“Cicale” di Matteo Massagrande

Volevo farvi vedere un quadro che parlasse d’estate e ho trovato questo…

2018 – olio su tavola

Matteo Massagrande è considerato uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea italiana. Un bell’uomo classe 1959, originario di Padova, ma che si è trasferito in Ungheria per amore. Tra le cose, un pio devoto di Van Gogh e del suo dolente canto d’amore e della sua immersione nella natura, nei boschi, tra gli alberi.

Massagrande dipinge stanze, le stanze della nonna, vecchie, antiche, scrostate, disabitate… Sono stanze vuote, ma impregnate di memoria, con finestre enormi che si affacciano su panorami mozzafiato.

La protagonista delle sue opere è la luce, sempre torbida di polvere.

L’artista va ad essere portavoce del sentimento di nostalgia per un passato che si rifiuta di essere dimenticato, invisibile ma potente. Per lui, l’assenza non è vuoto ma una dimensione in cui regna la calma.

In “Cicale” lo sguardo è portato verso il blu del mare. Un vecchio gruppo di alberi si piega pigro alla sensualità della brezza. Tutti dormono, fa caldo ed è l’ora della pennichella. Solo le cicale non si scordano mai di perpetuare con il loro ininterrotto canto d’estate.

Miss Raincoat

Gianni Rodari

Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende…
regala!
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Cronache dal Bancone

Come sono passata dallo Spritz al Negroni

Primo di giugno. Ergo, si può tornare a varcare la porta dei bar e dei ristoranti. Ma non si può dire che quest’anno la giacca di pelle non sia servita a nulla.

Comunque, veniamo al dunque. Ebbene sì, dopo l’amore giovanile per il Mojito, la lunga storia con lo Spritz è arrivato quello giusto. Il Negroni.

Motivo? Bah, improvvisamente lo Spritz mi è sembrato un po’ stucchevole….

Un po’ di storia

L’aperitivo è un rito inventato in Italia, precisamente a Torino, dove, a fine Settecento, si stimolava l’appetito prima di cena con un drink e degli stuzzichini. Quindi, è una parola intraducibile in altre lingue. Si beveva il vermouth, poi commercializzato e battezzato da Martini. Oggi si beve un po’ di tutto in questa fase oraria, lager e ipa tra le birre, vini spumanti o secchi di vario colore, cocktail più o meno amari o aciduli. E non permettetevi nemmeno di dire “apericena” (che è l’equivalente enogastronomico dello “scopamico”, ma come diavolo parlate???) . Mia nonna ripeteva sempre “se non mangi muori”, quindi…

Lo Spritz nasce in quel clima un po’ da spogliatoio delle truppe austriache di stanza nel Lombardo-Veneto che, non abituate all’alta gradazione dei vini locali (tipo il Friulano già Tokaij), tendevano a fare una cosa che in tedesco si dice “spritzen”, ossia allungarlo con l’acqua frizzante. L’invenzione del cocktail, però, si colloca dopo il 1919, anno di nascita dell’Aperol a Padova. Lo Spritz, aperitivo arancione per eccellenza, ha pochi ingredienti: prosecco, selz, Aperol e mezza fetta di arancia. Il suo bicchiere d’origine era il tumbler basso (detto old fashioned), ma dal 2015 fa più fico usare lo stelo. Dato che Aperol viene commercializzato da Campari (che invece parla milanese), per chi lo preferisce rosso si fa uno strappo alla regola.

La differenza tra Aperol e Campari? In realtà, sono tutti e due la parte amara (bitter) del cocktail. La ricette di entrambi sono segretissime come quella della Coca Cola e della Bresaola. Quella dell’Aperol prevede l’infusione in alcool di arancia, rabarbaro e altre erbe e radici (11% VOL). Il Campari, invece, prevede sempre l’infusione in alcool di chinotto, cascarilla (una pianta tropicale pure antidiarrioca), erbe amaricanti varie + cocciniglia come colorante (25% VOL). Quindi, la scelta rimane sostanzialmente sulla cromia o sulla geografia, se non fosse che il Campari è un pelino più amaro e sicuramente più forte.

Ed ecco che, passando per Milano e per il Campari, arriviamo al Negroni. Proprio a Milano, nel bar Gaspare Campari, era stato inventato l’Americano, un cocktail a base di Campari, vermouth rosso e seltz – appunto amato dai turisti statunitensi e da James Bond. Nel 1920, il conte Camillo Negroni, chiese al suo barista di fiducia di Firenze di sostituire il seltz con il gin, in memoria di un suo viaggio sesso-droga-rock’n’roll a Londra. Nasce così il mio nuovo cocktail preferito, un mix di gin, Campari e vermouth rosso con mezza fetta di arancia. Si beve rigorosamente on the rocks (con giù il ghiaccio), in un tumbler basso e senza cannuccia (poi qualcuno mi spiegherà a cosa servono due cannucce nei cocktails…). Esiste anche il Negroni Sbagliato, che sostituisce il gin con lo spumante brut.

La conclusione

Mi sono buttata sull’alcool? Ma no. C’è da dire che il vermouth e il gin sono due elementi affascinanti da capire.

Il gin si ottiene da una fermentazione di cereali o patate per distillazione, alla quale viene aggiunta in macerazione una miscela di erbe o radici o spezie, tra le quali il ginepro.

Il vermouth, vino aromatizzato nato a Torino, prende il nome dal lemma tedesco con il quale si indica l’artemisia (anche se il vermouth può essere anche aromatizzato con l’assenzio). Oltre a questo aroma, che deve essere presente per legge, si può avere il sentore di, per esempio, camomilla, garofano, sambuco, zafferano, anice, vaniglia, melograno, etc…

Per quanto riguarda il gin ne ho scovato uno molto vicino alla mia valle, che è il Gin Rivo prodotto con erbe e fiori dei prati sul Lago di Como da Magi Spirits a Cermenate (CO). Il suo sapore è molto balsamico, sfuma in un finale lungo di melissa, timo e frutti di sottobosco

Per quanto riguarda il vermouth, al di là del tradizionale Punt e Mes reso celebre da Giovanni Agnelli, punterei su un Bérto Rosso da Travail. La distilleria è la Quaglia di Asti, sulle colline dei grandi vini ottenuti dalle uve moscato. Il colore rosso carico non tradisce le aspettative: sa di agrumi, di spezie e il suo sapore è molto persistente.

@ Liberty – Sondrio

Miss Raincoat

(!) Bevi responsabile. Se guidi non bere. Mangia, prega, ama. Troppo fa male anche il pancotto. E tutte le cose che ti direbbe anche Mammà.

Padova (for lovers)

Esistono tre città nel Veneto in cui ci si va con l’emoticon con i cuoricini al posto degli occhi…

Venezia. Costosissima, per vari motivi che in questo post non ci stanno (anche se noi ci siamo andati low cost qui). Meravigliosa. A Venezia ci si va con l’anello (anche quello delle palline…ma le vendono ancora o sono rimasta negli Anni ’90?) e senza sciatica, che poi ci si deve inginocchiare. Perciò, Venezia è un po’ impegnativa.

Verona.Ma sì, quella di Romeo e Giulietta. Quella che – alcuni vociferano -Shakespeare non ha nemmeno mai visto. Anche lei una città del nord Italia che va vista almeno una volta (a me è rimasto impresso il rossiccio delle sue mura scaligere che spiccava durante una giornata bigia di gennaio). Inoltre,è una città che temo, perché la mia prof. Di Latino del Liceo – quella con la Montblanc assassina – veniva da qui.  Eppure, “se ti porta a Verona invece che a Venezia è un fedifrago” cit. Mio Attuale Capo.

Padova. La città veneta per le rockstars. Padova è per chi ha la fidanzata guida-turistica che ama gli aperitivi (ho detto aperitivo, non apericena. Io dopo lo spritz voglio andare a cena o a pranzo; parimenti voglio fare la colazione a un orario decente con le cosette dolci – scusate la digressione). Lungo le rive del Bacchiglione, è la città dei portici medievali e delquasi-esotismo delle cupole emisferiche.

Cosa non perdersi (o cosa sapere per fare i finti intellettuali, sicut Alberto Angela docet)

  • la Basilica di Sant’Antonio (che è gratis) e il Monumento Equestre al Gattamelata di Donatello, proprio nella piazza antistante.
  • Il più antico Orto Botanico al mondo – ingresso 10 €
  • Prato della Valle con al cento l’Isola Memmia
  • Basilica di Santa Giustina con la tomba di San Luca (romanico-bizantina)
  • MUSME , Museo della Medicina – ingresso 10 €
  • Piazza delle Erbe, Palazzo della Ragione, Palazzo del Capitano (con orologio astronomico), Portico della Corda e Duomo
  • Cappella degli Scrovegni con l’opera di Giotto e quel blu oltremare che si capisce perché tutti lo volessero nonostante il costo – – ingresso 13 € (quasi obbligatoria la prenotazione, anche online); il biglietto comprende anche i Musei Civici Eremitani e Palazzo Zuckermann, tutto lì vicino.

Che dite? Andate in gioielleria o a prenotare l’entrata alla Cappella degli Scrovegni?

❤ Miss Raincoat