Il (mio) Degusta Morbegno 2021

Ultima settimana di Degusta Morbegno!!!

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Eccomi nel clou del secondo anno da insider (in quanto Guida) per questo appuntamento enogastronomico rinnovato ma immancabile per la Bassa Valle. Come l’anno scorso, sono stati contestualizzati i rossi nel Rinascimento (ossia nel Complesso di Sant’Antonio) e i bianchi nel Rococò (ossia nel Palazzo Malacrida), il tutto abbinato ad assaggi della cucina locale e a una visita guidata (non come valore aggiunto, ma come parte inscindibile dell’esperienza degustativa fatta in una location equamente d’eccellenza) – anche quest’anno io sono onorata del mio compito di portare i degustatori sul Piano Nobile del gioiello settecentesco della bellissima Morbegno. Le novità di quest’anno sono sostanzialmente tre: la prima è il pranzo/cena alla Colonia Fluviale in zona Ponte di Ganda (raggiungibile anche con la navetta da Piazza Sant’Antonio), la seconda sono le degustazioni “fuori dal classico” in vari locali di Morbegno e la terza è il Degusta in Green (degustazioni itineranti o a piedi tra le vigne e i torchi della Costiera dei Cech o in e-bike sulla vecchia Via Priula verso Albaredo con guida).

Al Palazzo Malacrida quest’anno, grazie al cantiere di restauro sempre in movimento, ho potuto aggiungere qualche “pezzo” alla passeggiata, ossia la loggia su Scimicà e parte del giardino (con il profilo di Dante sulla porticina, che ci saluta dalla sua tomba da settecento anni). Quest’anno ho voluto fare emergere il carattere festaiolo del padrone della baracca, Giampietro Malacrida, e la sua idea neoplatonica dell’Amore (e affini). L’apice della visita, grazie all’estro e al caratteraccio di Cesare Ligari, sono sempre Le Tre Grazie (specie Talia, quella voltata che tutto sa) nel Saloncello della Musica, recentemente e volgarmente battezzato la Stanza Rossa (per la tappezzeria e, forse, non solo). Il Malacrida è un palazzo con tante porte, vere, dipinte, storte, inaspettate… Insomma, non si può riassumere va visto e basta.

Come dicevo prima, il Malacrida è la scenografia di Quattro Bianchi. Così come non ci si aspetta di trovare un palazzo settecentesco veneziano così lontano da Venezia, non ci si aspetterebbero dei vini bianchi in Valtellina. Eppure, questo sono delle bottiglie con denominazione Alpi Retiche IGT (che raggruppa vari vini non prettamente rossi fermi prodotti lungo tutta la sponda retica valtellinese, non solo con uve Nebbiolo/localmente: Chiavennasca). Eleganti ma potenti come il vino rosso valtellinese per eccellenza, raccontato anche da Leo Da Vinci, perché vanno dai dodici ai tredici gradi. Noi, ormai, li conosciamo come parenti. Abbiamo il Ghibellino di Rainoldi (il Simpaticone), La Perla di Triacca (il Sofisticato), il Rezio di Nera (il Macho) e Alpi Retiche di La Spia (il Misterioso). Se dovessi dire la mia, io amo quello di La Spia: sa di miele o forse di pesca matura e ha un retrogusto di fragoline.

Secondo i miei sondaggi, il piatto che ha suscitato più curiosità di tutto l’evento – oltre al classico tris pizzoccheri, sciatt e polenta – è la Torta Morbegno. La sua ricetta è un segreto. Nasce nella Pasticceria Greco che oggi non c’è più, ma si inseriva nel clima Liberty, intellettuale e anche un po’ visionario, della Via Nani abitata da menti, aziende ed architetture all’avanguardia come anche il Caffé Folcher o l’Albergo Morbegno (oggi Banca PopSo). Lo definirei una sorta di pan di spagna con burro, mandorle e biscotti tritati e cioccolato fondente fuso nell’impasto; ulteriormente, è ricoperta da ganache al cioccolato fondente e da lamelle di mandorle. Rispetto alla Bisciola, il “panettone” della Valtellina, che si può abbinare anche a dei formaggi perché non è dolcissima, è sicuramente più voluttuosa.

Quanto ai ringraziamenti strappalacrime, abbraccio calorosamente Morbegno che considero ormai anche Casa, la Pro Loco (per la quale bisognerebbe coniare un colore pantone, il giallo proloco), la fantastica crew di Channel Morbegno che è diventata una granitica colonna portante per la sezione Malacrida di questo evento, ai Malacrida e ad Azzo Cavalcasella che ci hanno ospitati nel loro palazzo (che meriterebbero una serie su Netflix), al TNT per le Merende dello Scoiattolo, a Elia Bolandrini, Alessandro Monti e ai Sommeliers. Un abbraccio in più va alle persone che, tra quelle citate sopra, sono anche miei amici nella mia vita privata (e a chi lo diventerà, perché no!)- perché mi hanno sopportata e apprezzata nella mia sacrosanta bipolarità Rottermeyer/Heidi. Amo quelle persone che per brillare non spengono le altre.

Miss Raincoat // Patrizia altrimenti detta Silvia

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Valtella in Love

Le Tre Grazie” nel Saloncello della Musica // Palazzo Malacrida

Siamo in una stanza con la tappezzeria cremisi, non molto luminosa e adornata da paesaggetti esotici, non a caso è dove i padroni di casa portavano le fanciulle ad ammirare la loro collezione di… affreschi di Cesare Ligari 🙂

Le “Tre Grazie” di Cesare Ligari adornano proprio la volta di questa stanza, un salottino attiguo al Salone delle Feste. Questo plafone è incorniciato dalle quadrature di Giuseppe Coduri, tripudi di frutta e fiori che alludono alla sensualità e ai giochi di seduzione.

In uno squarcio di cielo azzurro su di una nuvola sospinta da putti che soffiano con forza (sono quattro, come i punti cardinali), tre fanciulle mezze svestite si scambiano sguardi complici e pettegolezzi. Insieme a loro c’è Cupido che stringe una colomba in mano (è il simbolo di sua madre, Afrodite).

Questo fu il secondo medaglione che Cesare Ligari realizzò per questo Palazzo. Ne doveva realizzare altri tre, ma litigò pesantemente con Giampietro Malacrida per motivi di soldi e lasciò il cantiere. Nonostante questo, penso che si divertì molto con questi soggetti. Ricordiamo quanto il Ligari amasse i temi mitologici e, soprattutto, non religiosi – e che il Palazzo Malacrida brulica di tematiche filosofiche di stampo neoplatonico.

Cesare Ligari inserisce nella composizione due illusioni ottiche. La prima riguarda Cupido: se lo guardiamo negli occhi, il suo sguardo ci segue per tutta la stanza – non ti puoi nascondere dall’Amore, tanto le sue frecce ti beccano dovunque tu sia; la seconda riguarda Talia, la ragazza di spalle, che a seconda di dove la si guarda, è seduta o sdraiata oppure magra o in carne.

Le Tre Grazie rappresentano la gioia di vivere e, in questo caso, le qualità imprescindibili che dovrebbe avere una donna: il pudore, la bellezza e la voluttà (cioè qualcosa da toccare, ahahah). Quindi, il nostro Cupido scaglia la freccia solo verso le ragazze che sanno offrire, accettare e restituire. A chi? In questo caso ai maschi alfa dei Malacrida.

Inoltre, le tre ragazze stanno giocherellando con dei garofani, i fiori “degli dei” che rappresentano le emozioni forti. Agliaia, con quello rosso, sta dicendo di sì; Eufrosine, con quello giallo, sta dicendo di no – ma Talia, voltata, le rende un braccio e le ricorda di pensarci meglio, perché l’apparenza inganna.

Quindi, anche in questo dipinto subentra la tematica neoplatonica. Il sesso è la forza che fa andare avanti il mondo, è vero. Ma l’amore, per diventare Amore, ha bisogno di corpo e mente.

C. Ligari – 1761

Ugo Foscolo, Dedica alle Grazie

“Alle Grazie immortali / le tre di Citerea figlie gemelle / è sacro il tempio, e son d’Amor sorelle; / nate il dì che a’ mortali / beltà ingegno virtù concesse Giove / onde perpetue sempre e sempre nuove / le tre doti celesti / e più lodate e più modeste ognora / le Dee serbino al mondo. Entra ed adora”

Miss Raincoat

Josei Ukiyo

Josei Ukiyo sono io quando faccio finta di essere una scrittrice. ll mio pseudonimo è formato da due parole giapponesi che significano “giovane donna (josei)” e “mondo fluttuante (ukìyo)”. Scrivere, per me, non è mai stato solo un hobby. Lo è perché lo faccio aggggratisss, ma non lo è perché mi è necessario. Spesso, poi, mi affeziono dei personaggi che faccio nascere e crescere. Tengo anche un diario (segretissimo) dal 1998, grazie alla mia maestra di italiano (in fissa per Carducci). Ho un amante segreto che si chiama Kindle: il mio libro preferito è “Jane Eyre”; il mio autore preferito è Elias Canetti. Altre cose senza le quali non vivrei: musica, correre, i rossetti e gli aperitivi con gli amici.
Mi guadagno da vivere facendo la guida turistica in una provincia moooolto a nord della Lombardia. Mi piace molto viaggiare (le mie città preferite: Vienna, Copenaghen, Trieste e Parigi), anche se credo che il mio lavoro mi piaccia molto perché mi permette di raccontare i miei luoghi. Ovviamente, il mio mito lavorativo è Alberto Angela – anche se la mia vera icona sarà sempre Debbie Harry dei Blondie.

Ho deciso di raccogliere in questo post (che poi man mano aggiornerò) le mie favelle, che potrete leggere e scaricare tramite il link.

L’odore del Sole (2019) 75 pagine — le vicende si intrecciano attorno alla misteriosa sparizione della tela dell’Estasi di Santa Cecilia e alla fuga di una giovane donna da Varenna (LC) alla profumata e soleggiata Puglia. link: lodoredelsole

Come la Teodora di Manara (2020) 53 pagine — Un omicidio avvenuto nel Palazzo Malacrida di Morbegno (SO) non trova il colpevole come se fosse una partita a Cluedo. A ogni stanza il suo possibile assassino, celato dietro le illusioni ottiche dell’Arte del Settecento. Chi sarà il colpevole? [il racconto avrà anche un sequel]. link: comelaT

Jesus of Suburbia (2021) 17 pagine — L’incontro tra due sconosciuti alla stazione del treno di Sondrio potrebbe diventare salvifico nella risoluzione delle loro rispettive burrasche sentimentali. link: jesusofsub

[post in costante aggiornamento]

Josei Ukiyo

Fuori Cantina // Degusta Morbegno 2020

Dietro le Quinte

Quando ho saputo che per tre weekend avrei dovuto starmene insieme ai fantasmi dei Malacrida, mi trovavo in un bosco in loc. Bruciate, appena sopra a Selvetta – umile frazione di Colorina. Al telefono mi sono sentita dire “Ecco, brava siediti su un ceppo perché ho un compito da affidarti e non puoi dirmi di no!”.

Eccoci qui, le tre settimane sono finite. Assolutamente, penso che l’abbinata alla degustazione enogastronomica all’assaggio delle opere artistiche del Palazzo Malacrida sia stata totalmente esplosiva per tutti i cinque sensi. Edificante anche per me che ero lì a raccontare le storie delle donne dei Malacrida – di Doralice Greco e di Annamaria Peregalli (le due più apprezzate), di Cesare Ligari che a un certo momento ha lasciato il cantiere sbattendo le porte (apparentemente storte oppure finte), della Grazia che cambia peso a seconda del punto di osservazione, dei tradimenti di Giove, dell’Eroe senza una gamba, dei colori mozzafiato regalati a una sala d’onore che trasuda Illuminismo, di un gatto nero e, infine, di un’alcova con affaccio su Scimicà, quella zona di Morbegno che domina, senza respiro, i tetti del Centro Storico…

Quindi, in primis, bisogna ringraziare i turisti degustatori che hanno fatto in modo che questa (speriamo nuova) edizione covid free (perché su prenotazione, contingentata, mascherinata, al tavolo e con uscite ed entrate diversificate) delle storiche Cantine sia stata un successo. Chiaramente, senza di loro ci saremmo semplicemente bevuti una birretta tra di noi parlando del più e del meno – a gruppetti di sei, ovvio. Ma non sarebbe stata la stessa cosa, perché avrebbe fatto morire quell’idea di turismo slow che tanto fa bene alla nostra Bassa Valle. Ma non sarebbe stata la stessa cosa, perché a noi piace aprirvi le nostre porte e ci piace che diffondiate la vostra esperienza fuori dai confini del Forte di Fuentes, alle porte della Provincia. Siamo stati bravi a sognare, credere e a mettere in scena un turismo possibile anche in questi tempi virali. Perciò, siccome fa bene alla salute, gongoliamo due secondi, ma a mani giunte (e igienizzate) per augurare loro meglio e lasciarli con un arrivederci.

La Squadra del Malacrida, ossia quella del percorso Vini Bianchi a Palazzo (dei quali parleremo in un altro post) è stata messa su con le persone più ossessivo-compulsive trovate in giro nei peggiori vicoli di Morbegno. A parte gli scherzi, la riuscita del nostro piccolo tassello in questo evento non sarebbe filata così bene se io, i sommeliers dell’AIS Lombardia/Delegazione Sondrio (capitanati dalla delegata Elia Bolandrini, una donna dall’energia poliedrica ed eclettica) e i volontari della Pro Loco di Morbegno (con Bryan Pace che ci ha cronometrati, spronati e condotti alla meta come un allenatore durante una staffetta) non avessimo collaborato metodicamente cercando di non accoltellarci con i coltelli dello Chef Luca e, ovviamente, senza fumarci il rosmarino – abbiamo fatto branco in simpatia e buona lena, quindi. Un’esperienza lavorativa abbastanza faticosa, lo ammetto (talmente tanto che nemmeno un piatto di pizzoccheri riusciva a sfamarmi, altro che la Fiesta di quella pubblicità…), però anche indelebile, che ti fa dire “l’anno prossimo lo facciamo ancora, vero?”

❤ Miss Raincoat

Qui potete vederci tutti, ma proprio tutti, all’opera ❤

La Torre Ligariana

Il mio Black Friday è stato bordeaux, perché finalmente l’ho trovato. Entra ed esci da un negozio all’altro e, alla fine, sorridente tra le altre grucce, il vestito che cercavo da tempo mi ha chiesto “Hey, Patty, c’è posto per me nel tuto guardaroba?!”. Ma certamente, bello di zia!!! (Infatti per far entrare lui ne ho regalati un paio a mia sorella e a mia nipote, tipo fioretto espiatorio)

Fatto sta che, quando la mia dose di shopping è entrata in circolo nel mio organismo, ho alzato lo sguardo e la Torre Ligariana, simbolo di Sondrio (che è il “mio” capoluogo) mi è sembrata più bella della Tour Eiffel che, del resto, è “soltanto” un ammasso di ferri (ok, scherzo!!! – Paris c’est toujours Paris).

La Torre Ligariana, considerata la torre civica di Sondrio, è, in realtà la torre campanaria della Collegiata di SS. Gervasio e Protasio (o scriveteli come più vi piace, pare sia giusto lo stesso!).

Il campanile originario della Collegiata, non essendo consono ad una chiesa così grande importante (era talmente poco stabile che vibrava al suono delle campane), venne smantellato e il progetto ricostruttivo venne affidato a Pietro Ligari.

La particolarità della storia della Torre è che essa rimase solo un disegno per anni, anche se i Sondriesi stessi la desideravano molto e, soprattutto, la chiesa ne era rimasta sprovvista. Quindi,l’opera fu anche al centro di numerose polemiche. 

  • Primo Progetto del 1733 (P. Ligari) – questo disegno, pienamente in linea con le idee dell’architetto, prevedeva che la torre poggiasse su poderoso basamento e, innalzandosi per 80 metri, culminasse con una cella campanaria, cupola in rame e sfera+croce. La Comunità chiese a Ligari un progetto meno dispendioso, anche se decise, comunque, di posare la prima pietra il 29 marzo 1740 in attesa delle modifiche al progetto.
  • Secondo Progetto del 1742 (P. Ligari) – L’architetto ridimensiona, in altezza e decorazioni, il suo progetto e, come si può leggere sulla fontana posta vicino alla torre, dopo 2 metri i lavori si fermarono, sempre per carenza di fondi e per difficoltà di esecuzione (per la costruzione la Comunità aveva stabilito l’impiego del Serizzo dei Céch, economico, ma abbastanza friabile, per esempio); medesimo iter per l’architetto ticinese Cometti (il Ligari era morto, nel frattempo) che provò a portare avanti un progetto simile a quello ligariano fino alla cella campanaria (oggi la Torre ha 8 campane: una del 1638, due del 1880 e le restanti del 1936). Negli stessi anni, Sondrio dovette far fronte anche al crollo dell’unico Ponte sul Mallero, dopo una rovinosa alluvione.
  • Terzo Progetto del 1763 (P. Solari) – l’architetto comasco, lo stesso di Palazzo Malacrida a Morbegno, ridusse l’altezza del progetto 50 metri e lo portò definitivamente al termine (la piccola cupola culminante con sfera e croce si elevano per ulteriori 9 metri). A questa fase partecipò anche il figlio di Pietro Ligari, Cesare che abbiamo conosciuto qui.

Nonostante sia degno di Rocambole, l’edificio porta la firma del più grande artista settecentesco valtellinese: Pietro Ligari (Ardenno, 1686 – Sondrio, 1752), che fu pittore, architetto, agronomo ed orologiaio. Il Ligari studiò a Roma e si formò su un gusto barocco che portò con sé a Milano e a Sondrio, dove decise di tornare nel 1727. Anche i suoi figli Cesare e Vittoria ereditarono l’estro artistico (sebbene l’Illuminismo di Cesare non fu accolto dal pubblico, nemmeno nella più aperta Como).

Voltolina, com’è detto, valle circundata d’alti e terribili monti, fa vini potenti ed assai, e fa tanto bestiame, che da paesani è concluso nascervi più latte che vino (Leonardo da VinciCodice Atlantico – Foglio 214, 1483-1518)

❤ Miss Raincoat (“vestita di nuovo come le brocche dei biancospini”)