Il Borgo di Berbenno

Ultima puntata su Berbenno, per poi passare alla sponda senza sole d’inverno!!!

Il centro storico di Berbenno è più o meno segnato dai confini della Chiesa dell’Assunta e del Municipio, insomma, il borgo attorno all’antico Castello di Roccascissa. A una decina di metri dalla chiesa, inoltre si può trovare un masso avello (probabilmente una tomba) denominato Cuna del Bau (La Culla del Diavolo).

A destra del Municipio, troviamo la cinquecentesca Casa Negri (famiglia di Grosio imparentata con i Lavizzari). Dentro la sua pianta a U, contiene un brolo (localmente chiamato singella; a Berbenno c’è pure una via centrale con questo toponimo). Il portale immette a un cortile porticato che un tempo era anche loggiato. In questa zona di Berbenno un tempo appariva il fuoco fatuo.

Spostandoci verso il ponte sul torrente Finale troviamo Casa Ponsibio già Odescalchi (famiglia di Como presente a Berbenno dal 1377) con addossata la Torre Capitanei. Anche questo edificio ha una tipica pianta a U con un piccolo cortile loggiato. Il sottotetto è decorato con una fascia con motivi geometrici e uccelli. Il fronte est ha dei portalini scolpiti; il fronte ovest ha un portale con lo stemma Sebregondi (protestanti molto ricchi a Berbenno, fino al Sacro Macello).

Scendendo in Via Roma troviamo l’Oratorio dell’Immacolata (1724). Apparteneva alla famiglia Noghera, di Polaggia, imparentata con i Parravicini. Molto particolare il portale con la chiave di volta a cuneo. In Via Garibaldi Casa Moncecchi, oltre a conservare il ballatoio in legno, ha un importante affresco entro finta cornice con i Santi protettori di Berbenno, ossia l’Assunta e San Giuseppe (il patrono).

Salendo in Via Crotti troviamo Casa Parravicini – Guicciardi. I Parravicini giungono a Berbenno tramite i matrimoni con gli Odescalchi. I Guicciardi di Ponte si impegnarono molto nel Sacro Macello come cattolici ferventi anche qui a Berbenno. Questo palazzo ha una pianta a L e sulla facciata si distingue il matrimonio degli stemmi delle due famiglie (la Sacra Famiglia è di fine Ottocento, invece). Questo palazzo diventò il Casino dopo il Sacro Macello, ossia la dimora estiva del parroco, che nel 1709 finanziò l’Assunta di Pietro Bianchi detto il Bustino sopra il portale.

Un personaggio molto importante e sentito dalla popolazione è San Bello. Il suo vero nome è San Benigno De Medici, nato a Volterra nel 1372. Troppo gracile per le penitenze, si impegna come pellegrino insieme a suo fratello che muore a Chiuro, mentre stanno andando in Svizzera. Dopo il lutto, Benigno si trasferisce il località Monastero da un amico, un certo Luigi Lupi, che gli fece assaggiare il Maroggia, un vino che lui amò. Tanti lo stimavano come figura religiosa, ma a Colorina lo presero a sassate. Si narra che i Colorinesi furono puniti dalla maledizione di non avere più vocazioni sacerdotali. San Bello muore qui l’11 febbraio 1472. La messa funebre fu celebrata dal frate domenicano del Sant’Antonio Andrea Griego da Peschiera (è il reliquiario di cera nel San Giovanni di Morbegno). A febbraio si ricorda la sua morte con la Sagra della Gallina.

Il grande ed elegante monastero di Monastero, a circa 650 metri slm, è del Seicento. La chiesa del monastero conserva la tomba di San Bello. Un tempo questa era impreziosita da un’importante trittico ora nel MVSA di Sondrio, dipinto da Alvise Donati nel 1512 (è una Madonna con Bambino in maestà di San Bello e San Liberale con la particolarità di una simbolica aquilegia viola).

Miss Raincoat

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Vittoria Ligari

Vittoria Ligari era una donna. Ma dai? Aspetta, sarò più specifica.
Vittoria era una donna settecentesca che decise che anche se le piacevano tanto i vestiti e dipingere, non le andava né di sposarsi né di prendere i voti. Era intelligente, bellissima, con un carattere indomito. Sicuramente, aveva ereditato il piglio dalla nonna paterna Mottalini, la quale era originaria di Rodolo – da dove discende anche la mia famiglia materna
😛

Vittoria Ligari nasce a Milano il 14 febbraio 1713, primogenita dell’indimenticato Pietro Ligari.
Era una fangosa giornata di pioggia quando venne al modo ma suo padre, conosciutissimo e apprezzatissimo in tutta la Lombardia e non solo nella Valtellina “svizzera”, le riservò un battesimo sontuoso quasi quanto quello della Principessa Indiana (dipinto da Pietro per la Cappella del Palazzo Sertoli Salis, oggi sede della Banca Credito Valtellinese a Sondrio).
Fu appunto suo padre ad insegnarle a dipingere e a volere che studiasse sia le nozioni scolastiche sia musica (a differenza del fratello Cesare, violinista, lei era abile nel canto e con il clavicembalo). Inutile dire che per Pietro lei era la figlia perfetta: ne andava talmente orgoglioso che nel Palazzo Salis di Coira la dipinge come impersonificazione della Musica.

Visita Virtuale Palazzo Salis di Coira (*cfr. il plafone della Sala Cinese con Vittoria che suona il liuto)

Con il fratellino Cesare non c’è mai stata alcuna rivalità. Anzi, Vittoria era l’unica capace di tenerlo a bada e lo ammoniva spesso. “Dipingi solo per dannato interesse!” gli ripeteva. Per lei, invece, l’Arte era tutto quello che la faceva stare in vita. Fu una collaboratrice instancabile nella bottega, sia per Pietro sia per Cesare. Non si allontanò mai dalla sua famiglia e seguì il fratello anche nella malasorte a Como, sfiorando di poco la bancarotta. Dopo la morte di Cesare e del piccolo nipote Cesarino, ritornò a Sondrio e si occupò degli orfani e della vedova Lucrezia. Sopravvisse al fratello per altri tredici anni, anche se dall’età di trent’anni assumeva laudano (un antidolorifico a base di oppio e alcool) perché dei dolori lancinanti l’assillavano in continuazione. Morì a Sondrio il 9 dicembre 1783.

Cesare, d’altro canto, la descriveva così: “non si è adattata ai soliti impieghi femminili”. Era un mondo ancora troppo virile. Di lei ci rimane un’unica opera firmata e varie attribuzioni (delle quali una è rimasta sepolta nella frana che cancellò per sempre Sant’Antonio Morignone nel rovinoso 1987). Secondo me, a lei importava ben poco di scrivere il suo nome – sapeva che, a un certo punto, in secoli migliori, sarebbe venuta fuori la verità. Vittoria dipingeva, intanto gli altri due, in pernicioso sottofondo, Pietro e Cesare, litigavano per i soliti motivi per i quali bisticciano genitori e figli…

Vittoria aveva uno stile soave, si può dire che aveva un delicato tocco femminile che suo fratello le invidiava (cfr. gli studi per le mani per l‘Addolorata e per i putti, eseguiti per opere che poi firmavano i maschi di famiglia). Le sue composizioni, semplici ma dettagliate, vengono tinte, però, con toni molto decisi.
Il suo ruolo in bottega era quello di restauratrice o di rifinitrice. Chi se non una donna poteva aggiungere i dettagli in un’opera? Quindi si può dire che in ogni opera ligariana ci sia anche lei.
Qualche volta poteva realizzare dei quadretti devozionali che la Bottega regalava in omaggio ai clienti, soprattutto delle Madonne del Buon Consiglio (i Ligari erano devotissimi a questo culto).
Qualche volta poteva realizzare le tele seriche, che servivano per celare spettacolarmente le opere titolari nelle chiese durante i giorni feriali.

Nelle sue attribuzioni, le mie preferite sono le due tele del dittico di Mosè – soprattutto per la conoscenza intellettuale delle fonti bibliche. Queste tele oggi appartengono alla Banca Popolare di Sondrio, ma originariamente furono commissionate dalla famiglia Odescalchi di Como. Le opere, molto moraleggianti e quindi ligie allo stile di papà, inscenano il rifiuto della regalità, espressa con un Mosé bambino che calpesta la corona e rifiuta il latte materno. Tuttavia, più che essere impregnate di drammaticità sono più delle calme sacre conversazioni: c’è molto calore rosso, molta armonia e molta ricercatezza.

L’unica opera che porta la firma di Vittoria Ligari è frutto di uno degli alterchi di Cesare. Pietro era morto già da quattro anni e la fama della bottega stava precipitando. Cesare non aveva ancora conosciuto nemmeno Giampietro Malacrida… Il cugino Pier Angelo Mottalini, parroco di Lanzada, aveva commissionato a Cesare una pala per l’Oratorio di Ganda. Dopo una tortuosa trattativa per il prezzo, Vittoria decise di dipingere e autografare l’Addolorata tra Francesco di Paola, Santa Maddalena e San Vincenzo Ferreri.
In una struttura poco complicata e piramidale, nella quale predominano il blu e il rosso, ci commuovinamo in un coivolgente abbraccio, un dolore collettivo, attorno alla sofferenza composta di Maria che invoca il Cielo mentre viene trafitta dalle iconografiche sette spade. Le tre croci sul Golgota sono messe sullo sfondo e l’unico segno di dolore scomposto è la posizione della Maddalena ai piedi di Maria, che porta lo spettatore ad identificarsi con l’approccio umano al compianto.

Vittoria Ligari era una donna.

Miss Raincoat

** Alcune letture consigliate dall’Unicorno **

Laura Meli Bassi “I Ligari: una famiglia di artisti valtellinesi del Settecento”

Angela Dell’Oca “La chiesa della Beata Vergine Maria dei sette dolori di Ganda e i suoi tesori”

Emanuela Nava “Tra la Terra e il Cielo: Pietro, Cesare, Vittoria Ligari – una famiglia di artisti” (questa è una lettura per bambini, ma le illustrazioni sono bellissime 🙂 )