“Sharing the News” di Eugenio Von Blaas

Il titolo di quest’opera è quantomeno intraducibile, potrebbe suonare come “Condividendo le novità”, ma se si guarda meglio si capisce a cosa mi riferisco…

1904 – olio su tavola – 110*83 cm

L’Eugenio nasce vicino a Roma nel 1843, in un periodo in cui l’Italia non esisteva ed era ancora cementata con l’Austria. Il cognome forestiero lo si deve a suo padre Karl, pittore tirolese in trasferta nella Capitale, laddove trovò anche moglie. Da questa commistione genetica ne venne fuori un giovanotto barbuto con gli occhi azzurri. Anche lui sceglie l’Italia come casa, in particolare Venezia, dove insegnava all’Accademia di Belle Arti e dove si estinse all’età di ottantotto estati.

A livello artistico, possiamo inserire la sua opera nel fortunato filone dell’Art Pompier, dunque, quell’arte “da bomboniera” di fine Ottocento, che trova il suo maggiore interprete in Bouguereau. Certo, probabilmente il nostro Von Blaas è meno retorico e non si accontenta di vergini, sante o dee svestite. Si potrebbe dire che il nostro amico dipinga scene di genere, il colore dello scorrere della vita nei calli veneziani (Pino Daniele l’aveva cantato descrivendo la sua Napoli), l’anima, la sfera intima e i segreti, sicuramente in maniera prosaica, come andava di moda in quei tempi. Mi piace perché è molto narrativo, ci racconta le favole di donne curiose, talvolta pettegole, sognanti e ingenue e per questo delicate come fiori e proibite, in particolare, come la digitale purpurea.

Inoltre, l’artista era molto credente. Di fatto, suo padre Karl era un pittore di cultura nazarena, per la quale l’Arte era portavoce della purezza religiosa. Eugenio stimava molto le suore e le credeva creature di Dio, al pare del mare e degli uccelli. Questo dipinto, a livello compositivo, mi fa pensare alla versione profana dell’Annunciazione.

Sulla scena molto armonica troviamo due donne vestite in colori complementari e speculari. Un’amica sta leggendo all’altra una lettera d’amore, rivolta spudoratamente verso lo spettatore che si incuriosisce.

L’iconografia di questo dipinto è doppia. C’è quella più semplice che parla delle due facce del matrimonio perfetto, sesso sfrenato e fedeltà esagerata. C’è quella complessa che parla di amor di patria. Eugenio è combattuto tra l’amore per l’Italia (ragazza mora) e l’Austria (ragazza bionda). Le loro stesse cromie di vestizione contrappongono il tricolore alla bandiera austroungarica, anche in chiave di sottomissione – perché è l’Italia a fare da serva e a lavare le mutande all’Austria. Si potrebbe dire che Von Blaas sia un Hayez al contrario (vi ricordate la “Meditazione”?).

Nonostante ciò la figura della lavandaia sembra anche una donna umile intenta a lavare via lo sporco dalla biancheria dei ricchi, è una che si tiene i suoi segreti per sé ma sa benissimo quelli degli altri. Se guardiamo bene, un panno a terra è rosso. Quel sangue è il simbolo di una verginità perduta? La donna con i capelli rossi, invece, è la bugiarda – quindi, la poco di buono.

Dietro a un muro, si sta parlando di segreti. Sul davanzale l’edera sta seccando prima di essere cresciuta rigogliosa. L’innocenza è svanita troppo in fretta in questo vicolo. In un idea molto maschilista, ma del suo tempo, il pittore avrebbe voluto che la donna perfetta incarnasse l’ideale di verginità e disinibizione al contempo.

Nel suo interesse verso le donne straniere mi ricorda molto Paul Gauguin, in questo tema è molto vicino al suo “Come! Sei Gelosa?”: anche in quel dipinto due donne sono divise da un ricordo amoroso…

Qui c’è anche la prova tangibile di una lettera d’amore. Non sappiamo cosa c’è scritto. Non sappiamo chi l’ha scritta.

Volete sapere chi è il mittente? Herr Eugenio Von Blaas.

Lui era sposato con una donna facoltosa veneziana, la contessa Paola Prina e credeva molto nel matrimonio. Però le italiane erano così mediterranee, non importa se more o bionde, lui ci inciampava sempre… La ragazza mora è timida, ha una relazione con lui ma non l’ha raccontato a nessuno. Le sorride umile mentre le lava via il peccato dalle mutandine. La ragazza rossa, sghignazzando della sua svergogna, le legge la lettera d’amore inconsapevole che condividono lo stesso uomo, che però non ama nessuna delle due.

La seconda traduzione per il titolo, forse la più giusta, sarebbe “Condividendo il Nuovo”, ossia lo Straniero. Come descrivere questo individuo dotato di pennello se non intonandogli “Pezzo di Me” di Levante?

“Le Ragazze fanno Grandi Sogni” – E. Bennato

Le ragazze fanno grandi sogni forse peccano di ingenuità ma l’audacia le riscatta sempre non le fa crollare mai / Le ragazze sono come fiori profumati di fragilità ma in amore sono come querce/
E qui dall’altra parte/ E qui dall’altra parte siamo noi incerti ed affannati siamo noi violenti ed impacciati siamo noi che non ne veniamo mai a capo, mai a capo/ Noi sicuri e controllati siamo noi convinti e indaffarati siamo noi che non ne veniamo mai a capo, mai a capo.

Miss Raincoat

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“L’Aurora” di William Adolphe Bouguereau

William Adolphe Bouguereau dipinge questo olio su tela dopo avere attraversato terribili anni di lutto (ben descritti in “Il Primo Lutto” del 1893). Nel 1877 aveva, infatti, perso moglie e figli e nel 1881 si apprestava a dipingere quest’opera, in cui prevalgono la sua tecnica talmente fine da sembrare una fotografia e le sue inconfondibili pennellate talmente lisce da sembrare di marmo.

“Aurora”

Negli stessi anni, il modo di intendere la pittura, il colore, l’idea di natura e di bellezza stavano cambiando. Gli Impressionisti e l’Avanguardia stava prendendo sempre più parte alla scena dei Salon espositivi. Eppure, lui, imperterrito, rimaneva fermo nella sua tecnica accademica. Tanti lo accusarono di essere vecchio e poco originale. Lui faceva spallucce, si complimentava con gli altri colleghi e rimaneva sicuro che il suo modo di vedere era solo suo, sapeva che era soltanto una questione di punti di vista. Non smise mai di dipingere incessantemente.

Eos/Aurora, vestita solo di luce, costituiva un escamotage per dipingere il nudo senza risentire della censura. Il nudo, in quegli anni in cui la Borghesia era il ceto che poteva pagare le opere d’arte, andava di gran moda. Ai Borghesi interessava la più sudicia componente erotica del nudo, è vero – ma non volevano risultare immorali. In effetti, la nostra protagonista incarna l’ideale di bellezza di quell’epoca: impalpabili fanciulle vergini con il seno abbastanza piccolo, pelle diafana e completamente glabra. Questa era un’arte per soli uomini. Uomini alla ricerca dell’innocenza perduta, della donna vergine pronta solo per loro (anche Oscar Wilde canzonava i maschi per il loro sciocco desiderio di essere i primi e non gli ultimi) . Uomini che volevano dei nudi con le gambe accavallate, perché guai a pronunciare ad alta voce il nome del frutto del peccato! Uomini che si scandalizzavano davanti all’Olympia di Manet, perché era esplicitamente una prostituta, ma che sbavavano davanti alle dee di Bouguereau.

Perché, infondo, è vero che Bouguereau si piega ai giochetti del marketing artistico, però lo fa suo. Sarebbero stati dei nudi indecenti se lui non li avesse sublimati. Le sue dee svestite sono monumentali. Lui, a suo modo, porta grande riverenza al corpo femminile. Lo spoglia con grazia. Lo mostra seducente, fecondo e, soprattutto, inneggia la donna nella sua inconsapevole bellezza. Tu pensi di piacermi perché sei negli standard e io invece ti sto guardando altro… La delicatezza sinuosa dei corpi di questo artista non è mai volgare o sfrontata, in effetti. Non vuole scandalo, semplicemente dire la parola “vagina” senza essere guardato come un depravato. Vuole dire che la vagina esiste ed è una cosa che può piacere (assai).

L’innocenza, che cosa scema da cercare! Chissà quante volte l’avrà pensato bevendo una birra con i suoi committenti. L’avrà pensato anche nel 1893, mentre dipingeva “L’Innocenza“. Lui l’aveva persa con la cacciata dal Paradiso, quando gli era stata tolta la facoltà di essere marito e padre. Lui l’aveva persa con la disperazione, con l’incapacità di reagire davanti al dolore. In questo quadro, una Madonna vestita di bianco stringe al cuore un neonato che dovrà sacrificare. La schiavitù ha più a che vedere con una morsa al cuore che con le catene ai piedi. Liberi. Ma da cosa?

“Il Primo Lutto”
“L’Innocenza”

Eos, la dea dell’Aurora. Chiese a Zeus che suo marito non morisse mai, ma si dimenticò di chiedere per lui la giovinezza. Lei, giovane ed eterna, fece il grande errore di passare una notte bollente con l’aitante Ares, già amante della volubile Afrodite e da lei fu condannata ad avere una tale insaziabile sete di passione che ogni giorno doveva innamorarsi di uno sporco mortale diverso. Proprio lei, che ogni mattina scioglieva il nastro candido che chiudeva la porta che separava il buio dalla luce. Ogni mattina piangeva lacrime di rugiada sulla Terra, perché lei, per quanto conoscesse le gioie dell’Olimpo, era una schiava.

❤ Miss Raincoat