Il Santuario del Divin Prigioniero

Sostituisce la chiesa di San Simone e Giuda ed è voluto da Don Giovanni Folci, come ex voto della Prima Guerra Mondiale. Fu costruito in cinque anni e finito nel 1925. Un anno dopo fu affiancato dall’Opera Don Folci. I lavori furono finanziati dall’amministrazione, dalla popolazione locale e da un Comitato. L’Opera nasce come asilo e scuola serale, poi Pre-Seminario e Convento delle Ancelle dal 1930 . Sempre nel 1930 alla chiesa vennero aggiunte la cupola e le navate laterali. Abbiamo parlato del San Simone e Giuda qui.

Don Giovanni Folci, nato esattamente un secolo prima di me, il 26 febbraio 1890, veniva da Cagno, un piccolo paesiono comasco. Approda come parroco a Colorina nel 1913. Era una nuova parrocchia, tra le più povere d’Italia, ma lui si impegna per celebrare quante più messe possibile e rendere attivo il catechismo. Durante la Guerra, verrà arruolato come cappellano e vivrà la prigionia austriaca come “la più umiliante delle vicende”. Fu questa terribile esperienza che gli fece maturare l’idea di un Santuario per ricordare i morti in prigionia. Morì nel 1963 ma la sua figura vive ancora nitida nelle nostre memorie, anche per quelli più agnostici.

Mi ha sempre affascinato lo stile eclettico di questa chiesa così grande e magniloquente in un piccolo paese di stampo rurale.

L’esterno, un’alta facciata a vento, si raggiunge tramite una scalinata monumentale con alla base la Grotta di Lourdes del 1911. Don Folci era molto affezionato a questo miracolo, per lui riportava gli affari della Chiesa lontano dalla Politica. Il portale è stato coperto da un altrettanto arioso protiro. Le colonne ci riportano al Medioevo con le figure dei draghi. Ai lati della facciata, troviamo due figure femminili che potrebbero essere delle impersonificazioni femminili della Giustizia. Sia l’esterno sia l’esterno riprendono la bicromia tipica del Romanico toscano.Perciò, lo stile è quello eclettico tipico di quegli anni.

Ancora più sorprendente è l’interno. Un ambiente simmetrico e maestoso suddiviso in tre navate e un cicol di affreschi realizzati tra il 1927 e il 1936 da Nicola Arduino, un pittore torinese che Don Folci aveva conosciuto in trincea. Nicola, uomo molto colto, in guerra disegnava le postazioni nemiche. Le sculture dei reliquiari, l’ostensorio e la via crucis portano la firma di Pietro Tavani, di Piacenza – talmente geloso che ne distrusse i calchi. Averlo qui a Valle fu un vanto.

Il reliquiario nella cappella sinistra è dedicato a Don Folci. Realizzato il argento e bronzo, in sette formelle racconta la vita del prete e raffigura Cristo Re e un soldato morente confessato da un cappellano; il reliquiario della cappella destra, con rappresentato il Duca Amedeo d’Aosta, viceré d’Etiopia stimato da Papa Pio XII, è dedicato al beato Pier Fedele Pagano. Un tempo si credeva che questo inquisitore domenicano fosse stato ucciso alle Gaggine (Selvetta), in realtà è successo a Mazzo, vicino Tirano.

Gli affreschi hanno uno stile preciso, a tratti energico, ma cromaticamente sono delicati. Come dicevo prima, il fatto che l’Arduino fosse molto colto, rende la codifica iconografica non subito comprensibile per chi è a digiuno di avvenimenti biblici & co.

Cercherò di schematizzare la composita narrazione della Prigionia dei Cristiani.

Controfacciata: Cattività Babilonese
Porta d’ingresso: patroni dei cappellani delle carceri: S. Tarcisio e S. Giuseppe di Cafasso; S. Giovanna d’Arco e S. Caterina da Siena, entrambe politicamente impegnate in campo di Fede.

Sotto le finestre nella navata: Episodi della Passione: Bacio di Giuda, Cristo deriso, Flagellazione – Rinnegazione di Pietro, Cattura, Processo

Ingresso al presbiterio: S. Augusto, S. Eustachio (prima di essere martiri persecutori), S. Simone e Giuda (patroni di Valle), S. Sebastiano (militari), S. Agostino (suore dell’Opera Don Folci).
Sopra le finestre del presbiterio: Ezechiele e Daniele, profeti in Esilio in Babilonia.

Arco divisorio: Angeli che reggono il salmo 137, che narra la controfacciata “super flumina Babylonus illic sedimus et flevimus cum recordaremur Sion”.

Affreschi presbiterio: Angelo che salva S.Pietro liberandolo dalle catene + Atti 12,5 “oratio fiebat sine intermissione ab ecclesia ad deum pro eu” – Martirio di San Giovanni (riconoscibile dal bastone da profeta) con Erode e Salomé + Giovanni 3,30 “illum oportet crescere me autem minuit”.

Cupola : I Sette Doni dello Spirito Santo

Abside: Crocifissione di Gesù e dei due Ladroni con le Tre Marie e una folla (i volti sono i cittadini di Valle), sopra: Eucarestia per i Prigionieri (volti sempre cittadini di Valle) con Gesù e Angeli.

don G. Folci

Se manca il cuore, tutto il resto non vale niente davanti a Dio

❤ Miss Raincoat

Pubblicità

“Sacra Famiglia” di Giovanni Gavazzeni

Un altro dei miei angoli preferiti a Morbegno

Considerando che la Bottega Ciapponi alla quale appartiene il dipinto nasce nel 1883 e che Giovanni Gavazzeni stava affrescando La Madonnetta di Morbegno nel 1875, il dipinto può essere collocato cronologicamente tra queste due date.

Giovanni Gavazzeni, pittore talamonese formatosi nell’ambito neoclassico dell’Accademia “Carrara” di Bergamo, era apprezzato in Valle perché il suo gusto elegante non era mai troppo monumentale. Io l’ho sempre amato per via della sua ricerca quasi scientifica sulle cromie ancora naturali, quando pressoché tutti gli artisti preferivano già la comodità dei colori in tubetto. Il suo blu “alpino” mi lascia sempre senza parole!!!

Il dipinto si trova in Piazza Tre Novembre (già Trivio del Mercato) – avete capito bene, 3/11/1918 per ricordare con puntualità la firma dell’Armistizio della Grande Guerra. Io definisco questo affresco “Sacra Famiglia di Casa Ciapponi”: per via dell’ambientazione in un talamo, la stanza più intima di una casa, potrebbe essere stato un dono di nozze. Auguri e figli maschi!

Ma soffermiamoci a notare qualche particolare…
  • La Madonna porta in volto il ritratto della moglie Rosa Piròla di Ardenno; lei e Giovanni non hanno potuto avere figli, ai tempi un’onta oltre che dispiacere. Avevano adottato i nipoti orfani e morirono durante la Guerra della quale la piazza è memore. Il pittore, per contro, si ritrae sempre come un San Giuseppe.

  • L’atmosfera calma è data dai toni blu. Pochi accenti di rosso parlano di un amore vivo, da non sprecare.

  • In una tipica camera da letto ottocentesca, ci facciamo guardoni di un clima intimo e complice:  un matrimonio d’amore che l’artista aveva sperimentato.

  • La pesca che ha in mano Gesù è l’unico simbolo di immortalità nella composizione che sembra quella di una famiglia qualunque, con sentimenti umani e non divini.

❤ Miss Raincoat