Il “San Giuseppe” della Sirta (Forcola)

#festadelpapà

“Alzi la mano chi sa dove si trova la seconda cupola più grande della Diocesi di Como!” – “Io lo so! È la cupola della Chiesa della Sirta, quasi vicino a casa mia”

Nel perimetro che oggi è occupato dal Municipio, nel 1821, fu costruita una chiesa molto semplice con facciata a capanna, riconoscibile ancora oggi nella forma dell’alzato dell’edificio. Alla stessa, fu addossato il campanile che appartiene alla chiesa odierna. Questa premessa è utile per capire lo strano abbinamento degli elementi di questa piccola piazza.

Perché fu costruita una chiesa più grande? Beh, in realtà la bonifica ottocentesca delle rive dell’Adda aveva debellato la malaria e la popolazione era abbondantemente cresciuta di numero. In più, gli abitanti della Sirta non volevano essere additati come braccini. Infatti, per il nuovo progetto fu scelto l’illustre Clemente Valenti di Talamona, il quale escluse a priori un ampliamento della chiesa-municipio, poiché non c’era lo spazio necessario per realizzare un edificio esteticamente armonico. Allora, l’architetto propose tre disegni, dei quali fu scelto quello “a pianta quadrata, con cupola e decorzione in Stile Rinascimentale”. 

I lavori durarono circa 10 anni e furono caratterizzati da riprese e sospensioni, ovviamente per la mancanza di proventi necessari. Eppure, la chiesa era talmente desiderata che la popolazione si prestò anche al volontariato e alla beneficenza. Mentre le donne vendevano gli scarpii (pantofole rudimentali), gli uomini trasportavano a mano quei massi che possiamo scorgere ancora oggi nelle pareti laterali esterne.  Addirittura, la Parrocchia si appellò al Papa Leone XIII, che donò un cammeo d’oro da vendere per portare a termine l’opera. Intanto, dalla prospiciente Ardenno giungevano le malelingue: “Si dree a fà sù ‘na giésa o ‘n barek?” (trad.: “State costruendo una chiesa o un ovile?”). Comunque, nel 1888, la chiesa, rusticamente completa, fu benedetta: il primo rito che ospitò fu un matrimonio molto umile. Quando fu consacrata dal Vescovo nel 1893, però, rimaneva molto da fare e da pagare.

La facciata del San Giuseppe è imponente, appunto nel nome del Neoclassico proposto dal Valenti (ma anche elegante, per esempio nella scelta delle lesene dal capitello corinzio). Quello che mi ha sempre colpito e impaurito è l’Occhio di Dio dipinto nel triangolo del timpano (non ha nulla a vedere con le logge massoniche, più che altro è il simbolo della Trinità e dell’onniscenza divina!). Da notare è anche la lunetta del portale dove Pietro Passerini, un pittore locale di Arzo (frazione orobica di Morbegno), ha lasciato una rappresentazione di “San Giuseppe con il Bambino”. Lo stesso artista aveva decorato l’interno della chiesa, ridipinta dopo che, nel 1928, il vescovo Adolfo Luigi Pagani l’aveva considerato disdicevole e volgare.

Ma fu proprio la cupola ad essere croce e delizia di quest’opera impegnativa. Inizialmente fu rivestita di tegole che, però, creavano infiltrazioni. Si pensò, quindi, alla semplice soluzione di un rivestimento tramite un tiburio ottagonale, ma ci fu chi gridò la iattura. Il problema fu inizialmente ovviato nel 1947 tramite delle lamine di zinco, che facevano sembrare la cupola d’oro, nonostante si fessurarono subito. Nel 1967, finalmente, la calotta venne foderata con il locale Serpentino della Valmalenco, disposto a squame concentriche. In ogni modo, all’interno, il gioco di luci delle vetrate e degli oculi dell’agognata cupola sono veramente scenici e ricercati!

I dipinti all’interno, dicevamo, sono invece firmati da Primo Busnelli, attivo anche a Castione Andevenno e a Berbenno in Valtellina, il quale proveniva da Meda (MB) e ne fu anche il Sindaco. Devoto e taciturno, pure lui aveva uno stile molto classico e maestoso, che ben si abbinava con la produzione del Valenti.

  • Controfacciata: Cacciata dei Mercanti dal Tempio (ritorno alla purezza antica)
  • Navata: vengono rappresentati dei Santi sui dei podi, come statue. La loro scelta spazia dai nomi dei parrocchiani a una più concreta invocazione di miracoli. Troviamo, difatti: S. Giuseppe e S. Gregorio (i dedicatari della Parrocchia), S. Giovanni Bosco e S. Luigi (protettori dei giovani), S. Agnese e S. Rita (protettrici di fidanzate e mogli), S. Abbondio e S. Espedito (l’ultimo lo riconosciamo per la scritta “cras” – in questo caso si potrebbero fare molte ipotesi, da una morte prematura a un miracolo urgente), S. Rocco e S. Antonio (protettori del mondo contadino), S. Anna e S. Teresina (protettrici di madri e orfani)
  • Cupola: sulle vele gli Arcangeli e sui pennacchi gli Evangelisti
  • Pareti del Presbiterio: Ultima Cena e Pentecoste – Cristo Re al centro
  • Coro:  Sacra Famiglia

Non dimentichiamo di buttare un’occhiata anche agli arredi: il paliotto dell’altare di Giovanni Gavazzeni con un “San Giuseppe”, il ciborio settecentesco e  coro/pulpito/leggio scolpiti circa ne 1910 da Giuseppe e Giovanni Libera (dei quali l’intaglio dell’“Ultima Cena” sul pulpito è molto ben riuscito).

Ho scelto proprio questa chiesa dedicata a S. Giuseppe  in onore del mio papà, che si chiede sempre come possa fare così tanto freddo in un così piccolo luogo. Ma a) il freddo lo sta mantenendo giovane b) dove c’è freddo c’è sempre tanto amore!

“Per entrare nel paese di Sirta, addossato allo sbocco della val Fabiòlo per cui devo salire, si supera il fiume su un grosso e vecchio ponte in legno. Un formicaio conico di case affollate sotto la chiesa ottocentesca che, sovrastandole col cupolone spropositato, non riesce a nascondere l’innocente vanagloria parrocchiale di chi l’ha voluta e pagata, al costo di non pochi sacrifici. Fede e appariscenza, mi viene da pensare, di questo abitato contadino radicatissimo anche nei suoi campanilismi, rannicchiato al di sotto di balze scure, vertiginose, incombenti, privo di sole da ottobre a marzo e non visitato dal chiaro di luna nei mesi caldi” dal Diario di Un Parroco di Montagna di Giulio Spini

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Il “San Gottardo” di Alfaedo

Salendo da Selvetta verso Rodolo , si può deviare prima a sinistra verso la frazione Alfaedo, nel Comune di Forcola. Subito a destra, troviamo un piccolo complesso religioso che comprende due chiese (“madre” e “figlia”) e un ossario.

La leggenda lega questo luogo (la cui toponomastica significa “verso il faggeto” ed  è anche una terrazza panoramica a 803 metri sopra la Media Valle) alla peste manzoniana, tant’è che mia mamma da piccola aveva un po’ paura di trovarvisi da sola.

Alfaedo è borgo che, in passato, ha  avuto una certa importanza rispetto al fondovalle (tant’è che nell’Ottocento risiedevano 140 persone), probabilmente per il ruolo di roccaforte e per i prolifici castagneti. Sappiamo che a Rodolo si erano insediati i Malaguccini di Morbegno e alla Torraccia i Vicedomini di Cosio, infatti.

La chiesa più grande fu eretta nel Settecento (negli anni della “promozione” parrocchiale del 1770), benché quella più artisticamente rilevante sia la più piccola, forse risalente al Cinquecento.

Questo piccolo edificio presenta un portico antistante (simile alla Madonnina di Colorina) decorato con affreschi cinquecenteschi, i quali raffigurano una Crocifissione e una Madonna della Misericordia. ** quest’ultimo lega l’ambiente alla Confraternita del Santissimo Sacramento e ai Frati Domenicani di Morbegno/Regoledo di Cosio.

Negli ultimi anni si è ipotizzato che l’artista del ciclo cinquecentesco sia Luigi Valloni di Albosaggia (attivo dal 1557 al 1590 e allievo di Cipriano Valorsa, considerato il Raffaello di Valtellina). Valloni rappresenta benissimo il background artistico del Cinquecento Valtellinese: un’ arretratezza di fondo dovuta all’isolamento geografico e politico, la moda della copia da stampe nordiche e la semplice devozione popolare mista alla religiosità seria delle Confraternite.

Davanti alle due chiese c’è anche un ossario su cui sono affrescati due teschi che indossano un cappello cardinalizio ed una tiara papale: la morte accomuna qualsiasi ceto sociale.

 ❤ Miss Raincoat

Qui un bel video che ci mostra tutti i colori di Alfaedo.

Una passeggiata a Rodolo

Rodolo è una frazione del Comune di Colorina (SO), a 685 metri s.l.m., raggiungibile in auto da Selvetta di Colorina.

Il borgo, di origine tardo-medievale, ha una toponomastica del tutto unica in Valtellina. La sua etimologia non ha nulla a che fare con il robur, la quercia che caratterizza, per esempio, i vari Regoledo o Rogolo, bensì deriva dal nome germanico Rodulo (un tempo, si pensava anche all’assonanza con rodans = che rumoreggia, in relazione ai torrenti che lo circondano).

Sicuramente, a metà Cinquecento, faceva parte del “circuito” delle fortificazioni dei Vicedomini, potente famiglia nobile comasca trapiantata a Cosio Valtellino. La posizione del paese, in effetti, lo rende meno esposto ai venti e all’umidità del fiume Adda che, a quei tempi, infestava le pianure paludose dei territori interessati dal suo corso. Qui si sviluppò anche una felice cultura e coltura della castagna, che viene ancora fatta essiccare tramite un particolare processo di affumicatura. Perciò, la Storia di Rodolo segue una certa indipendenza da quella di Colorina, un campanilismo ben simboleggiato appunto dal campanile, che svetta quasi al limitare dell’abitato e che è la cartolina del villaggio montano.

vdettaglio.JPGLa Chiesa dell’Immacolata Concezione, inoltre, diventata parrocchia nel 1886, esisteva già almeno dal 1523. Dedicata, però, a Sant’Antonio abate, con un originario dipinto con la Gloria di Dio in abside, presenta varie attinenze con le realtà domenicane del Sant’Antonio a Morbegno e del San Domenico a Regoledo di Cosio.

 

 

 

 

 

**Per votare Rodolo sul sito del FAIiluoghidelcuore.it

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