“La Sorgente” di Jean Auguste Dominique Ingres

Dante, a naso, diceva che l’Amore move il sole e le altre stelle. Come contraddirlo? Il resto fa solo girare i co***i! Buon San Valentino ai fans degli Unicorni!

1820/56 – olio su tela di canapa – 163×80 cm – Museé d’Orsay (Parigi)

Quest’opera fu iniziata a Firenze (se notiamo, il tema è alquanto italianamente rinascimentale, sulla scia di Sandro Botticelli) e finita, in un secondo momento, a Parigi. Fu mostrata al pubblico quando Ingres, pittore belloccio assimilabile a Luca Argentero, era già un professionista di fama, molto copiato e con molti followers. Questa tela è considerata l’apice della sua esperienza nel Neoclassicismo, benché sia stata rivisitata anche dai colleghi delle Avanguardie, come Picasso e Degas.

Io la considero, più che iconica (perché di Ingres io conosco bene le Odalische), particolare. Ha delle dimensioni prevalentemente verticali, che la volevano collocata nel contesto di un’alcova (beh, in effetti il tema della “sorgente” – lì da da dove tutto inizia – ci sta); ha una base in tela di canapa (la quale conserva l’ineccepibile brillantezza dei colori nel tempo, firma indiscussa di questo artista) ed è una sorta di featuring, in quanto Ingres si avvalse della collaborazione di due suoi allievi per lo sfondo e il vaso.

Il modello iconografico è quello della Venere Pudica. In molti pensano che questo modo di rappresentare la dea dell’amore e della bellezza comporti necessariamente il fatto che lei si copra le vergogne. Al contrario, è un preciso scatto della vita intima della dea, cioè il bagno (simbolo di purificazione), quindi un modo di rappresentare un nudo non cafonazzo. Un porno poetico.

Le donne che rappresenta questo pittore, a mio avviso, sono le più sensuali di tutta l’Arte. Ingres le dipingeva sinuose e quasi innaturalmente allungate, in modo da ricercare delle linee arabeggianti. Inoltre, questo artista fa dei miracoli con i colori. L’incarnato delle sue muse risulta luminoso e vellutato, che sembra illuminato dall’interno, caldo, come se si potesse (quasi) toccare con mano. Ma non si può! In questo caso specifico la protagonista ha una posa esagerata, sembra quasi una statua messa in una nicchia di roccia, un naos greco, la cella sacra dove potevano entrare solo i sacerdoti del tempio.

L’elemento simbolico di questa composizione è l’acqua. La modella impersonifica una naiade, una ninfa delle acque dolci, immortale, guaritrice e profetica. Lei è la sorgente, sottomessa alle forze della Natura, ma che al contempo riesce a maneggiarle per creare l’amore e la vita. Di fatto, è lei che divide in tre l’acqua che sgorga dal vaso (simbolo del ventre): le grazie che poteva offrire la donna a un uomo, splendore, gioia e prosperità. L’acqua viene dipinta in un modo che fotograficamente definiremmo “con tempi di esposizione lunghi”, ossia spumosa e palpabile – come a dire che, anche se tutto scorre, per certe cose, per quelle là, ci si deve prendere tempo…

Il tutto è incorniciato da alcune specie floreali non scelte a caso. La margherita a destra è il fiore dell’innocenza; il narciso a sinistra è la vulnerabilità davanti all’uomo che vuole cogliere il fiore; infine, in alto, l’edera che tutto infesta: le emozioni forti e ingovernabili, l’estasi, ma anche la rigenerazione.

La modella era la giovane figlia, ipotizziamo quindicenne, della portinaia di Ingres. Alcuni critici dissero che il prezzo che la ragazza dovette pagare al pittore per vedere il suo sogno d’innocenza immortalato sulla tela per sempre fu la sua verginità. Parla, la gente purtroppo parla. Pensiamo soltanto a Paolina Borghese, la quale, qualche anno prima, fu scolpita da Canova praticamente senza veli su un materasso. Circolavano vari gossip sul quello che era avvenuto su quel divano, ma l’arguta principessa la chiuse così “Sì, certo, ero nuda davanti ad Antonio Canova, ma la stanza era abbastanza riscaldata!”.

Miss & Mr Raincoat

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Giovanni Gavazzeni & Rosa Pirola

Talamona, 1841 – 1907

Nel cuore del borgo di Talamona, in Casa Mazzoni, poco distante dalla chiesa parrocchiale, una casa silenziosa e celata dagli alberi, il pittore Giovanni Gavazzeni si era arrangiato la sua casa-studio.

Era un uomo taciturno, schivo, meticoloso – un orso buono. Aveva trascorso tutta la sua giovinezza all’Accademia Carrara di Bergamo, lontano anche dagli schiamazzi anti-austriaci (per quanto, al compimento del diciottesimo anno di età, lasciò per un breve tempo gli studi e marciò con Garibaldi su Sondrio).

Decise di tornare a casa sua, nel suo paesello orobico, lontano dal caos cittadino che detestava, e lì venne apprezzato dalla committenza ecclesiastica, nobile, borghese e perfino contadina. L’Accademia Carrara, lontana dal rettorato innovativo di Hayez a Brera , si ispirava al Settecento Veneziano e a Raffaello. Il Gavazzeni, anche se molto incuriosito dal tema romantico dell’incubo notturno, rimase sempre fedele al tema sacro inserito in paesaggi idilliaci o in interni dettagliatamente ottocenteschi. Quello che lui ricerca sono le emozioni semplici. Quello che lo ossessiona solo le cromie intense studiate scrupolosamente.

La critica, non trovandolo al passo con i tempi, lo snobba. Eccetto lui, sua maestà Vittore Grubicy De Dragon, il pittore-critico e mercante che aveva scoperto per esempio Segantini (amico del Gavazzeni e anche del Damiani). Lo incuriosirono, del Gavazzeni, i suoi sentimenti trasparenti così diversi dall’artificialità ampollosa dell’arte sacra tardo-ottocentesca. La definì un’arte delicatamente schietta, poiché l’artista aveva nel cuore un misticismo personalmente sentito.

Non sappiamo dove e quando cominciò l’intensa e tenera storia d’amore con Rosa Lucia Pirola di Masino (Ardenno), nata nel 1850 e figlia di Francesco, che concesse la mano della figlia al pittore di buonissima fama locale il 6 febbraio 1873 nella chiesa di San Pietro al Masino. Rosa seguirà il marito nella casa-studio di Talamona e lui la trasformerà nella sua Musa. Il desiderio inesaudito di diventare genitori, anche un’onta ai tempi, diventerà il tema nascosto e ricorrente della sua arte, anche se nel 1892 adottarono i figli del cognato, rimasti orfani (Carlino, Giovanni e Guido Pirola) – che fecero vivere nell’agio, viaggiare, studiare e amarono calorosamente.

Le sue Sacre Famiglie, come la Sacra Famiglia dei Fratelli Ciapponi in Via III Novembre a Morbegno, sono sempre pervase da un clima intimamente famigliare. Rosa, è sempre il volto di Maria, un volto dai lineamenti aristocratici; una Madonna rappresentata come madre timida e affettuosa. Il San Giuseppe, sempre anziano e sempre un autoritratto, si protende verso il Figlio ed è devoto e protettivo verso Maria.

L’amore per Rosa, nonostante tutto, non ha eguali nella vita affettiva del Gavazzeni. Forse, l’unica eccezione, potrebbe essere il legame d’amicizia quasi paterna con il poeta Guglielmo Felice Damiani (1875-1904). Insieme, furono pionieri della Storia dell’Arte della Bassa Valle.

Il Gavazzeni morì in casa sua a Talamona, a fine novembre, per una pleuropolmonite. Stava ultimando il Cristo Redentore per il Cimitero di Sondrio. Il caso vuole che, in carriera, per la Collegiata di Sondrio, aveva realizzato il Transito di San Giuseppe, dove Rosa, impersonificando Maria, gli bacia teneramente e disperatamente le mani; tre putti attorniano il capezzale (dei quali uno ci invita dentro la scena guardandoci fisso); Gesù, triste e composto, lo eleva al Cielo come suo padre putativo.

Il nostro pittore valtellinese riposa in pace nel Cimitero di Talamona. Sulla sua tomba, vicino al monumento di Egidio Guanella e la copia del Redentore, porta l’epitaffio <illustrò la fede con il pennello>.

Miss Raincoat

°*Letture consigliate dall’Unicorno°*

  • Giulio Spini, Renzo Fallati, Eugenio Salvini – “Giovanni Gavazzeni 1841- 1907”
  • Mario Vergottini, Simona Duca, Giampaolo Angelini – “Giovanni Gavazzeni . Pittore nella Valtellina di Fine Ottocento”
La “Madonnetta” – ossia il luogo dove ho conosciuto il Giovanni ❤

“Teodora” di Milo Manara

Milo Manara, anzi Maurilio, lo conosciamo un po’ tutti. È quel fumettista trentino che è riuscito ad affascinarci con la sensualità delle sue tavole con forme femminili quasi tridimensionalmente palpabili.

La sensualità delle donne di Manara la si ritrova nei dettagli: labbra sinuose, bocche socchiuse, capelli mossi e lunghi, pelle luminosa, nasini accennati, gambe affusolate, lati B perfetti – donne svestite al 99%.

Così, anche la nostra Teodora è quasi nuda, ad eccezione del manto dorato e dei gioielli bizantini.

Il personaggio viene incluso nella raccolta “Il Pittore e La Modella”, un viaggio artistico che Manara compie nella Storia dell’Arte. In questo disegno reinterpreta il mosaico di San Vitale in Ravenna, dove Teodora è rappresentata in posizione centrale con il marito. Per Manara, quindi, la musa – ossia la fonte d’ispirazione – deve essere una donna forte e trasgressiva, non un mero oggetto erotico.

Teodora nasce attrice e muore imperatrice. Teodora aveva un marito innamorato di lei. Teodora e Giustiniano furono una coppia anche nel potere, sebbene avessero pensieri diversi. Teodora fu la prima a parlare di pari opportunità nel divorzio (alla moglie doveva rimanere un quarto del patrimonio) e nell’adulterio (le pene erano le medesime per uomini e per donne).

Insomma, Teodora non era la bambola rotta che ci hanno voluto far credere i cronisti del suo tempo. Teodora non era nemmeno una bambola.

Alcuni dicono che il nostro destino è legato alla terra, che essa fa parte di noi quanto noi di essa… Altri dicono che il destino è intrecciato come un tessuto, cosicché il nostro destino ne intreccia molti altri… È la cosa che tutti cerchiamo di cambiare o lottiamo per cambiare, alcuni non lo trovano mai ma ci sono quelli che vi sono guidati! – Merida in “Ribelle”

❤ Miss Raincoat

“Sogni” di Vittorio Matteo Corcos

Vittorio Matteo Corcos è un pittore livornese – di origine ebraiche – novecentesco, di stile realista e legato agli ambiti della rivista letteraria fiorentina “Il Marzocco” (come Pascoli e D’Annunzio, per esempio).

I suoi soggetti abitano in un mondo brillante di ritratti femminili raffinati, ma anche quotidiani. In questo dipinto conosciamo una ragazza comoda su una panchina, dove hanno trovato riposo anche il suo bel cappello di paglia e un’altrettanto bella pila di libri – sono libri sul nuovo genere cool, la Fantascienza (e quel meraviglioso ombrello da passeggio!).

Sogni“, non a caso, è una delle sue opere più rappresentative. Se ci pensiamo, è la stessa belle époque di Mucha, però in versione tangibile, non è un poster stilizzato. La modella guarda fisso il pittore negli occhi: lo conosce, forse?

In effetti sì. Lei è Elena, figlia dell’amico (scrittore e fumettista) Augusto Vecchi, che i più conosceranno sotto lo pseudonimo di Jack La Bolina. Lei – si vociferava, dacché ai tempi non c’era nemmeno Instagram e la possibilità del selfie bastonato – era l’amante ventenne del pittore quasi quarantenne. Alcuni sostengono che fu un amore settecentesco, fatto di desideri, sospiri, brama e niente più. Qualche like e cuoricino ai selfie 🙂

Così come la sua omonima omerica,  Elena fece anche venire fuori un vero putiferio. Questo dipinto fu considerato scandaloso. Le gambe accavallate? Troppo poco decorose per una signorina! E lo sguardo? Troppo provocatore!

Corcos ha utilizzato la figlia del suo amico come simbolo di una società moderna, in cui le donne si stavano emancipando, sognavano un futuro in rosa come i petali sparsi sotto la panchina. Elena non ha bisogno di essere groupie di un pittore, cari amanti del gossip. Lei è una donna divertita, istruita, a tratti inquieta, bella e anche sensualmente libera: una persona che può guardare in faccia gli uomini – e che può anche sfidarli in duelli ben più intelligenti di quelli che si potevano leggere in “Madame Bovary”. Elena è Miss Novecento.

“Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” La Tempesta – W. Shakespeare

Galleria d’Arte Moderna di Roma, 1896

❤ Miss Raincoat