Orterie @ Stazzona / Villa di Tirano
Avevo già sentito parlare di questo posticino, però non l’avevo mai visitato in quanto – ahimé – sono un’amante ignorante della grigliata mista. Orterie è un posto dove sperimentare qualcosa di diverso. Si definisce una trattoria in quanto i proprietari hanno voluto fondere la cultura culinaria giapponese alla conoscenza vitivinicola locale, creando un ristorante vegano d’eccellenza dove i piatti proposti non solo inneggiano i sapori valtellinesi, ma li vanno anche a cercare nell’orto appena fuori al locale. Rye, del resto, è il nome della cheffa che ha saputo tradurre il suo estro e la sua esperienza in un locale che non ha eguali in tutta la valle e non è, nella definizione tipica, una trattoria. Io ringrazio Franco Bavo dell’Istituto Saraceno – Romegialli per il pranzo in catering presso il chiostro sud del Sant’Antonio di Morbegno, siccome mi ha permesso di scoprire questo luogo da pagana: mi sono ricreduta, anche noi onnivori possiamo saziarci e viziarci con le verdure.
I menù di Orterie, appunto, sono stagionali. Io ho avuto modo di assaggiare la Primavera con una vellutata di piselli, una bento box (tradotta per noi lombardi è la schiscèta, il pranzo portato da casa nel tupperware) in stile “gozen” (in giapponese è il cibo del re e, in pratica, sono dei piccoli assaggi serviti su un vassoio – qui c’erano, per esempio, il riso con la salsa cocktail, degli spaghetti di fave, le rape, insalata di grano saraceno (tipico della Valtellina) uovo sodo, i tàroz (*) ) e uno strudel alle ciliegie. Al ristorante questo menù è detto “dònguri” (ghianda), simbolo di ospitalità.
(*) tàroz (plurale, si dice “i taròz”) = piatto tipico valtellinese, forse il più “leggero”. Un puré di patate con fagiolini (i cosiddetti cornetti) conditi con burro fuso e formaggio Casera.
Per quanto riguarda la carta dei vini, la Casa consiglia: Champagne, Ribolla, Metodo Ancestrale, Riesling o un classico Rosso di Valtellina. Trovo molto interessante, se dovessi dire la mia, il Metodo Ancestrale (loro servono uno Zero Infinito P&S). Per farla breve, è una via di mezzo tra un metodo charmat (fermentazione in autoclave) e un metodo classico (fermentazione in bottiglia); insomma, si pigiano leggermente le uve in modo da fare uscire i lieviti e poi si fa fermentare il vino in acciaio inox. Nel caso di questa specifica bottiglia, il risultato è un prodotto frizzante ma non troppo, con un sapore molto rotondo e fruttato, io sento le mele Golden del suo Trentino di origine. In Borgogna lo chiamavano “guinguet” nel Cinquecento, un vino che faceva fare follie.
❤ Miss Raincoat