“Madonna delle Arpie” di Andrea del Sarto

Ogni tanto mi prendono le fisse. Questo mese mi è presa bene con questa tela

Il 3 ottobre 1517 è una data che si studia a scuola: è il giorno in cui Martin Lutero frattura la Chiesa con la sua Riforma. La parte Cattolica risponde con un tentativo di rinnovamento e di detersione (dacché Lutero non è che si fosse inventato i peccati degli altri…) imponendo anche agli artisti una certa linea di marketing improntata sulle immagini apocalittiche del Giorno del Giudizio. Questa tela che andremo a conoscere è infatti datata 1517. Il committente era un frate francescano, governatore delle suore di San Francesco De Macci a Firenze. Curiosità: il convento, oltre alle monache, accoglieva le cosiddette malmaritate (quelle donne che non potevano essere sostentate dai mariti, carcerati o malati). Perché la adoro? Anche Giulio Carlo Argan mi avrebbe dato ragione: i colori sono porno!

Eppure, come sempre, una tela così austera, semplice e maestosa non può che avere una decifrazione a dir poco complicata. Cercherò di spiegarvela bene…

1517 – olio su tavola – 207*178 cm – Uffizi (Firenze)

Cominciamo a dire che lo stile è il Manierismo, un Rinascimento 2.0 in cui gli artisti, invece che imitare la Natura, imitano i Maestri (oggi diremmo gli Influencers, perché Michelangelo, Raffaello, Donatello e Leonardo lo sarebbero stati!!!), creando un’arte instagrammabile, zeppa di filtri colore e pose innaturali, al fine di arrivare a un risultato da bava per terra.

E finiamo le ovvietà constatando che abbiamo davanti una Madonna con il Bambino in piedi su un basamento con otto facce (l’8 è il numero dell’Eterno), le quali riportano l’altorilievo di figure meglio identificate come le Arpie. A destra abbiamo un San Francesco e a sinistra un San Giovanni Evangelista, ghostwriter dell’Apocalisse. L’eccentricità pregnante dell’opera è il fumo che s’innalza dal piedistallo.

Quello che mi affascina di quest’opera è che è universale. Nella sua trascendenza, è più mitologica che santa, esula dall’essere cattolica, cristiana o la-qualsiasi… dà solo una spiegazione e una direzione all’essere umano e alla ragione ultima della sua permanenza in Terra. Come per dire: in qualcosa devi pur credere, dato che polvere sei e polvere ritornerai. Questa cosa non ti fa paura, comune mortale incline al peccato? Insomma, l’Apocalisse è la parte più horror della Bibbia.

Spesso, ai piedi dell’Immacolata troviamo un iconografico serpente che lei calpesta prevalendo sul Peccato. Qui sono state messe delle arpie, che sono appunto delle creature della fantasia classica e non del repertorio sacro, che ben ci descrive Dante: rapaci, rabbiose e avverse all’umanità. Alcuni critici (quelli con i discorsi da spogliatoio facile) attribuiscono la scelta alla malcelata omosessualità dell’Andrea che, comunque, era sposato. Io aggiungerei che era sposato con un’arpia che, con la sua insensata gelosia, lo allontana dalla possibilità di carriera e lo lascerà morire da solo. Va beh…

La spiegazione delle Arpie ce la fornisce San Giovanni. Nell’Apocalisse c’è un momento in cui il Quinto Angelo apre il Pozzo dell’Abisso, dal quale fuoriescono tanto fumo e tante Arpie (delle cavallette con testa di donna e coda di scorpione). Tali Arpie non potevano danneggiare nulla se non gli uomini sprovvisti del sigillo di Dio impresso sulla fronte. Gli uomini senza sigillo non sarebbero stati uccisi, bensì torturati per cinque mesi dalle Arpie, tant’è che avrebbero desiderato di morire, ma la morte li avrebbe scansati. Quindi, Maria non è su un piedistallo, ma sta sottomettendo il Pozzo. In questo eterno dualismo di peccato e santità intrinseco alla natura femminile, Maria è qui un’Immacolata, tema molto caro all’ambito francescano. Se anche gli angioletti ci potrebbero far pensare a un’Assunzione, se si guardano le loro espressioni di fatica, capiamo che il corpo di Maria non è sollevato, bensì compresso. La Madonna è colei che con fatica chiude ermeticamente la sofferenza alla quale è costretto solo chi vive in maniera impura, perché lei perdona tutti se vogliono redimersi. (Ricordiamo che la Redenzione è un concetto solo Cattolico!).

Passiamo ai co-protagonisti. Di San Giovanni abbiamo capito il ruolo. Lui ha scritto questa storia. Inoltre, tra gli Apostoli, nonostante sia scappato come gli altri dall’Orto dei Getzemani e fu testimone al Processo, fu l’unico dei dodici presente alla Crocifissione e a lui Gesù affidò sua Madre. La presenza di San Francesco, invece, non ha solo una definizione prettamente relativa alla committenza. O meglio, ovviamente, è il padre dei Francescani. Ma come giustificare la sua presenza solitaria in una scena dell’Apocalisse? Perché non un altro Santo? Figlio amatissimo di Maria poiché le stimmate ne emulavano la Passione, diventa qui il Sesto Angelo, colui che appone sulla fronte dei giusti il sigillo di Dio sulla fronte (ossia una tau con le sue mani). Di fatto, i Francescani Conventuali che pagarono quest’opera erano molto più devoti a San Bonaventura, ma volevano ricordare ai Francescani Osservanti che il loro padre era il medesimo e che potevano stare tranquilli: anche se la loro regola era più addolcita e avevano meno privilegi concessi dal Papa, la loro vocazione restava pura e sincera. Siamo amici, ma…

Andrea Del Sarto voleva realizzare un’Immacolata che non fosse solo una Madonna con Santi. Direi che ha centrato il suo scopo, tant’è che nel 1704 la sua tela finì nella Collezioni Medicee.

Miss Raincoat

Placebo “Special K”

Can this saviour be for real?
Or are you just my seventh seal?
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Andrea Lanzani a Morbegno

La committenza di don Giambattista Castelli di Sannazzaro

Per quanto riguarda l’Arte Religiosa, l’arciprete di Morbegno fu un mecenate equiparabile solo a Giampietro Malacrida e, non a caso, la Collegiata di Morbegno, da lui fortemente voluta, è considerata una pinacoteca del Settecento Valtellinese.

Proveniente da una delle più antiche e nobili famiglie morbegnesi (il Palazzo Castelli di Sannazzaro è sede del Municipio), prima di dedicarsi alla carriera ecclesiastica aveva conseguito una laurea in utroque iure (ossia in Legge) e viaggiato molto, specie in Austria. A Milano, era un canonico molto stimato, tant’è che aveva intrecciato numerose relazioni sociali sia nel mondo della cultura, sia nel mondo della politica. Rientra a Morbegno, la città natale, per rivestire la carica di arciprete e, appunto, sarà lui a dare impulso alla fabbrica del nuovo San Giovanni.

Vari dipinti che rivestono la chiesa provengono, infatti, dalla sua collezione privata; come per tanti nobili del suo tempo, amava comprarsi opere d’arte. Conosceva personalmente tutta la famiglia Ligari e il ciclo “maledetto” (dal furto del 1995) delle tele ovali “delle Sibille e dei Profeti” fu un suo capriccio che commissionò a Pietro. E fu lo stesso Castelli di Sannazzaro a chiedere allo stesso Pietro di accontentarsi di metà del compenso per la decorazione del presbiterio, in modo da lasciare una gloriosa opera di beneficenza sotto gli occhi di Dio. Ben diverso il temperamento del figlio Cesare, il quale lascerà la committenza al Palazzo Malacrida a metà perché non voleva essere pagato come un imbianchino.

Giambattista Castelli di Sannazzaro muore a Morbegno nel 1696. Il cantiere del San Giovanni, iniziato nel 1680, si protrarrà fino al 1780.

Andrea Lanzani (Milano, 1641 -1713)

Questa personalità artistica si fa portavoce della transizione dell’arte milanese dal Manierismo (sulla lezione di Leonardo) al Barocco. Ne deriva un’arte monumentale che, al contempo, provoca un’intensa partecipazione emotiva ed empatica.

Il Lanzani proveniva dall’Accademia Ambrosiana, fondata dal cardinale Federico Borromeo (cugino di San Carlo) per mettere la Cultura al servizio della Gloria di Dio. In parole povere, era la fucina dell’Arte della Controriforma che utilizzava l’immagine artistica come propaganda in antitesi alla Riforma: censurare il peccato e spettacolarizzare la santità per veicolare il messaggio che “se ti penti, sei ancora in tempo…”.

Don Castelli di Sannazzaro aveva in collezione vari pezzi dell’Accademia e, probabilmente, conosceva bene anche il Borromeo. Per la Cappella di San Giuseppe presso il San Giovanni, nonché la cappella di famiglia, sceglie e dona una tela del suo pittore preferito, Andrea Lanzani.

Nel 1674, il Lanzani si trasferirà da Milano a Roma dove entrerà in contatto con Carlo Maratta, un maestro che, a sua volta, aveva conciliato il Manierismo con il Barocco eludendo gli eccessi retorici: un’arte che va subito al dunque, severa e magniloquente. Il Lanzani porta questa innovazione a Milano. Si può dire che fu il modello per l’arte di due pittori valtellinesi del Primo Settecento, Pietro Ligari e Giacomo Parravicini detto il Gianolo.

“La Morte di San Giuseppe”

La tela che il Castelli di Sannazzaro regala alla cappella di famiglia, la Cappella di San Giuseppe, è firmata da Andrea Lanzani e datata 1679 sul manico del martello ai piedi del letto. In realtà, non la vide mai al suo posto perché la cappella sarà ultimata nel 1715. Lo stesso, lascerà un’altra opera del Lanzani alla Chiesa di Campovico, frazione retica di Morbegno (“Immacolata” del 1684).

Dai Vangeli Apocrifi, apprendiamo che San Giuseppe muore a 111 anni, sereno e circondato dall’amore. Era stato quell’uomo che, dal basso della sua umanità, aveva accettato il disegno divino e, perciò, gli fu concessa la grazia di una morte lieve.

Il Lanzani dipinge un Gesù che regge tra le sue mani la testa del padre putativo (“che si è comportato come tale”) e guarda verso l’alto, verso il Padre e glielo affida capovolgendo il ruolo genitoriale; gli Angelo che vanno incontro all’anima di San Giuseppe; Maria (la moglie) e Maria (la sorella) al capezzale. Il punto di fuga alto ci permette di cogliere bene tutta la scena, particolari compresi. Sparsi per terra ci sono i vari attrezzi dell’attività di falegname di Giuseppe.

L’opera esprime tensione e intensità nei volti che, con il loro dolore trattenuto, coinvolgono nel lutto lo spettatore. La composizione, comunque, sulla lezione del Maratta, non perde grazia poiché pulita e geometrica. Di fatto, anche con i colori luminosi già quasi proiettati nel Settecento, la scena è leggera e intima. La falcata di luce diagonale, molto meno violenta dello stile caravaggesco, illumina l’episodio di sacralità.

Anche a livello artistico c’è un transito: questa tela è antesignana di una Rivoluzione Artistica. La gioventù artistica lombarda era stufa della formalità di un’arte castigata e bigia; voleva il colore, la luce e l’aria. I motivi ricorrenti del Settecento italiano saranno, appunto, il colore vibrante, il volo e la prospettiva squarciata verso cieli infiniti.

Quelle di Morbegno, per il Lanzani, sono esempi della sua artistica giovanile. Pochi anni dopo si trasferirà a Vienna, da dove la sua carriera decollerà a livello europeo.

*il reliquiario in cera contiene le ossa
del Beato Andrea Grego da Peschiera

Miss Raincoat

Caro Babbo Natale,

Per quest’anno, siccome sono stata molto brava…

No, voglio essere sincera. Quest’anno non sono stata poi così tanto brava. L’anno scorso, però, ti avevo chiesto una certa cosa sotto il vischio e avevo pure aggiunto di sapere benissimo che è vietato coglierlo e, per non darti problemi con la Forestale, ti avevo detto che andava bene pure senza.

Lo so… non è stata una mossa furba svegliarmi accanto a uno dei tuoi folletti e poi defilarmela…. Ma –che cavolo– la Befana doveva assolutamente portarmi un regalino di consolazione, dato che tu ti sei dimenticato di me in un anno in cui davvero mi ero comportata da brava bambina, senza dire le parolacce, essere troppo selvatica, fare mosse azzardate, epurando la mia sincerità dalle cattiverie ed equilibrando cause – fatti – conseguenze.

Allora, non biasimarmi se quest’anno, accettando di essere nata in un dì di vento, non mi sono più accontentata e ho voluto anche l’uragano, compresi i cocci del giorno dopo, che ho raccolto e ricucito insieme, come riuscivo.

Perciò, che cosa vorrei per quest’anno?

Un unicorno.

Tu dirai che gli unicorni non esistono o che li vedo solo io, perché tu sei un uomo rude del Nord, abituato a Renne, Bombardino e Rock’n’Roll. Io dico che gli unicorni, se ci badi bene, sbucano fuori sempre al momento giusto (non serve andare nei boschi, a volte basta girare l’angolo dopo 8 ore di lavoro; anch’io ero sicura che li avvistassero solo in Valmalenco o in Osteria, neh!). Sono quelle cose che sono sbagliate, folli, amorali, impensabili, improvvise, fairy as a star when only one is shining in the sky, ma che ti fanno sentire felice e sprizzante di quella polverina magica che accompagna il loro frettoloso trotto:  se non ci  stai attento passano e non te ne accorgi nemmeno….

Ti prometto che ridurrò ai minimi storici le strette di mano, o come cavolino di Bruxelles le vuoi definire, penserò al bene dei miei folletti-turisti, alle coronarie del mio Capo A. e alla meta del mio viaggio di compleanno, che vorrei tanto fare ma non so ancora dove. Ma con unicorno in giardino, sarebbe tutto diverso, non credi? Magari riuscirei a cacciarmi meno nei guai per andare a caccia di farfalle (nello stomaco).

Klaus, insomma, per quest’anno ti chiedo di portare pazienza: ho deciso di essere me. Tu te lo ricordi, vero, quanto era stato straziante avere il Suo regalo sotto l’albero e, al momento di scartarlo, Lui non c’era più? Non voglio più vivere quella sensazione di essere sbagliata, penitente, dimenticata, come se qualcuno mi avesse tolto il diritto di vivere la mia vita. Oggi che sono felice, voglio continuare ad esserlo.

Vorrei tanto un unicorno. Perché… Voglio tenere in mano ciò che mi fa sentire viva come una bolla di sapone. Voglio volere quello che voglio (senza sentirmi in colpa) e credere a Babbo Natale anche se ho quasi 28 anni. Non me ne importa del finale, voglio una storyline avvincente, insomma.

Perciò, ti prego di fare il possibile quest’anno. Lo so che l’anno scorso ti avevo chiesto qualcosa di azzardato, un CiccioBello con il quale avrei giocato qualche mese e poi chissà. Ti avevo chiesto un bacio sotto il vischio quando non facevo altro che fare finta che mi piacessero le romanticherie vuote e che si potessero fare dichiarazioni d’amore con un trolley in mano e un passato ancora da chiudere, che faceva corrente. Perciò, posso avere un unicorno, visto che sono tornata sul lato A del mio disco?

Grazie e all’anno prossimo.

Io Babbo Natale lo seguo qui!

La tua affezionatissima

Patrizia

(Io oggi, da tradizione, ho preparato albero, presepe e affisso la strenna sulla porta di casa)