Per marzo, mese muliebre, ho scelto questo dipinto. Punto primo, perché Circe è una tra le villain women omeriche e io adoro i “cattivi” delle storie che, spesso, sono quelli con caratteri più interessanti e noir. Punto secondo, perché il sig. Casadellacqua fa parte della mia amatissima combriccola dei Preraffaelliti.
Facciamo un breve ripasso. I Preraffaelliti sono stati una Confraternita, un gruppo di folli ragazzacci, che avevano per religione l’Arte. Guardavano con nostalgia il passato, più che altro perché le gorgiere vittoriane erano un po’ troppo pudiche. Credevano ancora nelle favole, ai draghi, alle principesse e alle fatine dei boschi. Le loro muse erano le loro donne, amiche, amanti, compagne – così intime da divenire le protagoniste inquiete e tragiche dei loro dipinti. La donna, nell’arte preraffallita, è principalmente femmina. La femminilità è il simbolo del ritorno alla Natura vista come una sacralità perduta. Quindi, le sorelle preraffaellite sono delle donne disturbate, irrazionali, energiche, magiche – la donna provoca e dissacra la gerarchia patriarcale che le vuole domare; le buone maniere si lasciano alle femminucce, contrapponendo la semantica della perdizione attiva a quella dello smarrimento passivo. Il tratto visivo che più esprime questo concetto sono le labbra rosse e carnose.

Questo dipinto ha per protagonista la maga Circe, dominatrice della scena dai colori sporchi, mentre offre la sua pozione in una coppa a Ulisse. Sta cercando di soggiogarlo dalla sua posizione sopraelevata come il resto della sua ciurma (lo possiamo vedere nello specchio dietro il trono, che simula la profondità veritiera alla composizione – a me sembra anche una sorta di aureola santa). Circe aveva il potere e sapere erboristico di trasformare gli uomini in animali; infatti, i maialini che vediamo ai suoi piedi è sono i marinai greci dopo la cura. Sembra che stia per alzarsi per andare vicino a Ulisse, molto vicino…
Chi era Circe? Troppo poco rispettoso definirla una seduttrice, un’ammaliatrice, una portatrice di sciagure… Spietata, sicuramente. Ma questa è la storia raccontata da Omero, al quale piacevano queste protagoniste un po’ perturbate per animare il suo racconto.
Circe era una mezzadea, figlia del Sole e zia di quella povera diavola di Medea. Viveva sola in una villa sfarzosa, tutta di marmo, immersa nella vegetazione mediterranea del Circeo. Era molto bella, portava una chioma riccia agghindata in lunghe trecce, nessun vestito o gioiello, e il suo canto riusciva ad attirare qualsiasi uomo. Inoltre cucinava da dio e, come digestivo, preparava delle bevande avvelenate che trasfiguravano i pretendenti in animali diversi, a seconda del carattere (quindi chissà perché mai i marinai divennero maiali…). Omero li difende raccontandoci che, poveretti, erano stanchi perché avevano appena sfidato i Lestrigoni e il mare in tempesta. Ulisse, invece, bara aiutato da Mercurio che gli offre dell’erba per renderlo immune all’incantesimo.
E che succede? Oh, chiaro. Circe si innamora di Ulisse perché ha una bella barba mora e, soprattutto, perché è l’unico uomo che è riuscito a opporle resistenza e a tenerle testa. Ulisse, che in effetti è l’uomo dal multiforme ingegno, cede, ha una torbida storia d’amore con lei (anche un figlio) e la convince a ridare le sembianze umane ai porcellini. Dopo un anno, i marinai annoiati convincono Ulisse a ripartire per Itaca. E sarà Circe a metterlo in guardia da altre possibili seduzioni. Ulisse si giustificherà del tradimento alla moglie dicendo che Circe le ricordava Penelope, aveva lo stesso sguardo fiero, ma aveva fatto un grave errore perché Penelope non avrebbe mai abbracciato uno straniero…
Circe dai riccioli belli, dea tremenda dalla voce umana. Accanto a lei, montani lupi e leoni falbi, che mansuefatti avea con le sue bevande, stavano a guardia del palagio eccelso.
Circe, in quanto donna, è ciò che non si può comprendere, ciò che è incomprensibile, incontrollabile e, perciò, è vista come pericolo. Nell’antichità era un bell’esempio di anticonformismo. Non era sottoposta al controllo maschile ed era conscia del suo potere; è il simbolo della femminilità che prende l’iniziativa. Nell’Odissea è vista come la più temibile, la selvaggia maga-puttana, ma è lei ad avvertire Ulisse del pericolo delle Sirene e non è stata lei a promettere l’immortalità ad Ulisse pur di non perderlo, quella è Calypso.
Dopo la partenza di Ulisse, Circe rimane da sola a giocare con l’amore e con la gelosia senza perdere la sua alterità irriducibile. Infondo, per metà umana e per metà dea, è schiava e padrona del caos.
Mortale caparbio pieno di quel breve sogno che tu chiami la vita; innamorato delle tue debolezze e dei tuoi peccati; affascinato dalla morte. Contro una simile ostinazione anche gli dei sono senza potere. Va dunque! Poiché l’hai scelto: il mare ti aspetta!
Circe a Ulisse in “Ulisse , film del 1954
❤ Miss Raincoat