“Notte di Primavera” di Alphonse Maria Mucha

Mucha si pronuncia [‘muxa], come l’animale pezzato senza una “c” e, l’altra “c , rimasta orfana, aspirata. Ecco, lui è un pittore ceco (senza “i”, ché ci vedeva benissimo) francesizzato. Ce lo ricordiamo per il suo essere portavoce del lusso decadente dell’Art Nouveau, con il collega Gustav Klimt. Ce lo ricordiamo perché le stampe sgargianti e tipografiche delle sue rêveries de la fin du siècle vengono ancora esibite nei bar del centro che scimmiottano Parigi, anche con il listino prezzi. Eppure è un pittore che spende tutto il gruzzolo accumulato con la sua fama per un impeto finale di patriottismo, nell’enormità dell'”Epopea Slava“. Eppure fu uno dei primi cecoslovacchi ad essere arrestato dalla Gestapo.

Questo dipinto del 1910 sintetizza tre aspetti dell’artistica di Mucha:

  • L’attinenza con l’ambiente massone  L’artista credeva che l’Arte fosse universalmente un mezzo di comunicazione, non un mero oggetto estetico. Parimenti, non credeva nell’esistenza del concetto di minoranza etnica. Perciò, a fine Ottocento si unisce alla Loggia Parigina, in un clima di libertà, uguaglianza e fratellanza e nella convinzione che la verità assoluta potesse essere raggiunta solo con l’elevazione spirituale. Qui la figura femminile indossa un bracciale a forma di caduceo, uno dei simboli massoni che indica il raggiungimento dell’illuminazione spirituale.

  • La figura emblematica della donna –  Le donne di Mucha sono seducenti, dolci, delicate e attorcigliate a motivi naturali, nello stesso modo dei mosaici bizantini. Anch’esso è un prosecuio dell’ideale di universalità, dove il tutto si mescola liricamente con il tutto , come nel panismo della “Pioggia nel Pineto” di D’Annunzio. Qui i due personaggi reggono dei rametti di ciliegio, simbolo della Primavera e dell’essenza effimera della vita, nel suo momento di splendore.

  • Il legame con il Teatro – Mucha deve il suo successo al poster per la “Gismonda” dell’attrice Sarah Bernhardt e nelle opere del periodo americano, come questa, il layout grafico lascia spazio a scene più idilliache. Qui è rappresentata una delle tre storie aggrovigliate, come la natura dalle larghe braccia di Mucha, dell’intrigo di “Storia di Una Notte di Mezza Estate” di Shakespeare. Titania, Regina degli Elfi, bellissima e intelligentissima, viene colta da un incantesimo nato da un errore grossolano di Puck, il servo-elfo di Oberon, suo marito e si innamora di un sarto/ attore dilettante, Nick Bottom, che a sua volta era stato trasformato da Puck in un asino. È una notte fatata, in cui una meravigliosa creatura impazzisce per un grezzo e rude artigiano. Una notte e basta. Ma chi può dire cos’è sogno e cos’è realtà?

    Più info su “Sogno di una Notte di Mezza Estate”

“Corro di notte / i lampioni le stelle / c’è il bar dell’indiano / profuma di te /
rido più forte / mi perdo nell’alba  / sei in tutte le cose / e in tutte le cose 
esplode / la vertigine che ho di te – F. Michielin in “V come Vulcano”

** I riferimenti a Nick Bottom sono da ritenersi puramente casuali. Se non lo fossero, avremmo citato anche le Capre Bionde dell’Adamello.

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Cronache da Amantea e dintorni

*Giorno 6*

In quaranta minuti (55 km) ci è stato possibile raggiungere uno dei gioielli della costa tirrenica calabrese, Pizzo Calabro. La giornata è passata in un battibaleno tra i racconti di mio papà su Gioacchino Murat (che mi è parso un figo, moro e con gli occhi azzurri), frammentati dalle descrizioni delle armi ottocentesche gentilmente fornite da mio fratello, e tra le scoperte culinarie che ho fatto con mia mamma “Da Poldo” (piccola paninoteca, forte anche negli antipasti, enorme in ingredienti e cortesia) e  l’artigianalità nostrana del celebre Tartufo di Pizzo. 

Punto fermo della nostra visita è stato il Castello Murat di Pizzo.

Il sito è aperto tutti i giorni fino alle 19.Durante il mese di luglio e agosto è possibile visitarlo anche in orario serale, fino a mezzanotte nei weekend. Il prezzo d’entrata è 3€ (riduzione per gruppi 15 pax, anziani 65+, ragazzi 6-12; gratis disabili e bambini fino ai 6 anni). È possibile scattare fotografie, ma ovviamente senza flash. Più Info

Il castello, nato come Torre Mastia, risale al XIII secolo, voluto da Ferdinando I d’Aragona (nel 1480 aveva possedimenti da Reggio Calabria, a Crotone fino a qui, nel Golfo di sant’Eufemia) come postazione di avvistamento della pirateria saracena. Non fu mai una residenza, bensì una fortezza/carcere. Il prigioniero più famoso del Castello di Pizzo fu Gioacchino Murat, il cognato di Napoleone che proprio qui venne fucilato. All’interno del monumento è possibile visitare una ricostruzione degli ambienti durante gli ultimi giorni di Murat (compresa l’ultima lettera olografa alla moglie) ed una collezione di monete. Dalla Terrazza è possibile ammirare il Golfo di Sant’Eufemia e la Piazza Repubblica (con il busto di Umberto I).

Gioacchino Murat, figlio di un locandiere, nasce in Francia nel 1767 (a La Bastide -Fortunière, oggi piccola frazione sui Pirenei a 2 ore da Tolosa) e, una volta arruolatosi nel Reggimento Cacciatori, fa ben presto carriera diventando Ufficiale. Al fianco di Napoleone, fu un grande comandante  che, nel 1800, sposò addirittura Carolina, sorella di Napoleone. Nel 1808, come Re di Napoli, si distinse, seppur regnando per poco, per le riforme amministrative, giudiziarie e sociali. Nel 1815, con la caduta di Napoleone, cercò di “salvarsi le penne” dichiarando guerra all’Austria e chiamando a sé tutta l’Italia, sottoscrivendo il primo documento che parla di Italia Libera ed Indipendente (Proclama di Rimini) e rifugiandosi in Corsica. Tentò la sua personale “reconquista” nell’ottobre del 1815 sbarcando a Pizzo; in seguito ad un rocambolesco inseguimento venne imprigionato e fucilato nel Castello in data 13 ottobre (è sepolto nella Cattedrale di San Giorgio, sempre a Pizzo). Prima di morire , disse “Mirate al cuore, salvate il viso!“.

Poi, non abbiamo dimenticato la Chiesa Matrice/Duomo di San Giorgio (in pomposo stile barocco del 1632), al centro del paese, maestosa sia dentro che fuori, con la tomba di Gioacchino Murat e varie statue di pregio. Vicino al suddetto Poldo, dove abbiamo trovato ristoro, non abbiamo nemmeno trascurato la Chiesa della Madonna del Carmine (del 1579, è la più antica di Pizzo), piena fino all’orlo di statue e affreschi che, però, hanno tutti il loro spazio ordinato.

Da Poldo

Dopo aver sbaffato un Tartufo nella parte più bassa del paese, chiamata Marina di Pizzo (non prima di aver sbagliato strada anche con il Navigatore, approdando alla Stazione e sorbendoci un casello chiuso, come se ci mancasse pure in vacanza!), abbiamo fatto anche una toccata e fuga anche alla Chiesetta di Piedigrotta, scavata nel tufo come ex voto da un gruppo di naufraghi napoletani, durante il Seicento. Più Info

 

Tartufo di Pizzo

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Cronache da Amantea e dintorni

*Giorno 2*

Il secondo giorno ci siamo svegliati con un’irrefrenabile voglia di fare i turisti, quelli che camminano e osservano facendo finta di essere Alberto Angela . Io, lo ammetto, sono una guida semplice, non riesco a starmene tutto il giorno in spiaggia; in più, come ho già spiegato, ho la pelle bianchissima, tant’è che a volte non basta nemmeno la protezione solare più potente del mondo (e al mare ci si scotta anche all’ombra, no?). L’albergo – abbiamo già visto- era a pochi passi dal centro storico, perciò ne abbiamo approfittato e ci siamo inerpicati impavidi tra le sue stradine scoprendo scorci e gioielli in ogni angolo…

Amantea fu una città della Magna Grecia, conosciuta come Nampetia (ossia “nuovo accampamento”); dopo la conquista araba il nome cambiò in Al-Mantiah (ossia “la rocca”). Guardandola dal basso, in effetti, sembra quasi trattenere il fascino sornione delle isole greche, ma appena presa la prima via del centro,  i palazzi seicenteschi e il carattere “moresco” la proiettano già in secoli diversi. Al turista indeciso, io consiglierei di buttare un’occhiata ai maestosi ruderi del Castello, al Convento di San Bernardino e alla Chiesa dei SS. Madonna del Carmine e Rocco. 

La Chiesa di San Bernardino, quattrocentesca, si raggiunge tramite una scalinata omonima (*cfr. foto in copertina). All’epoca della sua costruzione, questa porzione di abitato era quasi completamente deserta; oggi, invece, ci regala una panoramica privilegiata su Amantea bassa. Il complesso è contraddistinto da un portico ad archi che introduce e al portale e al chiostro laterale. Quello che mi ha colpito dell’interno sono, oltre al tipico stile castigato francescano e goticheggiante dell’insieme,  1) la reliquia della porzione di pelle di S. Antonio da Padova e 2) il busto, l’iscrizione e lo stemma di famiglia del nobile di Amantea  vescovo di Termoli Antonio Mirabelli. Nel chiostro, invece, si possono osservare la campana in bronzo originaria e, attraverso delle vetrate, le canalizzazioni originarie del Convento

Più info sul Convento

Percorrendo tutta la scalinata, si arriva alla sommità del borgo, in una piazzetta mozzafiato sul Tirreno, che ospita una chiesa e la veduta migliore, alzando il nasino, sul Castello.

La Chiesa del Carmine fu edificata a fine Seicento su un tempio pagano dedicato al Sole; inoltre, conserva i resti di una statua colpita da un fulmine. Il Castello, che domina Amantea, un tempo era formato da un Mastio al centro e al lato la Chiesa di S. Francesco (che fu anche moschea); fu edificato circa nel 1100 e serviva come presidio dalle incursioni dei corsari.

Più info sul Castello

Quindi, nonostante il litro di Acqua Calabria (sempre lei, La Diureticissima) che ho dovuto bere per riprendermi, direi che la cavalcata verso la cima di Amantea sia stata sorprendentemente emozionante, non solo perché vedere tutto dall’alto per me ha sempre avuto molto fascino, ma anche perché il rumore del nuovo e il silenzio del vecchio in questa cittadina formano un connubio quasi musicale. Ah, i miei complimenti più sinceri a quella nonnina che si è fatta due volte la scalinata in 15 minuti! 

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