“Le Lacrime di Freya” di Anne Marie Zilberman

Anne Marie è una bionda incazzosa (forse bisognerebbe depositare questo marchio e farci del grano :D). Di professione grafica pubblicitaria (tra cui per la maison Kenzo), è un’affermatissima e iconica interprete dell’Arte Contemporanea. A cosa deve la sua fortuna? A un’attribuzione falsa – qualcuno si svegliò un giorno e sentenziò che la sua Freya fosse di Klimt, dimenticandosi che mater semper certa est pater nunquam. Cosa mi piace di lei? Non ha colto l’occasione per mettere sul commercio stampe sterili (per non trovarsele anche sulla scatola dei Tampax) e ha continuato a voler vendere solo gli originali.

** Il vero titolo dell’ opera non è “Le Lacrime di Freya”, ma “Le Lacrime d’Oro”

In effetti, Klimt lo conosciamo tutti. Almeno per via del Bacio e dei noti cioccolatini. Nell’opera della Zilberman troviamo la stessa atmosfera onirica e sensuale. Come per dire “lo so chi ti viene in mente mentre pensi alle cose zozze”. Inoltre, troviamo la stessa onnipresenza dell’oro, non come colore ma come materiale (è una fogli d’oro, non una cromia ocra), presa in prestito dall’Arte Bizantina, divina e sovrannaturale – io l’ho sempre definita l’arte della smaterializzazione, in cui con l’opera si va a togliere la pesantezza materiale al colore, facendolo diventare leggero, solo luce.

Però, con uno sguardo più attento, capiamo che la mano è diversa. Per Klimt l’oro è come pioggia, il privilegio che un uomo può avere nell’entrare dentro alla sessualità di una donna senza farlo con quella nota parte del corpo, il fare sesso anche quando non lo si sta facendo. Per la Zilberman è anche emozione preziosa, lacrime non necessariamente di tristezza, sensazioni così immense e vivide che il corpo non sa contenere e, allora, le butta fuori. Altre differenze sono il trucco pesante (Klimt accentua solo le gote) e la pennellata fluida e delicata (Klimt ha un tocco più virile, rapido e sintetico).

In gergo, si chiama primissimo piano. L’inquadratura di questo dipinto stringe sul viso di una donna con la pelle diafana, le labbra rossissime e i capelli così biondi da sembrare fili d’oro. La parte destra della chioma, quella razionale e dritta, nasconde l’occhio; quella sinistra, irrazionale e ribelle, non cela l’occhio chiuso, emozionato, che non trattiene le lacrime, non fluide, ma metalliche e di ventiquattro carati.

Freya è un personaggio della mitologia scandinava, in particolare quella norvegese. Lei, bellissima, è la Regina degli Elfi. Il fatto che sia protettrice dell’amore, della fertilità, della guerra, della seduzione, della morte e della profezia, mi fa ricordare la nostra latina Diana, sorella di Apollo. Tuttavia, su al Nord, Freya è sposa di Odur, che come Apollo traina il carro del sole. Freya non si lamenta del fatto che lui di giorno sia impegnato nel suo viaggio per i Cieli, sa che gli Dei hanno dei compiti inderogabili e privilegiati. Ma ogni volta che suo marito se ne va o torna a lei scappa una lacrima…

Così, con queste lacrime di commozione, Freya crea i colori più bluastri dell’alba (la malinconia del saluto in uscita di Odur) e quelli più rossi del tramonto (la passione del saluto al ritorno di Odur). Freya ci insegna come ama una Regina, lasciando andare anche senza certezza che la persona torni indietro, complice, mai gelosa, sempre con la corona in testa. E quando Odur ritorna di spontanea volontà, appunto, è la golden hour / e non ti preoccupare per il mio mascara (riesco a trovare della cool-tura anche nella Lamborghini, eh!).

La vera ragione per la quale il tramonto lo vediamo più arancio e l’alba è più lilla va ricercata nel cosiddetto effetto Scattering di Rayleigh, ossia per una ragione fisico-scientifica che ha a che fare con la lunghezza delle onde dei raggi di luce e che io non so spiegare altrimenti non sarei qui… Sappiamo che la maggior parte dei miti di qualsiasi tradizione nasce per spiegare all’umanità le questioni difficili della Natura. La nostra artista, invece, lo usa come metafora dell’ipersensibilità, quei sentimenti talmente forti che sembrano fondersi con i fenomeni atmosferici. Per ogni goccia vorrei diluvio sopra ogni cosa.

Ci sarà sempre qualcuno che ti dirà che sarebbe più consono che tu veda la vita in rosa. Ma tu osa. Vedila in oro, sii orgoglioso di essere ipersensibile. Gli unicorni esistono. Non tutti quelli che errano si sono persi .

Miss Raincoat

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Cronache da Amantea e dintorni

*Giorno 8*

Quasi agli sgoccioli, proprio quando mi stavo finalmente abituando al clima, al ritmo e prendendo l’aplomb vacanziero, mi sono presa un giorno per me. E la doccia, concendomene una bella lunga annessa di trucco e parrucco (ma solo a me al mare vengono i capelli come le Barbie usate?), spedendo pure la family nel giardino dell Hotel.

Chi ben comincia è a metà dell’opera!

In effetti, è stata una giornata sorprendente perché il #forseandiamodalloziogianni (Gianni è il mio -ormai famoso- genitore maschio) del piccolo Antonio, il figlio di mia cugina E., si è concretizzato con un pomeriggio/sera di family al quadrato.

Prima di cena (nella quale è stato coniato l’altro hashtag #nonvogliamopiùniente), siamo andati a goderci lo spettacolo naturale del Tirreno, il tramonto, quando il sole si tuffa nell’acqua rosso e fa sentire rossa anche te, nuda nei tuoi pensieri più sinceri.

Mi ha fatto ricordare anche questo quadro “Avvampante Giugno” di Sir Frederic Leighton

Mi ero ripromessa di lasciar passare l’estate e non parlare più d’amore per un po’. Quando hoscritto l’articolo che ho citato sopra, la sera stessa una persona nuova mi ha augurato una nuova buona notte. E poi sono partita per venire qui. Davanti ad un giorno che se ne ne stava andando, ho pensato di essere diventata adulta, ormai. Che riesco a fare pazzie senza farmi male, si chiama osare. Forse, si chiama anche vivere felici. Con regole, ma senza etichette (non siamo mica sottaceti!). E proprio quando non me lo aspettavo, nella scelta di vivermi ventiquattr’ore in libertà, mi è arrivata una notifica su Whastapp.

❤ Miss Raincoat

Quanto mi hai fatto fare tardi se l’amore è una partita noi siamo rimasti sopra gli spalti – quanto mi hai fatto fare tardi per vedere l’alba poi neanche mi guardi” – Nina Zilli