A New Year just begun.

Manzoni ci avrebbe scritto un libro, io non trovo quasi le parole. Nemmeno la mia ferocissima fantasia avrebbe mai immaginato un anno più estremo del 2020. E io sono pure ipersensibile, tant’è che la mia maestra dell’asilo sosteneva che avessi le lacrime in tasca…

I sentimenti che ho provato quest’anno sono stati sia belli sia brutti, ma tutti a volumi esagerati, talvolta ribelli. A dicembre, infatti, ho avuto bisogno di fermarmi un attimo perché mi rimbombava tutto caoticamente nella testa. Eppure, sono ancora qui in piedi (sembro seduta perché la mia statura non aiuta).

In 30 anni, ho creato tante cose e tante ancora ne voglio realizzare. Quest’anno mi è stato utile per rivalutare il mio metodo di osservazione del genere umano. Le persone che mi sono nocive sono quelle che sguazzano nel loro dolore senza provare a liberarsene: siamo come dei bicchieri, se ci versi dentro positività, la negatività fuoriesce e rimane solo il retrogusto amaro – per ricordarti che ce l’hai fatta (fidatevi, l’unico momento terribile della mia vita l’ho affrontato così e ho imparato che se il dolore ti rende egoista, allora non ti ha insegnato nulla); mi sono nocive le persone che mi coccolano troppo, perché così sono più facilmente gestibile e loro possono fregiarsi di essere i benefattori del caso umano – i veri amici sono quelli che ti prendono a calci fino a quando reagisci, sono quelle persone che ci sono sia se è un bel momento sia se è un brutto momento, senza provare invidia o pena (e ovviamente con l’apribottiglie alla mano).

In questo senso, quest’anno ho avuto delle conferme: esistono delle persone che non mi abbandonano mai, anche quando mi chiudo a riccio e pungo; poi, al lavoro e in privato, ho conosciuto persone nuove che vorrei rimanessero. Per me è un dono, anche se sono estroversa sono molto selettiva (lo faccio per proteggere la mia sensibilità eritemica).

Cosa mi aspetto dal 2021? Bah, non grandi cose. Mi danno gioia infinita le cose semplici. Vorrei lavorare non a intermittenza, vorrei passare del tempo sereno con le persone che ho citato sopra e che le stesse stiano bene, vorrei scatenarmi a un concerto almeno, vorrei una vacanza di 10 giorni senza che al mio capo venga un infarto, vorrei aperitivi e cene come se piovesse. E un unicorno.Per me, davvero, vorrei fare focus su me stessa. Voglio equilibrio, voglio amarmi, voglio sentirmi bella dentro e fuori e dirmelo io. Voglio essere a mio agio sia da sola sia nell’eventualità di essere in coppia.

Ho scoperto di avere un cuore miracolosamente ancora intero, capace di dare ancora tanto tanto amore. Amare è la cosa più nobile che si possa fare e non è mai sbagliata o inutile. Voglio amare me e gli altri. Voglio amare in tutte le accezioni. A mano tesa, senza aspettarmi niente in cambio e senza avere paura di soffrire. Il cuore è tosto, non si rompe – se mai si rompono le palle, ma grazie al cielo Natale è finito. E se ti rompo le palle vuol dire che ci tengo (eccetto lo stalking, che è reato). Sono carica quanto un coniglietto Duracell. Non importa cosa succederà domani, lo affronterò al momento. Mi sento ricettiva. Non ho rimorsi e non voglio avere rimpianti. Del resto, la tristezza fa venire l’ulcera e l’unico che ci ha fatto i big money è stato Kurt Cobain (che poi ha fatto una fine barbina). Scusate la solita atavica mancanza di sintesi.

Nella pratica, avendo paura degli aghi, quest’anno mi farò un tatuaggio. Perché voglio tutto. Perché non voglio avere paura. Perché voglio essere vera come la neve che se ne frega e scende copiosa senza fare rumore, non ne ha bisogno.

❤ Miss Raincoat

mia colonna sonora del momento 🙂

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Lo Zucchero nel Mojito

Coira da casa mia dista circa 125 km. Ci si arriva o in auto o in treno. In treno la storia è un po’ lunga (5 ore a ben vedere) perché si deve raggiungere Tirano e poi trasbordarsi sulla Ferrovia Retica. In auto è una gita più celere: percorrendo la Strada Statale 36 “dello Spluga” si passa il confine e l’autostrada ci porta comodamente a destinazione in 2 ore e 30 minuti.

Lo si dice spesso che bisognerebbe godersi lo spazio temporale tra partenza e destinazione. Io oggi mi sto spostando per lavoro e sto ripassando un discorsone con le airpods che mi cantano le canzoni che mi piacciono. Liberare la testa serve per viaggiare leggeri, ma è difficile da farsi per una che ha il cuore per bagaglio a mano…

Ieri ha piovuto pressoché tutto il giorno, anche con il sole. Oggi, invece, il meteo è spettacolare. La temperatura è ben sopra i venti gradi e il cielo è di quell’azzurro che è possibile vedere solo da qui, incastonato tra le vecchie Alpi, ceruleo in gergo (oppure sono soltanto le mie lenti polarizzate a farmelo vedere così 🙂 ).

Coira è la città più antica della Svizzera. Dall’autostrada sembra grigia, triste e anonima – specie d’inverno quando i comignoli fumano sopra i tetti ghiacciati. Però, è proprio vero che guardare le cose dall’alto ti pone a una distanza cieca. Perché se ti dai il tempo di perderti nel suo centro storico – in tedesco si dice Innenstadt (il cuore della città) – la conosceresti nei suoi veri colori, quell’eleganza sia pittoresca sia elegante tipica di questi borghi di montagna strappati alla vita selvaggia dei boschi. In Piazza San Martino, fuori dalla chiesa, c’è una fontana dedicata al Santo che però viene chiamata Fontana dello Zodiaco, siccome la sua vasca è decorata con i simboli zodiacali. Mi è venuta in mente perché sto ascoltando “Oroscopo” di Calcutta…

Se vuoi più informazioni su Coira click qui.

Poi stavo anche pensando che il mio cocktail preferito è senza dubbio il Mojito. Mi piace molto la sua semplicità e per questo sono anche molto pignola sulla sua esecuzione. Per esempio, posso capire che lo sciroppo di zucchero sia meno rozzo dello zucchero di canna – ma, mi dispiace non trovarmelo granuloso nel bicchiere.

Insomma, il Mojito nasce come una bevanda very rude. Il drink nazionale di Cuba per il quale sono diventati famosissimi i Cantineros de L’Habana fu inventato dal corsaro inglese Sir Francis Drake per dissetare i suoi marinai.

Mojito significa “piccolo incantesimo”. La ricetta nasce all’arrembaggio con le poche risorse che si avevano nella stiva. L’acqua molto frizzante che voi studiati chiamate seltz è un’alternativa potabile all’acqua stantia che avrebbe dovuto bere la ciurma. Il rum bianco era il quello più economico, usato prettamente o per disinfettarsi o per ubriacarsi. Per non far sentire il sapore rancido dell’acqua e per dare un po’ di coraggio agli uomini di mare (e scongiurare il colera), quindi, si aggiunsero altri due ingredienti facilmente reperibili: il lime (l’agrume caraibico) e la hierba buena (che italiano si chiama menta spicata).

Ne consegue che il Mojito non è per fare i finti fighi in discoteca. Vale lo stesso discorso più volte specificato su questo blog: la barba (o il mojito) fa figo solo se sei già bello 😛

Miss Raincoat

“Non mi ricordi nessuna guagliona” cit. Calcutta in “Oroscopo”