Cronache dal Bancone

Le donne non bevono la birra, non sanno cos’è un fuorigioco, amano cucinare e altre leggende che NON troverete su questo blog.

Allora, reduce da un weekend mordi e fuggi più veloce che puoi manco fossi un ladro, voglio parlarvi di due birrifici Made in Sud. Come trovare il Mediterraneo in una birra? (Calcutta lo trovava dentro una radio)

Trimmutura di Palermo

Il nome, tradotto per i polentoni, significa Tre Motori. Era il nomignolo molto elegante per chiamare una nota prostituta palermitana che, appunto, aveva tre motori. Non mi va di spiegare il doppio senso, ma l’avete capito. I nomi di queste birre, comunque, ricalcano quelli della benzina.

Miscela – 4,6 % golden ale (orzo + fiore fico d’india), di cui esiste anche la Senza Piombo, la versione gluten free;

Diesel – 4,8 % stout (fichi secchi);

Super – 6,0 % red strong ale (semi di finocchio selvatico);

Hybrid – 4,8 % gose (capperi di pantelleria).

‘A Magara di Nocera Terinese (Catanzaro)

La magàra, in dialetto catanzarese, è la strega (anche se mia nonna chiamava così sua cognata, ahahah). Alcuni nomi sono presi dal dialetto e cercherò di tradurverli al meglio con l’aiuto del mio genitore maschio calabro.

Trupija (temporale estivo) – 6 % saison (scorze d’arancia) – Saison Saison (versione senza arancia)

Jumara (torrente) – 6,5 % pale ale – Jumara Luppolo Fresco (prodotta una volta all’anno con luppolo a chilometri zero);

Magarìa (stregoneria) – 6,0 % robust porter – di cui esiste anche la versione barricata sei mesi in botti per vino marsala;

Trilla (imbastitura sartoriale)- 5,5 % hefeweizen/weiss;

Solleone (periodo tra luglio e agosto) – 5,2 % cream ale;

Riulì (perdere il controllo dell’imbarcazione) – 6,0 % american amber;

Strina (strenna natalizia) – 9,5 % tripel – di cui esiste anche la versione barricata sei mesi in botti per vino marsala;

Mericana (americana) – 6,7 % IPA;

Mièrula (merlo) – 8,5 % Russian Imperial Stout;

Merendella (è una pesca tipica calabrese) – 5,4 % Ale (+merendelle);

Farrina (di farro) – 8,0 % ale (farro calabrese);

Frambueza (con lamponi) – 6,5 % ale (+ lamponi);

Zarzamora (mora selvatica) – 8,0% IPA (+ more di rovo) – di cui esiste anche la versione barricata sei mesi in botti per vino marsala;

Monellina – 4,2 % mild (sa di Brasilena, un tipico soft drink calabrese, è acqua gassata + caffé zuccherato)

Stiamo parlando di birre di stile ale, ossia ad alta fermentazione. Le summer o golden ale sono molto beverine, l’alternativa ale alle lager; così come le cream ale sono le birre ale “da tutti i giorni” e le mild ale sono molto maltate e leggere. Seguono le pale ale (più chiare perché il malto è essiccato a carbone) con la variante IPA (più fruttate e alcoliche). Le american amber sono più scure delle pale ma meno forti delle strong. Le più forti sono le tripel che hanno anche un gusto più speziato. Le saison sono uno stile birraio molto controverso e sperimentale; in questo caso, il nome lo si deve all’aromatizzazione del malto d’orzo con l’arancia. Le hefeweizen o weiss sono birre ale di frumento, delle bionde torbide; le gose sono weiss con sale. Infine, tra le ale scure per via della tostatura del malto ci sono le stout (più secche), le porter (più cioccolatose) e le russian imperial stout (frutta secca e molto alcoliche).

Miss Raincoat

Cronache da Amantea e Dintorni

*Giorno 3*

Avevo premesso che le origini catanzaresi del mio genitore maschio sono state la motivazione della scelta della nostra location vacanziera. Ma dove, precisamente, è nato il mio papà (la storia di come ha conosciuto mia mamma, valtellinese, la racconterò un’altra volta…)?! Questa è la fatidica domanda che ci introduce anche alla terza tappa della scorribanda. Verso mezzogiorno mia mamma chiama mia zia P. , che ancora abita in questo paese  – di cui tra poco rivelerò il nome segreto – e le dice, con nonchalance, che nel pomeriggio le avremmo fatto visita. Ovviamente, lei non sapeva nemmeno che ci trovavamo nei paraggi, quindi, oltre l’effetto sorpresa, tra poco ci lasciava anche le penne!

Il paese della mia famiglia paterna si chiama Cortale (CZ) e dista da Amantea (CS) 55 km (un’oretta scarsa in auto, in gran parte autostrada). Io non ci tornavo da 7 anni e l’ultima volta nonna era ancora viva, era vivo anche M. anche se io non lo conoscevo ancora – e non conoscevo ancora un altro mucchietto di persone – , non ero ancora una guida, mia cugina L. non si era ancora trasferita a Zurigo, mia cugina E. non era ancora mamma, lo zio A. mangiava come un Lupo della Sila… L’unica ad essere rimasta sempre positivamente uguale è la zia P.

La particolarità di questo Comune situato nelle colline lametine è la sua posizione al centro del punto più stretto della Calabria, su una striscia di terra di 30 km tra mar Tirreno e mar Ionio. Dal punto di vista produttivo sono da encomiare la graffiola (dolce tradizionale indescrivibile a parole, vedi link sotto), i fagioli in corso di denominazione protetta e l’artigianato della seta. Nell’area di campagna che delimita Cortale è sorto il primo Parco Eolico della Regione (e non commento né in positivo né in negativo).

Le origini del borgo sono antichissime, pare che si accerchiasse attorno ad un monastero già nel Mille. Inizialmente, si sviluppava nella parte chiamata Cortale Inferiore, come testimoniano i Cinque Canali cinquecenteschi, i ruderi della Chiesa di Sant’Anna dell’inizio del Seicento e la coeva Chiesa di San Giovanni Battista (custode della Santa Croce, mistico e particolare masso trovato in un campo – in più, S. Giovanni è patrono del paese). Nel 1783, Cortale fu colpito da una violenta scossa di terremoto (morirono un centinaio di persone) e fu ricostruito nella parte più alta.

L’opera d’arte più significativa che si può trovare a Cortale è la Chiesa Matrice, ottocentesca, con una serie di affreschi e stucchi dell’artista cortalese Andrea Cefaly (che avevo sottovalutato da piccola, in effetti, cfr. link sotto). Eppure, il mio luogo del cuore è Piazza Italia. Nel 1930, appena dopo la Guerra, fu costruito questa “buca” con la scenografica scalinata che immette alla Chiesa di Santa Maria Maggiore, al centro della quale si può ammirare l’unica testimonianza scultorea di Andrea Cefaly: è una trionfale impersonificazione dell’Italia Unita (databile ca. 1860) in terracotta, reggente una corona fiorita, che dà il nome a questo quartiere (Donnafiori), dove abitava anche mia nonna (in una casa che aveva il terrazzino sul tetto).

La mia permanenza a Cortale, questa volta, è stata un mordi-e-fuggi. Il solito giro di parenti vivi e morti (ah, al Cimitero stavo per finire per direttissima in una delle barocchissime tombe di famiglia per via di una specie di prèfica vestita di nero che mi camminava alle calcagna con passo felpato) e, infine, l’obbligata tappa mangereccia alla “Fossa del Lupo”, un Ristorante-Pizzeria tra i boschi sopra Cortale dove c’è il Wi-Fi, ma la rete telefonica non funziona e dove siamo passati da 36 a 18 gradi (io, ovviamente, ero vestita pochissimo). A parte gli scherzi, si è cenato bene: io ho mangiato la pizza indicata come il top della Casa (era una margherita con salame piccante e porcini), bevuto un Cirò ottimo e finito il pasto con un Tartufo di Pizzo bianco irrorato con  Elisir San Marzano. Abbiamo brindato alle sorprese positive (ché di negative abbiamo già finito l’album) e ai Rondinelli (ché sia zio sia zia portano lo stesso cognome, anche qui altra storia…). 

Per chi se lo chiedesse, la zia dovrebbe essersi ripresa dal colpo basso che le abbiamo tirato!!!

❤ Miss Raincoat

La Graffiola di Cortale

Andrea Cefaly