“Sogni” di Vittorio Matteo Corcos

Vittorio Matteo Corcos è un pittore livornese – di origine ebraiche – novecentesco, di stile realista e legato agli ambiti della rivista letteraria fiorentina “Il Marzocco” (come Pascoli e D’Annunzio, per esempio).

I suoi soggetti abitano in un mondo brillante di ritratti femminili raffinati, ma anche quotidiani. In questo dipinto conosciamo una ragazza comoda su una panchina, dove hanno trovato riposo anche il suo bel cappello di paglia e un’altrettanto bella pila di libri – sono libri sul nuovo genere cool, la Fantascienza (e quel meraviglioso ombrello da passeggio!).

Sogni“, non a caso, è una delle sue opere più rappresentative. Se ci pensiamo, è la stessa belle époque di Mucha, però in versione tangibile, non è un poster stilizzato. La modella guarda fisso il pittore negli occhi: lo conosce, forse?

In effetti sì. Lei è Elena, figlia dell’amico (scrittore e fumettista) Augusto Vecchi, che i più conosceranno sotto lo pseudonimo di Jack La Bolina. Lei – si vociferava, dacché ai tempi non c’era nemmeno Instagram e la possibilità del selfie bastonato – era l’amante ventenne del pittore quasi quarantenne. Alcuni sostengono che fu un amore settecentesco, fatto di desideri, sospiri, brama e niente più. Qualche like e cuoricino ai selfie 🙂

Così come la sua omonima omerica,  Elena fece anche venire fuori un vero putiferio. Questo dipinto fu considerato scandaloso. Le gambe accavallate? Troppo poco decorose per una signorina! E lo sguardo? Troppo provocatore!

Corcos ha utilizzato la figlia del suo amico come simbolo di una società moderna, in cui le donne si stavano emancipando, sognavano un futuro in rosa come i petali sparsi sotto la panchina. Elena non ha bisogno di essere groupie di un pittore, cari amanti del gossip. Lei è una donna divertita, istruita, a tratti inquieta, bella e anche sensualmente libera: una persona che può guardare in faccia gli uomini – e che può anche sfidarli in duelli ben più intelligenti di quelli che si potevano leggere in “Madame Bovary”. Elena è Miss Novecento.

“Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” La Tempesta – W. Shakespeare

Galleria d’Arte Moderna di Roma, 1896

❤ Miss Raincoat

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“La Morte di Paolo e Francesca” di Alexandre Cabanel

Ci sentiamo tutti forti quando siamo amati. Ah, no. Quello è il Magnesio

Cabanel è un pittore che, mentre tutti si sentivano very cool nel dipingere come gli Impressionisti, continuava a proporre un’ arte fatta di pose divine, vaporose e al contempo pietrificate. Insomma, uno che preferiva una bella foto fatta bene in studio, piuttosto che un selfie fintamente preso all’improvviso. De gustibus. 

Però, c’è un bijoux che lui regala all’Arte Accademica, inespressiva ed impomatata: la sensualità. I suoi corpi femminili non sono freddi come il marmo, ma morbidi come la crema (sono perennemente a dieta, scusate la similitudine mangereccia). E il suo successo è stato nel concedersi quest’audacia senza superare i limiti o voler essere scandaloso. Come quegli uomini che certe cose non le raccontano, le fanno e basta.

Ovviamente, l’artista rimane molto fedele ai dettami dell’Arte Accademica in voga nella Parigi del Secondo Impero: composizione studiatissima, tratti precisi, texture levigata e dettagli curati (guardate le stoffe, il pavimento…) . Insomma, questa corrente venne scimmiottata come Art Pompier perché stucchevole come un Malibù Cola. Eppure, non un oggetto sulla tela è sprovvisto di una propria iconografia: il libro è quello galeotto e la spada è quella dell’assassino ancora nascosto dietro ad una tenda spessa. C’è dell’ Impressionismo anche qui, ma l’attimo sfuggente è appesantito dal pathos di un gesto mosso da un sentimento enorme. Forse, è per questo che l’opera non riscosse tanto successo al Salon del 1870, perché, per quanto sia teatrale, porta sul palcoscenico emozioni disdicevoli.

Amor, che a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte…“, così ce li fa ricordare Dante nel mettere in versi l’impossibilità di esonerarsi dall’amore quando ci prende come l’influenza di febbraio.

Paolo, detto appunto il Bello, era il bellissimo ed elegantissimo cognato di Francesca, già sposata con Gianciotto (anziano, zoppo e rozzo). Mentre i due leggevano le avventure di Lancillotto e Ginevra (che era il Cinquanta Sfumature dei loro tempi) si scambiarono il primo tremante bacio. E finirono uccisi dal marito cornuto che li colse in flagrante. Paolo Malatesta si era sposato con una certa Beatrice, per sancire un’alleanza tra guelfi e ghibellini, benché fosse profondamente invaghito di Francesca Polenta. Lui, infatti, l’aveva dovuta sposare per procura per conto di suo fratello Gianciotto. 
Rimini, 1285 circa: marito quarantenne uccide nel sonno (con un solo colpo di spada) la moglie ventenne e il fratello trentasettenne, trovati abbracciati nel letto.
La Vita in Diretta avrebbe fatto man bassa di share con questo fatto di cronaca nera, veramente accaduto ma censurato dalla Storia 😀

Pare che Beethoven, che tra le cose aveva un buon orecchio ma era sordo, quando compose Per Elisa stesse pensando a Teresa. Non è l’Amore ad essere strano, sono le persone ad esserlo

**Musée d’Orsay (Parigi), 1870

[-1 mese al mio Compleanno!!!]

❤ Miss Raincoat