori perché per Munch l’amore era erotismo crudo, orgasmi messi nel freezer per essere conservati, spesso paralizzato dalla gelosia, dalla paura dello scippo. Così come il suo celebre urlo, il bacio è una parte fondamentale e intensa della vita. (Personalmente, mi sembrano dei Dissennatori 🙂 )

Gustav Klimt “Il Bacio”

1908 – 180x 80 cm – Galerie Belvedere a Vienna
Eterei, quasi astratti, due amanti si baciano abbandonandosi completamente a un orgasmo. L’atteggiamento dell’uomo è protettivo ma anche delicato. Klimt ricerca e conclude in questa scena la sua idea di Amore come fusione sfuggente tra due universi opposti e complementari. L’Amore è pioggia d’oro, secondo questo pittore.

Egon Schiele “L’Abbraccio”

1917- 100×170 cm – Galleria del Belvedere a Vienna
Viene realizzato dopo il matrimonio con la modella Harms, che non era la collega Wally, con la quale era stato legato in maniera folle per molto tempo. L’abbraccio è passionale e stropicciato. I corpi nudi sono adagiati su un lenzuolo bianco. C’è sentimento ma anche sofferenza. Il bacio riprende quello del collega Klimt, ma è pervaso dal tormento di un approccio malato.

René Magritte “Gli Amanti”

1928 -54×73 cm – MOMA a New York
Gli amanti di Magritte hanno spesso il viso coperto (così come si era suicidata sua madre). Siccome non si possono vedere, il loro atto suscita angoscia. Ma il volto è coperto perché è il dolore che lo cela e lo sfigura: è un ultimo bacio, prima di lasciare che una persona vada via e non ritorni più, ghigliottinandoci.

Pablo Picasso “Il Bacio”

1925 – 130 x 98 cm – Museo Picasso a Parigi
Un bacio talmente appassionato da non far distinguere dove inizia uno e dove finisce l’altro. Lo spirito è violento, primitivo, selvaggio e puramente sensuale. Questo dipinto sancisce il suo ritorno alle origini, al cubismo e al voler per forza, ossessivamente, cercare di togliere sempre più materialità ai soggetti per rappresentare i sentimenti così come sono, senza forma e, spesso, incomprensibili, di difficile lettura.

Miss Raincoat

Alexandre Cabanel

Nome Alexandre Cabanel Per Gli Amici Non si sa con precisione chi gli volesse davvero bene. Chi lo ama chi lo detesta, senza mezze misure.Il collega Manet, sul letto di morte, disse “eh, stava bene lui!”. Il numero uno del suo fanclub era sicuramente Napoleone. Con il pittore Bouguereau si inimica vari Impressionisti, ottenendo di non farli partecipare al Salon di Parigi. Sui Socials @alexcabanel
Nato a Montpellier (Francia)
Nato/Morto 28 settembre 1823 – morto a 66 anni a Parigi in carriera, insegnando ancora alla Scuola di Belle Arti di Parigi (che anche lui aveva frequentato). Nonostante sia una pietra miliare della cosiddetta Art Pompier, la sua vita privata è pressoché sconosciuta. Evidentemente, sapeva tenersi lontano dal gossip.
Segno Zodiacale Bilancia
Stato Sociale Figlio di un falegname, studia Belle Arti a Parigi grazie a un a borsa di studi da quando ha 17 anni, dove vince un premio che lo porterà a soggiornare a Roma per cinque anni, dai suoi 22 ai 26 anni. Diventa dapprima un ritrattista dei ricchi. Poi, fortemente stimato da Napoleone fa il salto di carriera, diventando anche professore alla Scuola di Belle Arti di Parigi dai suoi 40 anni fino alla morte, nonché pluripremiato al Salon di Parigi e pure giurato. Fu il maestro di molti pittori neoclassici francesi., come ad esempio Constant, Cot, Friant o lo statunitense Knight.
Stato Civile Sulla sua vita sentimentale non si conosce nulla. Non si sposa. Dalle sue opere si potrebbe intuire che amava le belle donne (di fatto, ne conosce bene le fattezze del corpo) che con lui facevano sempre le stro***. Banale escludere che con il prestigio sociale che aveva, nessuna gli cadesse ai piedi. Forse, come nella sua Arte, non osava abbastanza? Non le capiva? Preferiva una notte e via? Aveva il cuore a pezzi? Pensava di avercelo solo lui? Ci viene in mente un’altra celebre canzone di Battisti, quella con le dieci ragazze che dicon solo di sì – però lui muore per te…

Periodo Artistico Neoclassico, nella stagione in cui era detto Art Pompier – perché ancora rigidamente ancorato ai canoni estetici che le Avanguardie (soprattutto gli Impressionisti)schifavano . Si può dire che lui nel Classicismo ci apporti un’aria più fresca, meno pesante, che lo renda instagrammabile, ma senza superare i limiti (ossia, non arriva all’effetto photoshoppato). Originale ma con discrezione, è un pittore che o ti piace o non ti piace.
Tecnica e Stile Disegno soave colori squillanti, dei pastelli satinati. Le sue opere hanno una texture talmente setosa da sembrare fatte di pasta di mandorle. Le sue composizioni abbastanza semplici, non retoriche all’inverosimile, trovano spazio in enormi tele, come ad uso per le scene monumentali storiche.
Temi Storia, mito e ritratti. Sono nudi, ma cercndoa di non essere scandaloso o volgare, li camuffa dietro ad avvenimenti leggendari (se ci metto un po’ di magia non è porno!). Quindi, i contenuti sono classici, ma sono le pose e le composizioni ad andare fuori dagli schemi e ad offrirci il dualismo Amore – Peccato. Cabanel ci racconta un’esperienza amorosa spesso non corrisposta o tragica, per colpa delle donne. Se te lo tieni nelle mutande non ti succede niente di male, bro!

“È un genio classico che si permette un pizzico di polvere di riso, qualcosa come Venere nell’accappatoio d’una cortigiana” Emile Zolà (uno dei suoi più accesi anti-critici)

*Canzone assegnata: “Mi Ritorni in Mente” di Lucio Battisti (1970)

Elenco delle Opere nel Video

(*in ordine cronologico e non di comparsa nel video)

Albaydé

1848 – 98×80 cm – Museo Fabre di Montpellier
Ispirato a Le Orientali (raccolta di poesie di Hugo) e, quindi, legata all’ottocentesco crescente fascino per l’esotismo, visto come qualcosa di libero, lontano e proibito (sappiamo che era l’escamotage per le opere porno). Albaida è un fiore, della costa mediterranea spagnola. Lui ne sbaglia i colori (è gialla), perché non l’ha mai vista, ma sa che è tossica e selvaggia, come Hugo descriveva le donne. Probabilmente, Cabanel l’ha sempre preso come Vangelo!

Ninfa e Satiro

1860 – 96×56 cm – Palazzo delle Belle Arti di Lille
Le ninfe erano delle divinità legate alla Natura, sempre giovani, frequenti bersagli che un po’ si sottraevano e un po’ no dei satiri, mezzi uomini e mezze capre (abili con il flauto) , lascivi e, quindi, legati alla fertilità. Con quest’opera, Cabanel ci regala un esercizio di stile su ciò che non dovrebbe essere dipinto e come può essere dipinto senza sembrare dei pervertiti 🙂

(*)La Nascita di Venere

1863 – 130×225 cm – Musée d’Orsay di Parigi
Considerata il capolavoro di Cabanel, fu acquistata da Napoleone e subito molto riprodotta (il pittore fece un contratto con la Goupil, che era la multinazionale per cui lavorò anche Van Gogh). Possiede una forte carica erotica, perché oltre ad essere completamente nuda senza cercare di ricomporsi, guarda lo spettatore. Dorme o è sveglia? E’ qualcosa al limite dello stupro guardarla.

L’Angelo Caduto

1868 – 121×190 – Museo Fabre di Montpellier
Lucifero, sofferente, è stato cacciato dal Paradiso. Il Male è raffigurato come un eroe antico, dal corpo perfetto, ma profondamente deluso da chi lo ha bandito, da chi gli ha fatto annerire le ali. Ho sempre pensato sia un po’ come si sentiva lui nelle relazioni e come uomo (non come pittore, perché come tale era un Dio).

La Morte di Francesca e Paolo

1870 – 184×255 cm – Musée d’Orsay di Parigi
Una delle opere meno apprezzate di Cabanel. Il tema è dantesco, quello dei lussuriosi e del tradimento finito male. In questo caso, la teatralità appesantisce davvero molto la scena. Se avesse osato di più, sarebbe riuscito a rappresentare bene lo scandalo di quando l’amore ti prende e non ci puoi far nulla, ma a lui le opere macchiate non piacciono, la voleva far bene e non ci ha messo il sentimento… Mi ha sempre colpito il fatto che ci sia prima il nome della donna nella descrizione ed, evidentemente, non per galanteria ma per scagionare un po’ Paolo. Un’opera di solidarietà maschile.

Pandora

1873 – 70×49 cm – Walters Art di Baltimora
Zeus le raccomanda di non aprire lo scrigno, ma lei lo fa e ne escono fuori la vecchiaia, la gelosia, la malattia, il dolore, la pazzia ed il vizio. Sul fondo del vaso rimane solo la speranza, che non fa in tempo ad allontanarsi perché il vaso fu chiuso nuovamente. Da quel giorno l’umanità conobbe il male. In questa tela Pandora non l’ha ancora aperto, ma lo farà… Fermati prima, amico, fermati prima che lei apra il suo vaso, perché poi son c***!

Eco

1874 – 38×27 cm – MOMA di New York
Eco, ninfa delle montagne, viene incaricata da Zeus a distrarre con chiacchiere vuote Hera, sua moglie, in modo che non lo beccasse impegnato nei suoi tradimenti assidui. Hera se ne accorge e la condanna a ripetere le ultime parole che udiva. Si innamora di Narciso che si sente perculato sentendo una che ripete in loop quello che dice. Lei pianse fino a prosciugarsi. Narciso fu condannato ad amare solo sé stesso. Che Cabanel soffrisse per la sua condizione di finire sempre friendzonato?

Fedra

1880 – 194x286cm – Museo Fabre di Montpellier
Tela sia eroica sia teatrale. Il corpo pallido fa contrasto con i colori forti della stanza. Fedra, protagonista di una tragedia di Euripide, s’innamorò follemente di Ippolito, il figlio nato dal marito Teseo nel precedente matrimonio con una Amazzone, ma fu respinta dal giovane. Così, in preda alla follia, lo accusò di averla violentata e si uccise.

Cleopatra testa i veleni sui condannati a morte

1887- 876×148 – Museo Reale di Anversa
Quando pubblica questa tela, Cabanel era all’apice della carriera e ne fu molto elogiato. Una regina maestosa e viziata commette crudeltà atroci alla luce del sole, orgogliosa, fredda e insensibile. Come uomo, si vedeva come un condannato a morte dalle donne. L’Amore è veleno e le donne lo maneggiano per gioco.

Canta Fedez “L’amore è eternit finché dura”.

Miss Raincoat

Lawrence Alma-Tadema

Nome Lourens Alma Tadema (Tadema è il cognome patronimico – Alma, che è il suo secondo nome, lo aggiunge lui come se fosse un cognome per arrivare prima nell’elenco dei cataloghi d’arte, furbone!) Per Gli Amici Lawrence (all’inglese). Il critico Ruskin (quello che rese famosi i Preraffaelliti che resero famose le sue corna 🙂 ) disse di lui che era il peggiore pittore in circolazione. Gabriele D’Annunzio era un suo fan sfegatato. Sui Socials @l.alma-tadema
Nato a Dronryp, paesino in Frisia (Paesi Bassi)
Nato/Morto 8 gennaio 1836 – morto alle terme tedesche di Wiesbaden. Ci era andato per rimediare all’ulcera, ma muore lì a 76 anni. Stimato in vita, soprattutto a Londra, ma dopo la morte cadde nel dimenticatoio fino agli Anni Sessanta.
Segno Zodiacale Capricorno
Stato Sociale Nato terzogenito di un secondo matrimonio di un notaio. Suo padre muore quando lui ha due anni. La mamma alleva da sola i suoi figli e quelli del primo matrimonio, in tutto cinque (e paga anche il maestro di disegno per Lourens, anche se se lo immaginava notaio; lo asseconda perché soffriva di tubercolosi e pensavano non sarebbe diventato adulto). Tuttavia, studia Belle Arti ad Anversa, ottenendo numerosi premi e cominciando ad amare la pittura a tema storico. Diventa grande, si sposa, mette su famiglia ma, dopo la diagnosi di una malattia inspiegabile e il lutto della moglie si trasferisce a Londra con tutta la famiglia, dove ottiene una speciale cittadinanza inglese.
Stato Civile Sposa Marie Pauline lo stesso anno della morte della madre, nel 1863. Era la figlia di un giornalista francese che lavorava in Belgio. Ebbero un figlio maschio, morto bambino di vaiolo, e due figlie femmine che rimasero nubili (una una poetessa e l’altra una pittrice). Andarono in Italia in luna di miele, dove lui si innamorò della Roma Antica. Sei anni dopo Pauline muore dopo una lunga malattia a soli 32 anni. Per quattro mesi, Lawrence non dipinge, ma la sua cara sorella Atje lo aiuta con i figli e con sé stesso. A Londra conosce la giovane Laura, una sua alunna di disegno. Il padre di lei si oppone varie volte al matrimonio (che Lawrence voleva!) per via dell’ingente differenza di età – happy ending: si sposano nel 1871. Fu un periodo felicissimo, sanissimo e molto produttivo, fino alla morte di lei nel 1909.

Periodo Artistico Il Periodo storico è l’Epoca Vittoriana Inglese, ma Alma Tadema è difficile da classificare. Quando vedi un dipinto così dici “è un Alma Tadema o simile”. Si inserisce nel filone estetico della ricerca del bello nell’Antichità, non senza le stravaganze intellettuali degli ottocenteschi inglesi. Ma c’è anche della denuncia sociale nei suoi nudi vestiti di poesia, verso la cultura vittoriana troppo bigotta specie sessualmente. Le sue opere trasudano sesso. Si può dire che sia Neoclassico, ma in un modo vezzoso. Tadema è un tipo vizioso, ma non si direbbe…
Stile La sua tavolozza e la sua pennellata larga sono ispirate dai Preraffaelliti, anche se la scelta delle cromie è molto mediterranea. Dipingeva in una stanza molto illuminata, perchè voleva ricreare la luce mediterranea a Londra. Nella ricerca della giusta texture è meticoloso, così come nei dettagli (lo riprende dai suoi studi dei Fiamminghi in Belgio). La ricerca va verso delle scene monumentali che intrappolano la magia di un semplice gesto, come la statuaria ellenistica.
Temi Soggetti ispirati all’Antichità classica e al lusso decadente, si può dire che è il mondo che piaceva a Oscar Wilde o al nostro già citato D’Annunzio. Amava, più che Roma, Pompei. Perché Roma ha la monumentalità, la Storia, ma Pompei conserva i segreti della vita privata (è un discorso affrontato anche da Manzoni nei Promessi Sposi). In effetti, il clima di Tadema è sempre fumosamente nostalgico, triste e poetico. Inoltre, il pittore si divertiva a giocare con le fonti, prendendo un po’ di qua e un po di là, con libere manipolazioni. In questo ci somigliamo 🙂

Lo charme, diceva Albert Camus, è un modo di ottenere in risposta un sì senza aver formulato nessuna chiara domanda.

*Canzone Assegnata – “Seta” di Elisa (2022)

Elenco delle Opere nel Video

(*in ordine cronologico e non di comparsa nel video)

Morte del figlio primogenito del Faraone


Death of The Pharoah’s Firstborn Son – 1872 – 77×124 cm – Rijksmuseum di Amsterdam

Fu l’opera dell’anno per il Salon de Paris. Fu realizzata per un collezionista olandese che lasciò scritto in testamento che almeno un pezzo della sua collezione rimanesse in patria, ecco il perché della collocazione prestigiosa. La scena è presa dall’Esodo, ma non narra un episodio di gloria bensì il dolore del Faraone, immobile, a causa della vendetta divina, in modo silenzioso e non patetico. Da notare la madre, che cerca di riportare invano alla vita il figlio tramite la disperazione e l’amuleto, inutile, sul petto del ragazzo.

Saffo e Alceo

Sappho and Alcaeus – 1881 – 66×122 cm – Walters Art di Baltimora

Il poeta greco Alceo intona i suoi versi accompagnandosi con la cetra. La poetessa Saffo, accompagnata da amiche, lo ascolta rapita. I nomi delle amiche sono incisi sui gradini del teatro, simile a quello di Dioniso. Alceo amava Saffo e scriveva poesie amoroso-erotiche. Lui per un mondo maschio alfa e lei per un mondo femmina en rose, ma – dice Tadema – a una certa ci si incontra sempre. L’Amore è una poesia bellissima!

Una lettura da Omero

A Reading from Homer – 1885 – 92×184 cm – Philadelphia Art Museum

Viene realizzato per un banchiere americano molto interessato dall’arte di Alma Tadema, che voleva un Platone ma il pittore non trovava pace, allora gli realizza un Omero – che gli varrà l’aggettivo “perfezione” dei critici. Un uomo sta declamando i versi di Omero ascoltato da persone vestite a festa: una donna in piedi con il mantello e una corona di fiori (potrebbe essere Atena, la dea vergine protettrice di Ulisse), una coppia semi sdraiata (il ragazzo tiene una citara e lei il tamburo, simboli di unione sessuale). Un ragazzo vestito di pelle di capra (come se fosse un satiro) lo ascolta rapito. Omero poteva essere una lettura scabrosa in epoca vittoriana.

Le donne di Amfissa

The Women of Amphissa – 1887 – 121×182 cm – Clark Art Institute di Williamstown

Gli valse una medaglia al Salon di Parigi. Sono le baccanti, le ancelle di Dioniso (delle vestali non-vergini) al momento del risveglio dopo una notte di festa ed eccessi. Alcune donne del popolo le aiutano, altre rimangono rigide in disparte. Mentre loro si risvegliano, le donne sono già pronte per fare la spesa al mercato. Un solo uomo, molto sinistro, le spia celato in una zona d’ombra. Uno spaccato della società bigotta.

(*)Le Rose di Eliogabalo

The Roses of Heliogabalus -1888 – 132×213 cm – collezione privata

Considerato il suo capolavoro. La composizione è molto inerente alle proporzioni auree. Eliogabalo è l’imperatore romano debosciato che fece morire i suoi commensali soffocandoli per sbaglio con una pioggia di petali di rosa dal soffitto. Anche qui c’è un chiaro riferimento a Dioniso e alla suonatrice di doppio flauto sullo sfondo (alludente a quella pratica là, che non si fa secondo la Regina Vittoria!). Infatti, coloro che sono “al banchetto di Dioniso” guardano divertiti quelli che si ricoprono troppo “di rose” e rimangono soffocati; un uomo e una donna, sembrano riemergere per ricongiungersi (se guardate i colori, sono speculari).

Rivali inconsapevoli

Unconscious Rivals – 1893 – 45×63 cm – Bristol City Museum

Ci sono due donne in attesa di due stessi amanti. Quella in piedi sembra quasi annoiata. L’altra in angoscia. I rivali inconsapevoli sono cuore e mente. Inoltre, c’è una statua di Cupido che prova la maschera di Sileno, il “padre” di Dioniso (un vecchio ubriacone e maialone). La solita domanda: si dà al primo appuntamento o al settimo? Meglio solo sesso o solo amore?

Primavera

Spring – 1894 – 178×80 – Getty Museum di Los Angeles

Fu realizzato per un banchiere e fu molto apprezzato e il più riprodotto. Rappresenta la processione durante un giorno di festa. Sullo stendardo si leggono dei versi dedicati a Priapo, legato ai culti orgiastici e dionisiaci (e noto per il suo lungo p***). Una delle statue in processione è un satiro, inoltre. La decorazione unisce vari siti dell’Italia antica. Si ispira alla festa vittoriana del Calendimaggio, quando i bambini raccoglievano fiori, ma gli dà una connotazione più da festività romana per la fertilità (tipo per Cerere). I fiori sono molto cromaticamente intensi, ma non hanno allusioni simboliche. Qui in Alta Lombardia esiste una festa simile: il Ciamà l’Erba, il richiamare l’erba tramite campanacci a marzo.

La cognizione del Successo

A Coign of Vantage (in inglese vuol dire punto di vista privilegiato)- 1895 -64×44 cm – collezione privata
Colpisce la statua della leonessa (e non il leone) nera vista da dietro, maestosa perché non si mostra, ecco chi ha la posizione privilegiata – la Donna. L’onice proteggeva in battaglia in epoca romana (dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna). Sembrano le Tre Grazie nella tipica iconografia “sì/no/forse” alla risposta “me la dai?”.

I Preferiti d’Argento

Silver Favourites – 1903 – 69×42 cm – Manchester Art Gallery
Si ispira a una poesia di Wordsworth, che si interroga su perché ammiriamo dei pesci se sono costretti alla vita in cattività. Le donne che ammiriamo nei dipinti di Tadema sono indolenti e annoiate, intrappolate sulla tela, ma le troviamo belle. Così, come le donne troppo pudiche intrappolate nell’etica vittoriana.

Non chiedermi di più

Ask me no more -1906 – 79×114 cm – collezione privata
Due personaggi di Ovidio: Tisbe e Piramo. Si amavano, ma le famiglie non volevano allora si parlavano attraverso le pareti. Lei durante la finale fuga d’amore viene quasi uccisa da una leonessa. Lui si suicida temendola morta e lei si uccide davvero con la spada di lui (Sì, Shakespeare ha copiato!). In questa tela Tadema non arriva a rappresentare la morte, ma denuncia l’impossibilità amorosa per via della moralità sociale (come era successo a lui con Laura). Essere bigotti porta solo alla tragedia!

L’abitudine preferita

A Favourite Custom – 1909 – 66x 45 cm – Tate Britain di Londra
Una scena alle terme di Pompei, nel Frigidarium dove due giovani donne giocano nella vasca.Tadema adorava gli scavi di Pompei e le storie di quella gente. I Romani hanno trasformato l’esigenza igienica in piacere dei sensi, perciò le terme sono l’usanza preferita di Tadema. Quindi, per lui il sesso non va visto solo come procreazione, è gioco. E la sua usanza preferita è quel gioco.

Miss Raincoat

*Ho messo anche i titoli in originale, perché secondo me alcuni in traduzione hanno perso loquacità 😦

Jean-Auguste-Dominique Ingres

Nome Jean-Auguste-Dominique Ingres – pronuncia: /Engr/ Per gli amici Jean Ingres – il pittore Delacroix era suo amico, ma lui lo definiva “l’apostolo del brutto”; aveva vari amici musicisti famosi, come Paganini e Litzt. I critici non furono suoi amici, i politici (come Napoleone) abbastanza Sui socials@i.ingresss
Nato a Montauban, vicino a Tolosa (Francia)
Data di nascita/morte 29 agosto 1780 – morto a 87 anni a Parigi. Questa città solo nel 1824 gli concesse la fama da divo che si meritava e, in seguito all’insuccesso del 1840 raggiungerà di nuovo Roma come direttore dell’Accademia d’Arte. Potrà ritornare a Parigi un anno dopo trionfalmente grazie a Luigi Filippo di Francia. Dopo la morte dell’amatissima morte e un secondo matrimonio, morirà di polmonite.
Segno Zodiacale Vergine
Stato Sociale Primogenito di una famiglia di sette bambini, dei quali due muoiono piccoli. Il papà era un bravo decoratore, la nonna materna una sarta, la mamma analfabeta e suo nonno materno un barbiere. Impara il disegno con il padre e in una scuola cattolica, poi chiusa in epoca rivoluzionaria. In seguito, la famiglia si trasferisce a Tolosa dove lui frequenta la Scuola d’Arte dove s’innamora di Raffaello (lo dipingerà spesso con la Fornarina, tipo fanart). Studia in parallelo anche musica, eccellendo. In francese esiste l’espressione “violon d’Ingres” = un’attivitò che si fa bene e solo per passione. Mon violon d’Ingres est l’aperitivo! A scuola vince numerosi premi. Uno lo porta a Parigi dove, ovviamente, può studiare con il maestro neoclassico J.L. David, del quale assorbe molto; l’altro lo porta in Italia dove rimane per diciotto anni in esilio volontario perché la critica francese è cattivissima con lui. Non sta molto bene economicamente perché i ricchi italiani mica sempre lo pagano (tipo i Murat che stavano galleggiando nella melma), allora si mette a ritrarre i turisti, non con poca nausea (ti capisco Gianni! Ahahah).
Stato civile Gli anni di precariato italiano furono allietati solo dal matrimonio con Madeleine Chapelle, una giovane fanciulla con cui Ingres si era fidanzato per corrispondenza, senza averla mai vista prima delle nozze, celebrate nel settembre 1813. Grazie al supporto della moglie poté risollevare le proprie sorti, dipingendo tele destinate a divenire celebri, come la Grande Odalisca. Dopo un periodo cupo dopo il lutto prematuro, arrivarono le seconde nozze con Delphine Ramel nel 1840 di ventisette anni più giovane, motivo che lo spinse di nuovo a dedicarsi all’arte e a dipingere moltitudini di donne degli harem fino a ottant’anni.

Periodo Artistico Romanticismo. Sebbene ne sia considerato uno dei principali interpreti, si vedeva meglio calato nel Neoclassico e a lui il romanticismo mica tanto piaceva. In realtà, non fu nemmeno un classicista. La sua fu un’arte davvero particolare, a cavallo tra due correnti. Ingres aveva l’impulso romantico di chi vuole penetrare il segreto del Bello naturale.
Stile Attentissimo al disegno: per lui è la parte espressiva dell’opera, che traduce con linee nette . In effetti per quanto ciò che dipinge sia statuario, è privo di ampollosità perché toglie il superfluo. L’eleganza e la semplicità la eredita da Raffaello, di cui era un fan sfegatato, ma evita i panneggi prediligendo il total nude. A livello cromatico sceglie una palette prevalentemente fredda, senza terre o rossi, anche se non percepiamo che calore nelle sue figure, con una texture di incarnati quasi fotografica.
Temi Da Neoclassico, sicuramente, non può che attingere dall’Antichità ma non disdegna temi anche molto romantici, come il sogno. Per questo da vita a un’arte tutta sua. Sembra che sia riuscito a rendere emotive le statue di Fidia. Soprattutto, i nudi femminili, che sarebbero porno censurabili se non le avesse chiamati Odalische, non esprimono un amore per l’esotico, piuttosto per la femminilità, sinuosi nei colori che fanno sembrare la pelle illuminata dall’interno e che le fanno sembrare morbide, senza struttura ossea, e nelle forme a esse. Ingres rende monumentale e divino tutto ciò che dipinge, eleva le sue figure dall’umanità dando loro una dimensione non irreale, ma surreale. Infatti, fu apprezzato anche dai Contemporanei. Le sue donne non sono mai in mostra, anzi, sempre spiate in un momento di relax . Cosa fai quando nessuno ti guarda?

Talento, avaro, crudele, collerico, sofferente, straordinario miscuglio di qualità in contrasto, messe tutte quante al servizio della natura, e la cui stranezza non costituisce di certo una fra le cause minori del suo fascino: fiammingo nella stesura, individualista e naturalista nel disegno, volto all’antico per congenialità, idealista per ragionamento – Charles Baudelaire

*Canzone Assegnata “Mediterranea” di Irama (2020)

Elenco delle Opere nel Video

(*in ordine cronologico e non di comparsa nel video)

Gli Inviati di Agamennone

École nationale supérieure des Beaux-Arts di Parigi – 1801 – 110 x 155 cm

Fu prodotto espressamente per il Premio di Roma. Ingres a capire che conosce l’Iliade, per esempio dipingendo Patroclo e Achille insieme. Fa emergere l’imprintig con il maestro David e l’impostazione neoclassica monumentale.

Napoleone I sul trono imperiale

Musée de l’Armée di Parigi – 1806 – 259 x 162 cm

Concepito come propaganda politica. La critica disse che faceva davvero schifo, anche se nei libri di Storia odierni viene spesso usata. In effetti, Napoleone non era così bello e qui sembra più Giove. In un unica opera Ingres riesce ad inserire tutta la Storia di Francia, solo nei dettagli. Ingres è bravo nel rendere qualsiasi soggetto, qualsiasi ritratto, divino.

L’Orangerie di Villa Borghese a Roma

Museo Ingres di Montauban – 1807 – 17 x 17,5 cm

Fa parte dell’esperienza italiana di Ingres. Il paesaggio non fu uno dei suoi stili privilegiati, infatti è “solo” una bella cartolina, che però esprime il suo amore per l’Italia che a differenza della Francia lo accolse. La solita battuta dei bidet!

La bagnante di Valpinçon

Museo del Louvre di Parigi – 1808 – 146 x 97,5 cm

Uno dei primi approcci con i nudi di schiena e apprezzato per la delicatezza cromatica. Vapinçon fu uno dei proprietari; la Bagnante è una donna che sta per farsi il bagno. L’opera è dissacrante, ma nel modo senza tempo in cui lo possono fare solo dei nudi perfetti, non volgari, perché non esistono ma sono bellissimi. Inoltre, è sensuale perché non si mostra. Viene ripresa dal dadaista Man Ray con la famosa fotografia “a violino”.

Edipo e la Sfinge

Museo del Louvre di Parigi – 1808 – 189 x 144 cm

In questa opera giovanile, Ingres dipinge il momento è quello in cui Edipo risolve l’enigma e ha salva la vita. Molto in stile classico, viene inserita a man bassa la contrapposizione buio=forza bruta e luce=intelligenza.

Giove e Teti

Musée Grane di Aix-en-Provence – 1811- 324 x 260 cm

La materia è presa dall’Iliade, che Ingres la conosceva bene: ci mostra la mamma di Achille che implora Giove di favorire i Troiani. Era l’episodio preferito di Ingres. Ne era compiaciuto disse “anche i cani che vogliono azzannarmi dovrebbero rimanerne commossi”, invece i critici sentenziarono che Teti aveva il collo lungo, come se avesse problemi alla tiroide. Per me è un manifesto agli uomini con la barba! (Ahahah)

Il sogno di Ossian

Museo Ingres di Montauban – 1813 – 348 x 275 cm

L’opera più aderente al Romanticismo. Ossian era un bardo irlandese, un cantore-poeta e in quel periodo le sue traduzioni erano molto di moda, tipo Mercoledì Addams – piaceva molto anche a Napoleone. Ossian sta sognando parenti, donne e guerrieri del Passato. I critici dissero che era una roba strana grigia. Non tratta il tema con frenesia come gli altri pittori che si ispirano, ma c’è la sua iconica calma. L’atmosfera lunare è perché era stato concepito come un dipinto per camera da letto.

(*) La Grande Odalisca

Museo del Louvre, di Parigi – 1814 – 91 x 162 cm

I critici dissero che era sproporzionata. Oggi è considerata meravigliosa. Una donna bella che non sa di esserlo e che non è nuda per provocazione, ma perché si sta riposando – sei tu che la stai spiando. Lei aspetta qualcuno con modestia e senza lacrime, è fiera e delicata al contempo. Una delle iconiche Odalische ispirate alla Fornarina e a tutte le donne sensuali dell’antichità. Per questo, è immortale.

Ritratto di Madame de Senonnes

Museo di belle arti di Nantes – 1816 – 106 x 84 cm

A Roma, Ingres incontra l’amante del Visconte di Senonnes. Per molto tempo fu creduto che Maria fosse di Trastevere, invece era una borghese francese. Era figlia e moglie di un mercante di stoffe, che la portò a Roma, ma non andavano d’accordo e divorziarono. Per molto tempo non si poté sposare con il visconte per il pregiudizio e per la disparità sociale. Ci mostra com’era una donna sensuale ottocentesca, sicura di sé e un po’ odalisca. L’espediente dello specchio viene usato spesso nei ritratti di Ingres, non in chiave simbolica ma per dilatare gli spazi.

Apoteosi di Omero

Museo del Louvre di Parigi- 1827 – 386 x 515 cm

Considerato il Manifesto del Neoclassicismo. Omero, al culmine della sua carriera, vine e incoronato davanti a un tempio greco in mezzo a una folla di poeti antichi e moderni. Sedute sotto di lui ci sono l’Iliade e l’Odissea. Lui è ieratico, come gli dei antichi. La composizione ricorda la Scuola di Atene di Raffaello, il suo idolo.

Odalisca con Schiava

Fogg Museum di Cambridge – 1839 – 72,1 x 100,3 cm

Viene apprezzato molto dalla critica. Rappresenta come gli occidentali si immaginavano un harem, ossia con le odalische nude. Le immaginano come principesse che si dedicano solo all’ozio. Lo strumento della schiava è il tanbur, un liuto a manico lungo (che ricorda le forme delle Odalische di Ingres). Per Ingres le odalische sono delle Veneri che non sono statue, bensì vere – ma solo nei sogni.

Antioco e Stratonice

Museo Condé di Chantilly – 1840 – 77 x 61 cm

L’impianto ricorda molto David – a me personalmente ricorda i suoi Curiazi. Il letto ha le forme di una sorta di monumento funebre greco. Il tema è preso da Plutarco. Stratonice, figlia di Demetrio, re macedone (di cui Plutarco è biografo), sposa il padre di Antioco, un generale di Alessandro Magno. Antioco se ne innamora segretamente e la passione lo divora, fino alla malattia. Il momento è quello in cui Stratonice entra nella stanza, lui muore per battito accelerato e si scopre quale fosse l’origine del suo male.

La Sorgente

Museo d’Orsay di Parigi – 1820 e 1856 163 x 80 cm

Realizzato in molto tempo e terminato da anziano, quando era molto conosciuto. Lo sfondo è creato da allievi. Rappresenza l’ispirazione artistica, ma è anche pieno di allusioni erotiche donna-natura. Pare che la modella sia la figlia della sua governante, forse non più vergine a causa sua. Eh, i settantenni di una volta!

Il Bagno Turco

Museo del Louvre di Parigi – 1862 -108 x 110 cm

Uno dei suoi dipinti più noti. Sicuramente è come la sintesi di tutto il suo operato che, temporalmente, prende tutta la prima metà dell’Ottocento e cita alcune opere – è un suo greatest hits. Solo successivamente viene trasformata in un tondo e ha alle spalle tre anni di realizzazione. La versione rettangolare fu di Napoleone che lo restituì. Rappresenta un harem di lusso in un momento di relax tra le ragazze, quindi sensuale in quanto intimo. Quella con la mano su volto è la sua giovane seconda moglie. Da notare che lui in Oriente non c’è mai stato, è come se lo immaginava e come ne aveva sentito parlare.

*Nel video compare anche uno studio per un nudo che qui non è citato!

Miss Raincoat

Vittorio Matteo Corcos

Nome Vittorio Matteo Corcos per gli amici Vittorio Corcos sui socials @v.corcos
Nato a Livorno, Toscana (Italia)
Data nascita/morte 4 ottobre 1859 a Livorno – muore a 74 anni, pochi giorni prima della moglie. Ha pianto la scomparsa di un figlio, caduto durante la Prima Guerra Mondiale. Stimato dall’aristocrazia intellettuale fiorentina che frequentava.
Segno Zodiacale Bilancia
Classe Sociale Famiglia di origini ebraiche, modesta ma che capisce il suo potenziale facendogli studiare Belle Arti a Firenze e a Napoli. Nel 1880 la Galleria Goupil di Parigi gli stipula un contratto di 15 anni e, così, diventa il ritrattista della Parigi Bene e si innamora della ritrattistica. Si fece strada da sé tra i potenti, ed era conosciuto come il peintre de jolie femmes (il pittore delle belle donne).
Stato Civile nel 1889 si sposa con la vedova Emma Ciabatti che lo inserisce nei salotti intellettuali fiorentini, per esempio tra Carducci e d’Annunzio. Tornato a Livorno per il militare, la conosce e la sposa subito, pochi mesi dopo, alla fine di novembre. Corcos ebbe una chiacchierata ma mai confermata relazione con Elena Vecchi, la giovane figlia di un amico intellettuale (è la ragazza protagonista di “Sogni” e di “Alla Fontana”). Sicuramente Vittorio stimava molto sua moglie e sapeva che era lei l’intellettuale con lo status sociale.

Periodo Artistico Belle Epoque. Si avvicina il nuovo secolo, il Novecento, e la società occidentale lo attende con ottimismo e fiducia e felicità, senza pensare alla povertà, la malattia e la guerra. Il contesto artistico di fine Ottocento, dominato dal gusto borghese, amava il ritratto come simbolo di uno status quo. Difficile non notare attinenze con Sargeant o con Hayez.
Tecnica e Stile Colori brillanti e pennellate raffinati. Scene molto illuminate che creano un’ atmosfera molto zuccherosa, dai colori freddi e pastello. Ritratti resi imponenti dalle grandi dimensioni delle tele, spesso in primo piano.
Temi Ritratti realistici di ricchi e regnanti di tutta Europa, con numerosi rimandi colti e letterari. Il focus è praticamente sempre sugli occhi e, quindi, sull’espressività dello. Corcos era non solo mondano, ma anche capace di cogliere la modernità, la sensualità e la profondità delle donne dei suoi tempi, rappresentandone la malizia (anche solo e soprattutto da zitte). Lui definiva così la sua opera, non senza compiacersi: una pittura chiara, dolce, liscia, ben finita: la seta: seta, la paglia: paglia, il legno: legno, le scarpine lucide di copale, lucide come le so fare soltanto io.

*Canzone Assegnata: “Dolcevita” di Galeffi (2022)

Elenco delle Opere nel Video

(*in ordine cronologico e non di comparsa nel video)

La Bella e la farfalla

1883 – 64×41 cm – collezione privata

I critici sostengono che Corcos sappia rappresentare il dualismo dell’intimità di una donna: il fiore e il fantasma. In questa tela del periodo francese, il pittore dipinge una donna fumosa in transizione, nel momento di diventare da bruco a farfalla, come se per diventare donna, colorata da puramente bianca, non si possa fare a meno di sporcarsi…

L’addio

1883 – (?) – collezione privata

Questa è una delle sue opere meno note. Viene raffigurata una donna dall’abbigliamento molto raffinato, che volge lo sguardo pensieroso altrove, verso quel battello che la porterà via e lontano dai luoghi che l’hanno resa felice. In quest’opera il pittore ha reso bene i colori del vento, della brezza marina, secondo me.

Ritratto di Giuseppe Garibaldi

1882 – 90×65 cm – Museo Fattori di Livorno

Garibaldi è ritratto pensieroso e non più giovane. La pittura, più precisa nei tratti somatici, più svelta nella veste e sfumata ai lati del corpo, e il volto illuminato di luce, che risalta sul fondo scuro, restituisce umanità all’eroe. Era appena morto e Corcos realizza il ritratto da una foto.

Stella e Piero

1889 – 122×86 cm – Palazzo Pitti di Firenze

Questa è l’opera meno aristocratica di Corcos e considerata uno dei suoi capolavori. La protagonista è una contadina livornese, dipinta con la stessa autenticità che l’autore riservava alle nobildonne. La sua ritrosia è ben lontana dalla sfacciataggine delle altre donne che lui dipinse, che non si facevano infastidire dagli uomini (come sta facendo Piero con i fili di paglia) e li dominavano.

Ritratto della moglie Emma

1889 – 72×56 cm – Museo Fattori di Livorno

Il viso di Emma è inondato di luce su un anonimo fondo scuro. Gli occhi profondi sono puntati su chi guarda e rivelano il bagliore della cultura di questa fine donna. Ogni particolare è ben definito e descritto con grande cura, le fini pennellate rendono persino la diversa consistenza dei materiali di veste e cappello. Togliendo le frivolezze che riserva alle altre donne, lei è rappresentata intensa senza bisogno di nulla.

Ritratto di Yorik

1889 – 199×138 cm – Museo Fattori di Livorno

In una strada semplice, che costeggia un palazzo dal muro sporco, cammina con disinvoltura e sicurezza Yorick. Sul muro, a sinistra, alcuni disegni infantili che in quegli anni godevano di interesse, firmati Ada – la figliastra di Corcos; a destra versi dettati dallo stesso Yorick (che con ironia addebitano le sembianze del soggetto alla scarsa bravura del pittore “Se l’uomo qui dipinto al naturale / Non è giovin, grazioso ed alto e snello, / se ne accusi il pennello: / Non ci ha colpa, per Dio, l’originale”). Il protagonista è l’amico col livornese Pietro Coccoluto Ferrigni, noto con lo pseudonimo di Yorik. Qui Corcos realizza una sorta di caricatura per encomiare l’ironia dello scrittore-avvocato.

Giovane donna con il cagnolino

1885 – 108×85 cm – collezione privata

Una delle varie rappresentazioni di coquettes, ossia giovani donne in atteggiamenti civettuoli. In questo caso, a parte la posa languida sul divano, la ragazza è connotata anche per i suoi giochi con il cagnolino, simbolo di giochi erotici e, in qualche modo, perversi. Come se questa donna fosse la dea Diana, vergine ma onnipotente – divertita dal poter sedurre senza concedersi mai.

Alla fontana (Le due colombe)

1885 – 209×150 cm- collezione privata

C’è una ragazza che aspetta qualcuno seduta tranquilla e sicura di sé alla Fontana dei Leoni, appena fuori dal Palazzo Pitti di Firenze. Il suo sguardo è puntato verso lo spettatore ed è impassibile anche al volo della colomba alla sua sinistra. La fontana è ovviamente simbolo del desiderio carnale e la colomba è la sua purezza femminile che vola via, ma a lei non importa… La protagonista è la chiacchierata giovane amante di Corcos, Elena – figlia di un suo amico intellettuale. Probabilmente non ci fu mai nulla oltre a “pensieri torbidi, desideri e turbamenti”, come scrissero alcuni giornalisti.

(*)Sogni

1896 – 135×160 cm – GNAM di Roma

L’opera più famosa di Corcos (resa celebre anche dalla copertina de “I Leoni di Sicilia”) è anche il simbolo della Belle Epoque italiana. Seduta con i suoi libri, Elena (sempre lei, l’amante o non-amante) viene rappresentata in una posa considerata indecorosa e maleducata per una femminuccia ai tempi (le gambe accavallate) e con uno sguardo veramente molto in confidenza verso a chi la sta guardando. Sembra un po’ l’Albachiara di Vasco. Diventa metafora del Novecento, alle porte.

Ritratto di Paolina Bondi

1909 – (?) – collezione privata

Lo sguardi della giovane aristocratica, di appena undici anni, è profondo, seducente e anche mesto. In questo dipinto Corcos esprime il suo marchio di fabbrica: gli occhi come protagonisti, come metodo espressivo e come linea di congiunzione con lo sguardo dello spettatore. Le linee di fuga di un amore? Occhi negli occhi!

In lettura sul mare

1919 – 130×228 cm – collezione privata

L’ambientazione è l’incontaminata Castiglioncello, appena fuori da Livorno, dove Corcos si era fatto costruire una villa di campagna frequentata un po’ da tutta l’élite intellettuale italiana. La protagonista femminile è la figliastra Ada, che sta intrattenendo due giovani amici con i romanzi di Flammarion (le riconosciamo dalle copertine gialle) – che erano di moda tra i borghesi e trattavano di fantascienza (Flammarion, come me, era nato il 26 febbraio!). L’atmosfera è sia languida sia inquieta.

Miss Raincoat