[Come molti di voi già sanno, ho dato al mondo la Ricerca sulla Gisèta di Via Margna. Davvero, non pensavo che così tante persone, non solo morbegnesi, fossero tanto affezionate a un posticino così poco conosciuto e così tanto piccolo. Grazie mille ancora per tutti i complimenti post-presentazione, non solo sulla ricerca stessa (che in effetti ha dissepolto una storiella mooolto interessante e intrigante), ma anche sul mio modo di pormi come guida. Non sapete quanto possa fare piacere sapere di aver preso la strada giusta, specie per chi fa un mestiere come il mio!!! Per quanto riguarda la ricerca vera e propria la potete già consultare presso la Biblioteca di Morbegno. Quelli che vorranno leggere o conservare (o utilizzare per i tavoli traballanti), il libro-guida dovranno aspettare qualche mese (ma sicuramente prima della fine dell’anno, mi hanno fatto sapere…). Da quanto ne so, sarà un volume della serie “Conosci Morbegno”.Nel frattempo, per i curiosi, ne pubblicherò un brevissssssimo riassunto di quattro episodi qui sul mio blog]
“La Gisèta dei Pasquini”
La Gisèta nasce nel Seicento:un secolo non solo triste e tormentato, ma anche pieno di contraddizioni. Esso si apre funesto nel 1600 con una scossa di terremoto e la superstizione sfocia nel cosiddetto Processo dei Bruchi (infestavano Morbegno – esiliati sui monti di Talamona). Nel 1620 la Valtellina entra a far parte della Storia: la ritroviamo sui libri di scuola per il cosiddetto Sacro Macello. I governatori delle Tre Leghe Grigie avevano inasprito non solo le tasse, ma anche il divario tra Riformati e Cattolici, in modo da distaccare la Valle dall’area “italiana”, così, fomentati dal Duca di Feria (governatore spagnolo cattolico di Milano) nel corso di una notte i Cattolici valtellinesi trucidano centinaia di valtellinesi Riformati (tanti erano passati dall’altra sponda per motivi di lavoro o di matrimonio) in un qualcosa a metà tra la guerra civile e l’attentato terroristico. Il Sacro Macello si inserisce nella Guerra dei Trent’Anni, durante la quale la “Spagna” (+Cattolici) e la “Francia” (+Riformati) si litigano l’egemonia sull’Europa con la scusa della religione: sappiamo, infatti, che dopo essere stata sconfitta dalla Francia, la Spagna restituisce la Valle ai Grigioni: a niente era valsa la guerra, solo a portare peste (terribile nel 1630) e carestia.
C’è da dire che alcuni si arricchirono durante la guerra. Le truppe andavano rifocillate (a spese dei Comuni) e i mercanti potevano fare la cresta. Al fine della nostra narrazione è bene sapere che tra Fusine e Colorina la truppa francese, oltre a “insegnare le buone maniere alle fanciulle” (Manzoni) consumava, a spese del decano di Fusine che si riforniva a Berbenno (per 700 soldati e 30 cavalli) – in una giornata: 1 vacca per la truppa, 1 castrato di pecora per gli ufficiali, 1 litro di vino a persona, 150 grammi di sale, se possibile anche pane, formaggio, burro e castagne.
Quando, nel 1639, tornarono i Grigioni in Valle, Morbegno fu più lungimirante rispetto agli altri Valtellinesi e cominciò una pacifica e rassegnata convivenza con gli svizzeri. Infatti, la ripresa della seconda metà del Seicento di Morbegno è notabile. Coloro che si erano arricchiti durante la guerra comprano terreni a prezzi stracciati, coloro che erano rimasti cattolici (e non si erano convertiti anche solo per convenienza) ornano chiese e costruiscono cappelle, i nobili si sporcano le mani con i mestieri dei borghesi come mercanti e notai (insomma, quei lavori che lucravano su chi non sapeva leggere o fare i conti). Insomma, la Morbegno della metà del Seicento, quando nasce la Gisèta, è una Morbegno nuova e vivace, seppure memore di un periodo orribile.
La mia ricerca è partita dall’iscrizione sia esterna sia in controfacciata che ci dà due informazioni: quando – 1665 e chi – Pasquini. La Confraternita dei Luigini, sita dall’Ottocento in questa chiesina, si è tramandata che i Pasquini erano una famiglia ricca che non ebbe eredi (li ebbe, ma non consoni) e che lasciò la chiesa a un prete che celebrò quì la sua prima messa (è la messa di consacrazione). Inoltre, senza fondamenta, per decenni si è creduto che i Pasquini fossero della famiglia Pasqualini di Aicurzio, imparentata con i Malacrida di Caspano.
I Pasquin sono, invece, un ramo della famiglia Mezzera. Questa famiglia borghese è originaria di Bellano/Dervio, dove si era arricchita con il commercio di pane e con il possedimento di forni (prestiné) e che si sposta, a inizio Seicento, anche a Morbegno e a Chiavenna. Il primo ad arrivare a Morbegno fu Carlo Mezzera detto di Bellano, che si sposa con una nobile degli Schenardi di Morbegno. Tramite l’incrocio di documenti notarili (in quegli anni i registri sono frammentari, sono secoli difficili) ho desunto la sua prole maschile sana (le femmine non sono quasi mai citate).
Carlo Mezzera era un giudice, lo ritroviamo spesso protagonista nelle carte dei processi di faide di famiglie spaccate in due per motivi di religione.
- Il primogenito, nonché possessore della bottega di pane aMorbegno, è Nicolò Mezzera, morto di peste e senza eredi consoni nel 1639 (lo troviamo negli ex voto della Madonna delle Grazie a Sacco; la famiglia di sua madre era molto legata a questa Madonna molto venerata durante il periodo della Peste Manzoniana);
- La bottega passa a Giovanni Pietro Mezzera detto il Pasquino. Lui sposa una nobile degli Acquistapace di Morbegno (la madre e la suocera erano due sorelle Schenardi) che muore di parto nel 1632, partorendo Giovanna, unica erede e malata di epilessia;
- Don Giovanni Antonio Mezzera organista e sacerdote alla Collegiata di Sondrio;
- Giacomo Mezzera detto il Pasquino di Dusone (Berbenno) fornitore delle truppe di Fusine e sposato con una Bassi, della famosa famiglia di notai;
- L’ultimogenito Battista Mezzera (ha più o meno l’età di Giovanna) diventa notaio, sposa una Vicedomini dei notai di Traona e lì vi risiederà.
Quindi, i Mezzera erano borghesi che si erano allacciati con la nobiltà locale. Inoltre, i mestieri sia di notaio sia di prestiné garantivano di essere ricchi quanto i nobili. L’appellativo Pasquin deriva dall’agnello pasquale (lo troviamo anche nel sottarco del presbiterio, non si sa se è per questo!), simbolo della Corporazione dei Fornai e Panettieri. Sul portale della chiesa, comunque, lo stemma che spicca è quello Acquistapace della moglie nobile e più ricca (con i gigli, la spada e, ovviamente, la corona). La particolarità della facciata, eppure, rimane nelle statue sulla sommità (non sono ne angeli ne simmetriche): sono Giovanna bambina orfana e Giovanna adulta vestita da monaca (porta le spighe – il “denaro” dei Mezzera Pasquin).
La casa di Gio. Pietro era in Via Margna, al limitare del Pozzo Modrone, dove c’erano le botteghe artigiane, tra le quali la sua di famiglia. Il padre Carlo risiedeva nella zona di San Pietro; gli Schenardi in Via San Marco e gli Acquistapace in Via Cotta. Il legame famigliare tra Schenardi e Acquistapace lo ritroviamo nella pala d’altare degli Angeli Custodi in Via San Marco, culto radicato nella famiglia Acquistapace discendente da Gerola (nell’angolo in baso a sinistra c’è lo stesso stemma che troviamo sul portale). Inoltre, la moglie di Gio. Pietro lascia in dote le due statuine che rappresentano S. Michele Arcangelo e Angelo Custode (mensoline ai lati), che un tempo erano festeggiati ambo i due il 29 settembre; lascia anche la miracolosa statuina della Madonna messa a in teca d’altare. Gli Acquistapace erano importanti membri della Confraternita di S. Maria delle Grazie di Sacco, la cui statua trafugata nel 1927 fu importante nell’ex voto durante la peste del 1630. La statuina quattrocentesca della Gisèta è creduta gemella (ossia ricavata dallo stesso tronco) di quella di Sacco e presenta forti analogie anche con quella omonima di Gerola Alta.
Concludiamo la sezione storica antica con la protagonista della Gisèta: Giovanna Mezzera fu Gio. Pietro Mezzera detto il Pasquino. Nel 1664 apre a Morbegno il Monastero della Presentazione, Giovanna ha già 32 anni e suo padre scrive il suo testamento. Non si era risposato perché non voleva perdere l’eredità e lo status sociale della moglie. Con il testamento, lascia i suoi terreni a Morbegno, la bottega e la casa a Giovanna nominando come tutore il fratello, il notaio Battista; l’eredità della moglie (terreni a Regoledo – in loc. S.Maria e sotto Sacco – e corredo nuziale tra cui le statuine già citate) diventa un beneficio legato all’altare di una chiesa che fa costruire per ricordare la moglie e la sciagurata figlia: questo beneficio fu assegnato alla famiglia della moglie, gli Schenardi. Giovanna viene costretta nel Monastero perché nessuno la voleva con sé: oltre ad avere l’epilessia (ai tempi curata con vischio, fegato di avvoltoio, sangue e ossa umani) aveva anche la mano destra paralizzata. Di fatto, Giovanna era una mentecatta con una malattia da peccatrice (anche se la sua famiglia faceva parte della Confraternita del Santissimo Sacramento di Morbegno), perciò non poteva diventare una suora e alla sua famiglia andava benissimo che lei rimanesse in Convento nascosta a pregare, in cambio delle cure delle suore. Il rappresentante giuridico del Monastero, inoltre, era il notaio Francesco Schenardi (suo padre era fratello delle nonne di Giovanna), l’avido notaio che si ripulisce tasche e coscienza ristrutturando l’Angelo Custode. In più, la cospicua donazione che Battista fa al Monastero chiude il capitolo: Giovanna muore chiusa in convento nel 1698. Oltre a pagare la retta di ammissione come tutte le suore,infatti, lo zio notaio dona dei terreni per avere uno sconto sulla retta (10 terreni a Morbegno appartenuti a Gio. Pietro). Ovviamente, questi soldi vengono pagati con l’eredità di papà Gio. Pietro in mano a Giovanna, ma gestita dallo zio.
Possiamo, quindi, definire la Gisèta, più che una cappella privata, il finto mausoleo voluto da un papà borghese in punto di morte.
[continua…]
❤ Miss Raincoat