Vittorio Matteo Corcos

Nome Vittorio Matteo Corcos per gli amici Vittorio Corcos sui socials @v.corcos
Nato a Livorno, Toscana (Italia)
Data nascita/morte 4 ottobre 1859 a Livorno – muore a 74 anni, pochi giorni prima della moglie. Ha pianto la scomparsa di un figlio, caduto durante la Prima Guerra Mondiale. Stimato dall’aristocrazia intellettuale fiorentina che frequentava.
Segno Zodiacale Bilancia
Classe Sociale Famiglia di origini ebraiche, modesta ma che capisce il suo potenziale facendogli studiare Belle Arti a Firenze e a Napoli. Nel 1880 la Galleria Goupil di Parigi gli stipula un contratto di 15 anni e, così, diventa il ritrattista della Parigi Bene e si innamora della ritrattistica. Si fece strada da sé tra i potenti, ed era conosciuto come il peintre de jolie femmes (il pittore delle belle donne).
Stato Civile nel 1889 si sposa con la vedova Emma Ciabatti che lo inserisce nei salotti intellettuali fiorentini, per esempio tra Carducci e d’Annunzio. Tornato a Livorno per il militare, la conosce e la sposa subito, pochi mesi dopo, alla fine di novembre. Corcos ebbe una chiacchierata ma mai confermata relazione con Elena Vecchi, la giovane figlia di un amico intellettuale (è la ragazza protagonista di “Sogni” e di “Alla Fontana”). Sicuramente Vittorio stimava molto sua moglie e sapeva che era lei l’intellettuale con lo status sociale.

Periodo Artistico Belle Epoque. Si avvicina il nuovo secolo, il Novecento, e la società occidentale lo attende con ottimismo e fiducia e felicità, senza pensare alla povertà, la malattia e la guerra. Il contesto artistico di fine Ottocento, dominato dal gusto borghese, amava il ritratto come simbolo di uno status quo. Difficile non notare attinenze con Sargeant o con Hayez.
Tecnica e Stile Colori brillanti e pennellate raffinati. Scene molto illuminate che creano un’ atmosfera molto zuccherosa, dai colori freddi e pastello. Ritratti resi imponenti dalle grandi dimensioni delle tele, spesso in primo piano.
Temi Ritratti realistici di ricchi e regnanti di tutta Europa, con numerosi rimandi colti e letterari. Il focus è praticamente sempre sugli occhi e, quindi, sull’espressività dello. Corcos era non solo mondano, ma anche capace di cogliere la modernità, la sensualità e la profondità delle donne dei suoi tempi, rappresentandone la malizia (anche solo e soprattutto da zitte). Lui definiva così la sua opera, non senza compiacersi: una pittura chiara, dolce, liscia, ben finita: la seta: seta, la paglia: paglia, il legno: legno, le scarpine lucide di copale, lucide come le so fare soltanto io.

*Canzone Assegnata: “Dolcevita” di Galeffi (2022)

Elenco delle Opere nel Video

(*in ordine cronologico e non di comparsa nel video)

La Bella e la farfalla

1883 – 64×41 cm – collezione privata

I critici sostengono che Corcos sappia rappresentare il dualismo dell’intimità di una donna: il fiore e il fantasma. In questa tela del periodo francese, il pittore dipinge una donna fumosa in transizione, nel momento di diventare da bruco a farfalla, come se per diventare donna, colorata da puramente bianca, non si possa fare a meno di sporcarsi…

L’addio

1883 – (?) – collezione privata

Questa è una delle sue opere meno note. Viene raffigurata una donna dall’abbigliamento molto raffinato, che volge lo sguardo pensieroso altrove, verso quel battello che la porterà via e lontano dai luoghi che l’hanno resa felice. In quest’opera il pittore ha reso bene i colori del vento, della brezza marina, secondo me.

Ritratto di Giuseppe Garibaldi

1882 – 90×65 cm – Museo Fattori di Livorno

Garibaldi è ritratto pensieroso e non più giovane. La pittura, più precisa nei tratti somatici, più svelta nella veste e sfumata ai lati del corpo, e il volto illuminato di luce, che risalta sul fondo scuro, restituisce umanità all’eroe. Era appena morto e Corcos realizza il ritratto da una foto.

Stella e Piero

1889 – 122×86 cm – Palazzo Pitti di Firenze

Questa è l’opera meno aristocratica di Corcos e considerata uno dei suoi capolavori. La protagonista è una contadina livornese, dipinta con la stessa autenticità che l’autore riservava alle nobildonne. La sua ritrosia è ben lontana dalla sfacciataggine delle altre donne che lui dipinse, che non si facevano infastidire dagli uomini (come sta facendo Piero con i fili di paglia) e li dominavano.

Ritratto della moglie Emma

1889 – 72×56 cm – Museo Fattori di Livorno

Il viso di Emma è inondato di luce su un anonimo fondo scuro. Gli occhi profondi sono puntati su chi guarda e rivelano il bagliore della cultura di questa fine donna. Ogni particolare è ben definito e descritto con grande cura, le fini pennellate rendono persino la diversa consistenza dei materiali di veste e cappello. Togliendo le frivolezze che riserva alle altre donne, lei è rappresentata intensa senza bisogno di nulla.

Ritratto di Yorik

1889 – 199×138 cm – Museo Fattori di Livorno

In una strada semplice, che costeggia un palazzo dal muro sporco, cammina con disinvoltura e sicurezza Yorick. Sul muro, a sinistra, alcuni disegni infantili che in quegli anni godevano di interesse, firmati Ada – la figliastra di Corcos; a destra versi dettati dallo stesso Yorick (che con ironia addebitano le sembianze del soggetto alla scarsa bravura del pittore “Se l’uomo qui dipinto al naturale / Non è giovin, grazioso ed alto e snello, / se ne accusi il pennello: / Non ci ha colpa, per Dio, l’originale”). Il protagonista è l’amico col livornese Pietro Coccoluto Ferrigni, noto con lo pseudonimo di Yorik. Qui Corcos realizza una sorta di caricatura per encomiare l’ironia dello scrittore-avvocato.

Giovane donna con il cagnolino

1885 – 108×85 cm – collezione privata

Una delle varie rappresentazioni di coquettes, ossia giovani donne in atteggiamenti civettuoli. In questo caso, a parte la posa languida sul divano, la ragazza è connotata anche per i suoi giochi con il cagnolino, simbolo di giochi erotici e, in qualche modo, perversi. Come se questa donna fosse la dea Diana, vergine ma onnipotente – divertita dal poter sedurre senza concedersi mai.

Alla fontana (Le due colombe)

1885 – 209×150 cm- collezione privata

C’è una ragazza che aspetta qualcuno seduta tranquilla e sicura di sé alla Fontana dei Leoni, appena fuori dal Palazzo Pitti di Firenze. Il suo sguardo è puntato verso lo spettatore ed è impassibile anche al volo della colomba alla sua sinistra. La fontana è ovviamente simbolo del desiderio carnale e la colomba è la sua purezza femminile che vola via, ma a lei non importa… La protagonista è la chiacchierata giovane amante di Corcos, Elena – figlia di un suo amico intellettuale. Probabilmente non ci fu mai nulla oltre a “pensieri torbidi, desideri e turbamenti”, come scrissero alcuni giornalisti.

(*)Sogni

1896 – 135×160 cm – GNAM di Roma

L’opera più famosa di Corcos (resa celebre anche dalla copertina de “I Leoni di Sicilia”) è anche il simbolo della Belle Epoque italiana. Seduta con i suoi libri, Elena (sempre lei, l’amante o non-amante) viene rappresentata in una posa considerata indecorosa e maleducata per una femminuccia ai tempi (le gambe accavallate) e con uno sguardo veramente molto in confidenza verso a chi la sta guardando. Sembra un po’ l’Albachiara di Vasco. Diventa metafora del Novecento, alle porte.

Ritratto di Paolina Bondi

1909 – (?) – collezione privata

Lo sguardi della giovane aristocratica, di appena undici anni, è profondo, seducente e anche mesto. In questo dipinto Corcos esprime il suo marchio di fabbrica: gli occhi come protagonisti, come metodo espressivo e come linea di congiunzione con lo sguardo dello spettatore. Le linee di fuga di un amore? Occhi negli occhi!

In lettura sul mare

1919 – 130×228 cm – collezione privata

L’ambientazione è l’incontaminata Castiglioncello, appena fuori da Livorno, dove Corcos si era fatto costruire una villa di campagna frequentata un po’ da tutta l’élite intellettuale italiana. La protagonista femminile è la figliastra Ada, che sta intrattenendo due giovani amici con i romanzi di Flammarion (le riconosciamo dalle copertine gialle) – che erano di moda tra i borghesi e trattavano di fantascienza (Flammarion, come me, era nato il 26 febbraio!). L’atmosfera è sia languida sia inquieta.

Miss Raincoat

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“La Malinconia di Penelope” di Angelika Kauffmann

Angelika Kauffmann è stata una pittrice della seconda metà del Settecento, stimata ritrattista, nata a Coira, nei Grigioni (Svizzera). Passò la sua infanzia da bambina prodigio nella mia Morbegno (Sondrio) e, sebbene diventò una donna di mondo, ben calata nel clima dei salotti europei, rimase una semplice ragazza svizzera alla ricerca dei colori dell’arcobaleno, nonostante vivesse in un mondo ancora troppo maschio.

Con suo padre, un discreto pittore al servizio della borghesia e della nobiltà tedesca, viaggiò molto e, durante un soggiorno veneziano, conobbe la moglie dell’ambasciatore inglese, che la convinse a lasciare l’Italia senza papà. Sua madre era già morta a Milano qualche anno prima, purtroppo.

A Londra ci passò ben quindici anni di vita mondana senza risparmiarsi il gossip sulle sue relazioni. Una presunta fu con il pittore conterraneo Füssli. Una appurata fu con Joshua Reynolds, fondatore della Royal Academy. La relazione con quest’uomo magnetico più grande di lei e allergico al matrimonio ma non alle donne non passò inosservata, tant’è che Nathaniel Hone, pittore in polemica con Reynolds, dipinse un quadro (“Il Congiurato”) con il quale, per averla vinta, svergogna la situazione mettendo in cattiva luce anche Angelika.

Era il 1775. Arrivò papà Kauffmann a mettere un po’ d’ordine. Angelika sposò di fretta un conte svedese, che non era il conte Hans Axel Von Fersen, bensì un impostore che fuggirà con tutti i risparmi. Dopo l’annullamento, Angelika avrà un secondo matrimonio con un pittore veneziano amico di suo padre e un amore segreto mai corrisposto con Goethe. Goethe apprezzava la sua arte, ma in modo compassionevole e la giudicava in maniera impietosa, anzi, direi maschilista. Disse “Hai il genio solitamente riservato agli uomini”. Grazie al c***!

Ma torniamo al 1775.

1775 ca. – 26*21 cm – olio su rame – Wolverhampton Art Gallery

La “Malinconia di Penelope” si colloca in questo periodo. Angelika e Joshua sono al centro del gossip e si allontanano definitivamente, dopo il matrimonio con il conte.

La Penelope rappresentata piange, è addolorata. Dopo aver atteso per vent’anni senza dubbio e senza tradimenti l’uomo che ama comincia a pensare che non tornerà più. Atena, la dea della Ragione, l’ha convinta a lanciare una sfida tra i suoi pretendenti: chiunque riuscirà a fare centro nelle dodici scuri tramite l’arco di Ulisse, un’arma che solo lui sa maneggiare, avrà lei come bottino.

La Penelope in cui si rivede la Kauffmann è vestita di bianco sporco, non più vergine, coperto dal blu cyan, un colore che simboleggia la sofferenza e il dolore. Inoltre, è seduta su un divano rosso, il trono della vera passione. Il talamo di Ulisse e Penelope aveva un segreto che conoscevano solo loro due, era poggiato su un tronco che lo rendeva inestirpabile; qui, di fatto, c’è una colonna che simboleggia quel per sempre che, per quanto si siano dovuti allontanare a forza, legherà Angelika a Joshua. Ai piedi di Penelope ci sono solo tre delle dodici scuri e tre, per i Greci, erano i livelli dell’unione tra due persone: la passione, l’affetto e l’amore. Dipingerli ai piedi vuol dire buttarli via. Inoltre, la loro posizione a croce e a freccia rappresenta appunto l’unione maschio – femmina, di Afrodite e Ares (la tresca più famosa del Mito, finita malissimo per gelosia…). Penelope, infine, porta una collana, iconografia dell’appartenenza a un altro uomo, così come l’atto di incrociare le gambe e il velo in testa. Vaffanculo, Cupido!

Miss Raincoat

Angelika Kauffmann

“Nessuno ha mai indovinato che il mio corpo era intento e teso, nessuno ha mai indovinato il bisogno che provavo di offrire il mio essere, completamente, ad un altro essere”.

“Sharing the News” di Eugenio Von Blaas

Il titolo di quest’opera è quantomeno intraducibile, potrebbe suonare come “Condividendo le novità”, ma se si guarda meglio si capisce a cosa mi riferisco…

1904 – olio su tavola – 110*83 cm

L’Eugenio nasce vicino a Roma nel 1843, in un periodo in cui l’Italia non esisteva ed era ancora cementata con l’Austria. Il cognome forestiero lo si deve a suo padre Karl, pittore tirolese in trasferta nella Capitale, laddove trovò anche moglie. Da questa commistione genetica ne venne fuori un giovanotto barbuto con gli occhi azzurri. Anche lui sceglie l’Italia come casa, in particolare Venezia, dove insegnava all’Accademia di Belle Arti e dove si estinse all’età di ottantotto estati.

A livello artistico, possiamo inserire la sua opera nel fortunato filone dell’Art Pompier, dunque, quell’arte “da bomboniera” di fine Ottocento, che trova il suo maggiore interprete in Bouguereau. Certo, probabilmente il nostro Von Blaas è meno retorico e non si accontenta di vergini, sante o dee svestite. Si potrebbe dire che il nostro amico dipinga scene di genere, il colore dello scorrere della vita nei calli veneziani (Pino Daniele l’aveva cantato descrivendo la sua Napoli), l’anima, la sfera intima e i segreti, sicuramente in maniera prosaica, come andava di moda in quei tempi. Mi piace perché è molto narrativo, ci racconta le favole di donne curiose, talvolta pettegole, sognanti e ingenue e per questo delicate come fiori e proibite, in particolare, come la digitale purpurea.

Inoltre, l’artista era molto credente. Di fatto, suo padre Karl era un pittore di cultura nazarena, per la quale l’Arte era portavoce della purezza religiosa. Eugenio stimava molto le suore e le credeva creature di Dio, al pare del mare e degli uccelli. Questo dipinto, a livello compositivo, mi fa pensare alla versione profana dell’Annunciazione.

Sulla scena molto armonica troviamo due donne vestite in colori complementari e speculari. Un’amica sta leggendo all’altra una lettera d’amore, rivolta spudoratamente verso lo spettatore che si incuriosisce.

L’iconografia di questo dipinto è doppia. C’è quella più semplice che parla delle due facce del matrimonio perfetto, sesso sfrenato e fedeltà esagerata. C’è quella complessa che parla di amor di patria. Eugenio è combattuto tra l’amore per l’Italia (ragazza mora) e l’Austria (ragazza bionda). Le loro stesse cromie di vestizione contrappongono il tricolore alla bandiera austroungarica, anche in chiave di sottomissione – perché è l’Italia a fare da serva e a lavare le mutande all’Austria. Si potrebbe dire che Von Blaas sia un Hayez al contrario (vi ricordate la “Meditazione”?).

Nonostante ciò la figura della lavandaia sembra anche una donna umile intenta a lavare via lo sporco dalla biancheria dei ricchi, è una che si tiene i suoi segreti per sé ma sa benissimo quelli degli altri. Se guardiamo bene, un panno a terra è rosso. Quel sangue è il simbolo di una verginità perduta? La donna con i capelli rossi, invece, è la bugiarda – quindi, la poco di buono.

Dietro a un muro, si sta parlando di segreti. Sul davanzale l’edera sta seccando prima di essere cresciuta rigogliosa. L’innocenza è svanita troppo in fretta in questo vicolo. In un idea molto maschilista, ma del suo tempo, il pittore avrebbe voluto che la donna perfetta incarnasse l’ideale di verginità e disinibizione al contempo.

Nel suo interesse verso le donne straniere mi ricorda molto Paul Gauguin, in questo tema è molto vicino al suo “Come! Sei Gelosa?”: anche in quel dipinto due donne sono divise da un ricordo amoroso…

Qui c’è anche la prova tangibile di una lettera d’amore. Non sappiamo cosa c’è scritto. Non sappiamo chi l’ha scritta.

Volete sapere chi è il mittente? Herr Eugenio Von Blaas.

Lui era sposato con una donna facoltosa veneziana, la contessa Paola Prina e credeva molto nel matrimonio. Però le italiane erano così mediterranee, non importa se more o bionde, lui ci inciampava sempre… La ragazza mora è timida, ha una relazione con lui ma non l’ha raccontato a nessuno. Le sorride umile mentre le lava via il peccato dalle mutandine. La ragazza rossa, sghignazzando della sua svergogna, le legge la lettera d’amore inconsapevole che condividono lo stesso uomo, che però non ama nessuna delle due.

La seconda traduzione per il titolo, forse la più giusta, sarebbe “Condividendo il Nuovo”, ossia lo Straniero. Come descrivere questo individuo dotato di pennello se non intonandogli “Pezzo di Me” di Levante?

“Le Ragazze fanno Grandi Sogni” – E. Bennato

Le ragazze fanno grandi sogni forse peccano di ingenuità ma l’audacia le riscatta sempre non le fa crollare mai / Le ragazze sono come fiori profumati di fragilità ma in amore sono come querce/
E qui dall’altra parte/ E qui dall’altra parte siamo noi incerti ed affannati siamo noi violenti ed impacciati siamo noi che non ne veniamo mai a capo, mai a capo/ Noi sicuri e controllati siamo noi convinti e indaffarati siamo noi che non ne veniamo mai a capo, mai a capo.

Miss Raincoat

Valtella in Love

Belina e Gianni

Siamo a Spriana, in Valmalenco, un paese sospeso sulle profonde forre del torrente Mallero e famoso per il movimento franoso che incombe sulla valle sottostante.

Durante una Primavera che sembrava non dovesse mai avere fine, Gianni si innamorò di Belina e le giurò amore eterno. Il ragazzo, però, era anche un ottimo cavaliere e fu presto chiamato a raggiungere il suo esercito in terre lontane. Ciò nonostante, promise alla fidanzata che al ritorno l’avrebbe sposata.

Lontano e provato dalla solitudine della guerra, però, si dimenticò della promessa, sposò un’altra donna e non ritornò più a casa. Belina apprese la sciagurata notizia dalle malelingue pettegole del paese. Disperata e con il cuore a pezzi, non ci pensò nemmeno un attimo e corse a gettarsi nel torrente Mallero. Era un Autunno particolarmente freddo e nebbioso.

Eppure, un secondo prima di morire invocò la Madonna della Speranza, perché Gianni pagasse pegno, ma non in vita, soltanto una volta morto. La sua anima avrebbe dovuto vagare inquieta e senza pace.

Al centro di Spriana, su un masso erratico, si erge appunto la Chiesetta della Madonna della Speranza. Qui, a novembre, le coppie di innamorati possono assistere a un’apparizione quasi oracolare nello strapiombo del torrente:

  • se non è vero amore – appare Gianni, angosciato, su di un cavallo nero che galoppa furioso;
  • se è vero amore – appare Belina triste e sconsolata che assiste alla scena del cavallo che quasi trascina l’uomo che l’ha buttata via.

Per chi nell’amore non ci crede più, invece, la Madonna della Speranza può anche intercedere per il mal di denti, basta che si fa un giro attorno alla chiesetta.

La leggenda, comunque, narra anche che quando la Madonna riterrà che Gianni abbia saldato il suo debito con l’Amore, allora nella forra cresceranno dei gigli azzurri. Poco male, dato che per Dante, i traditori sono imprigionati in un lago ghiacciato sopra il quale soffia perpetuo un vento gelido (tipo Selvetta, ma più in grande).

Non ti auguro il male

(solo donne fredde e birra calda)

Miss Raincoat

“E a chi ci vuole male una Makumba”

“Bedtime in the Forest” di Esther from the Sticks

Era la mia personale ora della nanna durante la tarda serata tra Ferragosto e il Giorno di S. Rocco, quando mi sono imbattuta in questa fotografia artistica. Per caso, tra un post e l’altro su FB, dopo aver pubblicato anch’io una foto storta che attestava la mia scoperta dell’anguria a pasta gialla. 

Esther “dalla Campagna”, con un nome che mi ricorda Jenny From The Block e il suo didietro assicurato, è una ragazza americana (della Georgia) con un blog che s’introduce in questo modo: “Questo è il mio salotto virtuale. Siediti comodo e gustati il té della casa. Abbiamo gusto limone, camomilla, deteinato, miei progetti, pesca, liquirizia, video, menta, lavori di maglieria e fotografia“. Non mi è stato semplice trovarla, io mi figuravo un nome blasonato in calce a quest’opera, invece è solo una graziosa e brillante studentessa ventenne con i capelli rossi che condivide i suoi esperimenti artistici. Mi sta già moooolto simpatica!

Sul suo blog, Esther racconta che “L’ora di andare a dormire nella Foresta” è un autoscatto del 17 agosto 2010 (il destino me l’ha fatto scoprire 7 simbolici anni dopo!!!) per immortalare il vestito che ha cucito da sola. Nel post parla, infatti, della scuola che sta per iniziare, della sua macchina da cucire (anche lei immortalata nella foresta dormiente) che non collabora, dei prezzi dei tessuti al Wal-Mart… Però, alla fine, ci riesce ad immergere nell’atmosfera della fotografia: <Mi sono divertita un sacco a scattare questa foto! Gli alberi sembravano così carini e magici. Mi sembrava di essere sull’Isola che non C’è… ma questa emozione è subito svanita quando credevo di aver visto un serpente! Aiuto!>. Insomma, una ragazza che gioca con la sua creatività senza accorgersi di essere un’artista!

A me, personalmente, mi ha riportato alla mente le Veela, quelle creature mitologiche delle retrovie di Harry Potter.

Ma sì, le Veela, le bellissime donne selvatiche che controllano le tempeste e vivono nei boschi, però mai in maniera stanziale. Nella mitologia slava e celtica sono donne morte prima del matrimonio perché tradite. Abili seduttrici, di notte cercano gli uomini “con il vizietto” e li costringono a ballare fino allo sfinimento. Insomma, l’equivalente terreno delle Sirene. Oltre ad essere bellissime e rossissime, difatti, possono capire lo stato d’animo di una persona solo sfiorandogli la pelle. Non invecchiano e non si ammalano, anche se non sono davvero eterne: possono essere uccise con una lama forgiata con la loro preziosa chioma fulva.

❤ Miss Raincoat

E mentre le Veela danzavano sempre più in fretta, brandelli di pensieri selvaggi presero a rincorrersi nella mente confusa di Harry. Voleva compiere qualcosa di molto impressionante, e proprio in quel momento. Buttarsi giù dalla tribuna nello stadio sembrava una buona idea… ma era abbastanza buona?Da “Harry Potter e il Calice di Fuoco