Giovanni e Amalia Venosta
Oggi ci portiamo in Alta Valle, precisamente a Mazzo di Valtellina (diventata famosa perché qualche anno fa vi si aggirava un orso turista) e a Tovo di Sant’Agata, entrambe terre dei Venosta, provenienti da Matsch in Tirolo.
Le fortificazioni dei Venosta dovevano proteggere l’accesso alla Valle tramite il Passo del Mortirolo. Ciò che ci rimane di questa rete strategica a sono la Torre di Pedenale, parte di un castello collocato tra i boschi sopra il borgo di Mazzo, e il Castello di Bellaguarda a Tovo. Le due strutture, entrambe del XII secolo, furono smantellate – così come gli altri edifici di difesa valtellinesi – a causa del famoso incendio voluto dai dominatori delle Tre Leghe a fine Quattrocento.

La nostra storia ha teatro a Tovo, tra i castagneti a più di settecento metri di altitudine, dove nascono rigogliosi e profumati i ciclamini selvatici. Giovanni Venosta di Mazzo aveva promesso amore eterno ad Amalia, figlia del Signore di Tovo, che abitava sulla rocca a pianta triangolare che svetta sulla radura sfruttando le varie contropendenze del terreno, la Bellaguarda. Ci collochiamo cronologicamente nel 1635, durante la Campagna del Duca di Rohan.
Dopo il Sacro Macello del 1620, la Valtellina era inevitabilmente diventata uno scenario della Guerra dei Trent’Anni, nella quale i nobili cattolici valtellinesi si erano uniti alla causa della Spagna. Nella prima fase, le Tre Leghe simpatizzavano per la Francia che, nel 1635, vinse Valtellina; allora, nella seconda fase, cambiarono partito e sostennero la Spagna. Nel 1635 la Francia calò nuovamente in Valtellina l’esercito comandato da Rohan, con quartiere generale a Tirano, il quale non solo non era intenzionato a restituire il territorio, ma se ne serviva pure come ponte per attaccare la Spagna “italiana” (ossia il Ducato di Milano). Giovanni Venosta militava a fianco dei francesi; il padre di Amalia, invece, faceva parte del clan del Robustelli. I cruenti avvenimenti del Sacro Macello, infatti, erano stati fomentati dal grosottino Giacomo Robustelli (sposato con una Planta, famiglia a capo della fazione cattolica delle Tre Leghe) coadiuvato dal duca di Feria, governatore di Milano, il quale aveva attirato a sé vari nobili locali cattolici poco affini alla politica grigiona. Nonostante nel 1635 si fosse trasferito a Domaso, che a quei tempi faceva parte del Ducato di Milano in mano agli spagnoli, riusciva ancora ad esercitare pressione sul suo partito, tant’è che parecchi nobili che lo avevano sostenuto nel massacro dei protestanti valtellinesi, continuavano ad opporsi anche alla pace tra Tre Leghe e Spagna. La Guerra, purtroppo, andò avanti fino al 1639 e le Tre Leghe riuscirono nell’intento di ritornare a governare la Valtellina.Il padre di Amalia si oppose fermamente al matrimonio con Giovanni e non solo per questi giochi di scacchiera; soprattutto, perché Amalia era già stata promessa a qualcuno di più prestigioso, ossia al nipote del nuovo governatore spagnolo di Milano, il cardinale Albornoz. Tuttavia, il loro amore clandestino andò avanti infuocato, finché…
A questo punto, storia e leggenda si fondono. Sappiamo dell’esistenza storica della Battaglia di Mazzo del 3 luglio 1635. Il Rohan aveva ritirato le sue truppe a Tirano; a Mazzo, intanto, come beffa, il papà di Amalia aiuta a nascondere degli uomini dell’esercito spagnolo tra muri, giardini e campi. Durante il controattacco, Rohan, grazie all’astuzia di far crollare il ponte sul fiume Adda, riesce ad imprigionarli (tant’è che molti, per morire con più gloria, preferirono suicidarsi gettandosi in acqua): ne morirono a centinaia. Rohan si vede costretto ad assalire anche la rocca di Bellaguarda, dato che era stato sfidato. Amalia, che già aveva visto andarsene la madre in tenera età, muore di crepacuore poco dopo che il Rohan lascia il cadavere di suo padre riverso a terra nel sangue.
Rientrato a Tirano, Rohan dà la notizia della vittoria al suo esercito. Il capitano Giovanni Venosta, che non aveva partecipato attivamente alla battaglia di Mazzo, non può permettersi di festeggiare e chiede al comandante di potersi recare sul posto. Purtroppo, trova la sua amata Amalia già sepolta e decide, sui due piedi, che il suo cuore non sarà più di nessun’altra e, perciò, di ritirarsi in un convento.
I sentieri che portano al Castello di Bellaguarda sono solcati da un torrente di fama sinistra. Esso infatti, non si può vedere (o meglio, quando emerge porta solo sciagure), ma silenzioso e invisibile, ha scavato la roccia sottostante dando origine a numerose forre. Le piante fitte che mettono in ombra il poggio, inoltre, sembrano essere, tramite il vento, animate da lamenti simili a quelli di una donna che piange. Nella sua fuga disperata, Giovanni in sella al suo focoso destriero nero, perse la vita cadendo in un precipizio, rimanendo eterno nelle terre dell’uomo che gli negò la felicità.

❤ Miss Raincoat
dal film “Tristano e Isotta”
“Oggi, al mercato, ho visto una coppia che si teneva per mano. Noi non potremo mai farlo. Mai per noi queste cose, mai un anello. Solo attimi rubati che fuggono troppo in fretta” Isotta