La Pecora Ciuta

Il Milanese Imbruttito penserà che gli abitanti della Valtella siano tutti villici dediti alla pastorizia. Ora, è pur vero che tutto ciò che so sull’agricoltura non me l’hanno insegnato solo i libri ma soprattutto mio nonno materno. Eppure, proprio lui, tra tutto lo zoo di centocinque che ha accudito, le pecore non le ha mai avute. E da lassù sicuramente starà ridendo perché a trentun’anni suonati ne ho ancora paura, di loro, gli animali più infinocchiabili per antonomasia. Il motivo primigenio all’origine della fobia è chiaramente la canzoncina che fa”La Pecora nel Bosco /Bum/ Michele l’ha ucciso”.

Comunque, per deliziare i timpani dei lombardi cittadini (ormai anche i miei post seguono i DPCM e non escono dalla Regione) oggi vi parlerò di una pecora che esiste solo in Valtellina, che a differenza del Molise non è un territorio fantastico.

Questa pecora si chiama Ciuta. Il mio genitore 2 (il babbo diversamente settentrionale) chiese “ma ciuta è come ciota?”. Per chi non lo sapesse “cioto” in Calabria è sinonimo di “fessacchiotto”. Nel nostro caso, essendo vicini alla Svizzera che parla il Romancio, l’etimo significa però “piccola pecora”. Sinceramente, prima di leggerlo sui giornali specializzati io avevo pensato – magari anche erroneamente – che “ciuuuut” fosse il richiamo con il quale i pastori alla foggia del nonno di Heidi chiamassero a sé le pecore meno gregarie. Del resto “ciuta” mi suona simile a due parole tedesche che sono “Schutz” (“tesoro mio”) e “Tschuss” (“ciao”). Ah, no?

Al di là di questi ragionamenti linguistici, la pecora ciuta, originaria della Provincia di Sondrio (probabilmente dell’area della Valmasino) stava per estinguersi come i panda, se non ne avessero trovati degli ultimi esemplari su quel ramo del lago di Como che fa subito confine con la Valchiavenna (nel 2001, precisamente). Uno dei motivi della dipartita è che una mamma pecora, mediamente, riesce a mettere al mondo solo tre bebé ogni due anni e il tasso di nascita gemellare è molto basso.

Da definizione è appunto una pecora più piccola di quelle comuni, direi anche più tozza specie per quanto riguarda il muso e cicciotta in zona addominale (“ho il pelo rotondo” direbbe citando Manny, ma è una bugia grossa, dato che dal suo vello si ricava solo un misero chilo di lana scadente all’anno in quanto grossolana; il colore può essere chiaro o anche nero). Parlando in numeri, l’altezza massima arriva fino ai 50 cm e il peso a 40 kg e tra maschio e femmina non c’è chissà quale differenza dimensionale, eccetto che il maschio ha sempre le corna (ricurve) e la femmina può averle piccole, tipo quelle della capra, o assenti.

(Precisiamo anche che la Marzotto Tessuti di Sondrio, dove il babbo ha lavorato fino alla pensione, sta cercando di creare un mercato di élite con questa lana autoctona, anche piuttosto difficile da lavorare con macchinari di ultima generazione)

Con questa pecora portatile non si produce latte, destinato agli agnelli, i quali vengono macellati appunto perché questa razza è utilizzata per la produzione di carne.

Il carattere della Ciuta è diffidente, sospettoso e schivo. Ama gli ambienti difficili di montagna (dagli 800 ai 2700 mt.) e sa come procurarsi cibo anche nelle zone più scoscese; solo in inverno, infatti, la sua dieta è integrata con il fieno. A causa di queste caratteristiche, è apprezzata dagli appassionati di sheep dog (che sarebbe lo sport dei cani pastori, mentre non girano film polizieschi).

Attualmente, non esiste un’anagrafe nazionale che chiama per nome gli esemplari conosciuti e ci si sta muovendo soltanto a livello provinciale, grazie anche all’impulso di volenterosi allevatori locali. Si è provato anche a incrociare la Ciuta con la Bergamasca, ma non c’è stato troppo feeling (troppo docile, troppo grande, troppo affettuosa, troppo straniera… chissà!). Oggi si sta tentando di allevarla in purezza e, sebbene non ancora in sicurezza, la razza è in crescita numerica. La Regione Lombardia, di fatto, l’ha inserita nell’elenco delle razze in pericolo di estinzione e ha previsto un contributo per chi si impegna con sei Ciute per cinque anni.

In un’altra vita sicuramente sono stata una pecora ciuta, l’unica che non mi fa paura. WE ❤ PECORA CIUTA

❤ Miss Raincoat

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Cronache dal Bancone

Vini Bianchi di Valtellina

Siamo abituati a conoscere la Valtellina per il suo vino Valtellina Superiore DOCG, un rosso fermo, realizzato con minimo 90% di uve Nebbiolo (che locamente viene chiamato Chiavennasca, ossia “più vinoso”) e con minimo 12% VOL. Questo vino, che invecchia 24 mesi in botti di rovere (o 36 in caso di Riserva), nasce tra Buglio in Monte e Tirano, acquisendo anche il nome delle sottozone (Maroggia, Sassella, Grumello, Valgella e Inferno). Inoltre, i più informati, sanno che in Valle si produce anche lo Sforzato DOCG, un passito rosso secco con 14% VOL, lasciato 3 mesi sui graticci e invecchiato in botte per altri 20 mesi. Eppure, tutta la costiera delle Alpi Retiche della Provincia di Sondrio è foderata dalla monumentale ed eroica presenza dei muretti a secco che terrazzano gli impervi ma soleggiati speroni rocciosi dove cresce la vite da secoli. Il terreno, in prevalenza sabbioso o ciottoloso (roccia granitica sfaldata), in alcune zone anche povero di calcare, ripaga con una vendemmia che si può verificare da metà settembre a metà ottobre. Quindi, tutti i vitigni idonei del territorio sondriese possono essere inseriti nel marchio Alpi Retiche IGT (un tempo era Terrazze Retiche), che abbraccia varie tipologie di vino – tra i quali i famosi bianchi da nero.

Oggi andremo a conoscere quattro vini bianchi che ho conosciuto nel percorso Vini a Palazzo durante la manifestazione Degusta Morbegno.

ROSE’ CASA VINICOLA BETTINI (San Giacomo di Teglio)

è uno spumante (perlage: continuo e minuto; spuma: fine e abbondante) brut (secco), rosé (colore: rosa pallido) e metodo classico o champenoise (rifermenta in bottiglia tramite dei lieviti detti liqueur de tirage). Il profumo è intenso; il sapore è vivace, fragrante e leggermente aspro. L’abbinamento consigliato è l’aperitivo, un brindisi oppure un antipasto di pesce/crostacei. Qui abbinato con caprino con timo, olio e pepe.

12% VOL. – servito a 8/10°C – costo medio di una standard 13,00 €

  • uve – 100% Chiavennasca (Nebbiolo)

VILLA QUADRIO CASA VINICOLA BALGERA (Chiuro)

è uno spumante (perlage: persistente e minuto; spuma: fine e abbondante), brut (secco), bianco (colore: giallo paglierino tenue) e metodo charmat (rifermenta un un grande recipiente chiuso, detto autoclave per 9 mesi). Il profumo è intenso e fruttato; il sapore, molto fine, ha una buona struttura sebbene molto fresco. L’abbinamento consigliato è l’aperitivo o pesce in generale. Qui abbinato con lardo nostrano e miele di castagno.

12% VOL. – servito a 6/8°C – costo medio di una standard 20,00 €

  • uve – 70% Chiavennasca (Nebbiolo); 30% Chardonnay

OPERA CASA VINICOLA MAMETE PREVOSTINI (Mese) *l’etichetta ospita ogni anno un artista valtellinese, il 2019 è la volta di Elena Pontiggia

è un vino bianco (colore: giallo paglierino brillante) fermo. Vinifica fermentando in acciaio inox e affinandosi 5 mesi in fusti di rovere. Il profumo è fresco ed equilibrato; il sapore ha note di frutta matura come mela ed albicocca. L’abbinamento consigliato è l’aperitivo, secondi di carne o pesce e formaggi poco stagionati. Qui abbinato con Crotto stagionato e marmellata di mirtilli. * Il Crotto è un formaggio vaccino semiduro con gusto deciso, il quale matura nei tipici crotti della Valchiavenna (grotte con ventilazione costante).

13% VOL. – servito a 8/10°C – costo medio di una standard 18,00 €

  • uve – 30% Chardonnay, 10% Sauvignon, 5% Pinot Bianco; 5% Incrocio Manzoni (Riesling + Pinot Bianco) nella zona di Postalesio

CA’ BRIONE CASA VINICOLA NINO NEGRI (Chiuro)

è un vino bianco (colore: giallo paglierino) fermo. Vinifica con un leggero appassimento di 15 giorni, fermentando e affinandosi in piccole botti di rovere. Il profumo è floreale e tende al sambuco; il sapore ha note di frutta come pesca, pera e melone. L’abbinamento consigliato è un primo di terra in bianco, un secondo di pesce/crostacei o un formaggio fresco. Qui abbinato con un Casera 300 giorni e la Bisciola. * Il Casera è un formaggio vaccino realizzato con latte parzialmente scremato e con un sapore più dolce del Bitto, tendente alla frutta secca; la Bisciola è un pane nero con frutta secca e uvetta, un dolce poco dolce.

13% VOL. – servito a 10/12°C – costo medio di una standard 27,00 €

  • uve: 45% Sauvignon; 30% Chardonnay; 15% Incrocio Manzoni (Riesling + Pinot Bianco); 10% Chiavennasca (Nebbiolo) nella zona di Chiuro, Teglio e Tresivio

La mia classifica: 1. Opera – 2. Villa Quadrio – 3. Cà Brione – 4. Spumante Rosé Bettini

Miss Raincoat

“Non esiste un vino buono, esiste solo un vino che ti piace”

Un ringraziamento speciale per gli insegnamenti di mangia&bevi (bene) ai sommeliers Alessandro ed Elia dell’AIS di Sondrio 🙂