About Growin’ Up

“Le Tre Età dell’Uomo” di Tiziano (ca. 1512 – National Gallery di Edimburgo)

Sono intollerante al cacao e a tutto ciò che contiene glutammina di sodio. Però c’è un’altra cosa che, alla pari, mi costringe a restare nella stanza meno nobile del mio appartamento: quelli che, alla mia età (parte in sottofondo la canzone di Tiziano Ferro con la sirena della Finanza d’accompagno), litigano ancora con i genitori come se fossero appena entrati nella pubertà. Quelli che imputano a mamma e papà le colpe dei loro problemi irrisolti o che non ammettono semplicemente che, anche solo per il divario generazionale, i punti di vista e i pareri possono non collimare – e si può non farne un dramma esistenziale. Sei grande, metti in spalla la tua bisacca e percorri la tua strada (tanto, poi, in carcere ci vai tu!).

A un certo punto della vita, in modo totalmente naturale ma non sempre indolore, ti accorgi che anche i genitori sono esseri umani e, in quanto tali, sono fallibili. Così, smetterai di fare pagare loro tutti gli errori con gli interessi. Ma non solo. Ti accorgi che quando si ammalano li devi curare tu, scacciando via il pensiero nero pece, quello di quel giorno in cui dovrai fare a meno della loro insostituibilità. Infondo, fare il genitore (soprattutto a figli irriducibili tipo me) è il mestiere più difficile del mondo, spesso scomodo e privo di istruzioni. Fare i genitori è guidare alla cieca. Certo, l’errore è sempre dietro l’angolo. Però, chi ti vuole bene più di loro? Chi si butterebbe da una finestra per te? Vabbé…

Io le armi le ho deposte attorno ai vent’anni. Ho cercato di portare avanti i loro insegnamenti, ad essere sempre gentile ed educata. Qualche volta l’ho pure presa in quel posto solo per essere stata una brava persona. Ma ho preso anche le mie scelte lavorative, amorose, sociali ed economiche con consapevolezza e responsabilità propria. E nonostante le mie follie loro hanno continuato a sperare soltanto che io fossi felice. Sanno che certe volte mi sono fatta molto male. Ma va così quando si incomincia a camminare da soli…

La mia famiglia è stata tendenzialmente segnata da tanti lutti precoci e questo è il motivo per il quale sembriamo tutti un po’ strappati. Sarebbe stato molto più semplice dire “non faccio questa tale cosa perché il lutto mi ha segnata”. Il nero è un colore che dona a tutti, concordo. Però so che ho fatto o iniziato a fare tante cose nei miei trentadue anni nell’idea di dover smuovere il destino, di far solletico alla vita così avrebbe iniziato a ridere. La morte degli altri non è mai stata per me una battuta d’arresto. Insomma, se non sappiamo nemmeno qual è la nostra data di scadenza, non ha senso marcire prima del tempo!

Il giorno dopo del funerale di Max avevo un esame importante, quello che alla fine ti fanno il quadretto da appiccicare in salotto. Avremmo dovuto sposarci a breve e mi aveva fatto un regalo per festeggiare il doppio colore di confetti. Lo trovai mentre toglievo di fretta i miei vestiti dal nostro armadio perché, essendo una sorpresa, l’aveva nascosto. Era un viaggio.

Era fine novembre e per l’Immacolata saremmo stati insieme per una crociera Bergen – Tromsø, in Norvegia. Decisi di partire lo stesso. Alessandro, il mio migliore amico, si propose di accompagnarmi e io – con la mia sedicente cafonaggine – gli feci notare che quello era un viaggio di coppia. Nessuno era d’accordo con la mia partenza. Mangiavo a forza, dormivo poco e avevo qualche problemino con i mostri sotto il letto, che mi accompagnavano anche durante la giornata.

Telefonai all’Agenzia per dire che il viaggio per due sarebbe diventato per uno. La voce femminile dall’altra parte della cornetta mi disse “A meno che il secondo viaggiatore non sia morto, non è previsto il rimborso” e rise. Non risposi e salutai cordialmente. Mi calmai, perché non era colpa degli altri se mi era successa una tragedia al limite dell’incredibile, e scrissi un’email nella quale spiegai la situazione. Concordai di tramutare la parte di rimborso in un’ escursione con le slitte con i cagnoloni durante la quale ho visto l’Aurora Boreale.

Penso sia stato il viaggio più bello della mia vita. Ho conosciuto tantissime persone ognuna con la sua storia, perché avevo bisogno anche io di parlare della mia storia con dei perfetti sconosciuti. Purtroppo, chi mi voleva bene era troppo coinvolto, al punto da sentire suo il mio dolore e questo mi faceva stare male il doppio. So che i miei amici e la mia famiglia sono stati a lungo preoccupati per me. Ma dovevo farlo ed è stato quello il momento il cui sono diventata grande e mamma e papà hanno capito che potevo badare al mio equilibrio da sola.

Evviva i funamboli! I clown mi hanno sempre terrorizzata!

Miss Raincoat

Elias Canetti “La Lingua Salvata”

Io cercai di oppormi con ogni mezzo al trasferimento, ma lei non volle sentir ragioni e mi portò via. Il paradiso zurighese era finito, finiti gli unici anni di perfetta felicità. Forse se lei non mi avesse strappato da lì avrei continuato ad essere felice. Ma è anche vero che venni a conoscenza di altre cose, diverse da quelle che sapevo in paradiso. E’ vero che io, come il primo uomo, nacqui veramente alla vita con la cacciata dal paradiso.
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Giovanni Gavazzeni & Rosa Pirola

Talamona, 1841 – 1907

Nel cuore del borgo di Talamona, in Casa Mazzoni, poco distante dalla chiesa parrocchiale, una casa silenziosa e celata dagli alberi, il pittore Giovanni Gavazzeni si era arrangiato la sua casa-studio.

Era un uomo taciturno, schivo, meticoloso – un orso buono. Aveva trascorso tutta la sua giovinezza all’Accademia Carrara di Bergamo, lontano anche dagli schiamazzi anti-austriaci (per quanto, al compimento del diciottesimo anno di età, lasciò per un breve tempo gli studi e marciò con Garibaldi su Sondrio).

Decise di tornare a casa sua, nel suo paesello orobico, lontano dal caos cittadino che detestava, e lì venne apprezzato dalla committenza ecclesiastica, nobile, borghese e perfino contadina. L’Accademia Carrara, lontana dal rettorato innovativo di Hayez a Brera , si ispirava al Settecento Veneziano e a Raffaello. Il Gavazzeni, anche se molto incuriosito dal tema romantico dell’incubo notturno, rimase sempre fedele al tema sacro inserito in paesaggi idilliaci o in interni dettagliatamente ottocenteschi. Quello che lui ricerca sono le emozioni semplici. Quello che lo ossessiona solo le cromie intense studiate scrupolosamente.

La critica, non trovandolo al passo con i tempi, lo snobba. Eccetto lui, sua maestà Vittore Grubicy De Dragon, il pittore-critico e mercante che aveva scoperto per esempio Segantini (amico del Gavazzeni e anche del Damiani). Lo incuriosirono, del Gavazzeni, i suoi sentimenti trasparenti così diversi dall’artificialità ampollosa dell’arte sacra tardo-ottocentesca. La definì un’arte delicatamente schietta, poiché l’artista aveva nel cuore un misticismo personalmente sentito.

Non sappiamo dove e quando cominciò l’intensa e tenera storia d’amore con Rosa Lucia Pirola di Masino (Ardenno), nata nel 1850 e figlia di Francesco, che concesse la mano della figlia al pittore di buonissima fama locale il 6 febbraio 1873 nella chiesa di San Pietro al Masino. Rosa seguirà il marito nella casa-studio di Talamona e lui la trasformerà nella sua Musa. Il desiderio inesaudito di diventare genitori, anche un’onta ai tempi, diventerà il tema nascosto e ricorrente della sua arte, anche se nel 1892 adottarono i figli del cognato, rimasti orfani (Carlino, Giovanni e Guido Pirola) – che fecero vivere nell’agio, viaggiare, studiare e amarono calorosamente.

Le sue Sacre Famiglie, come la Sacra Famiglia dei Fratelli Ciapponi in Via III Novembre a Morbegno, sono sempre pervase da un clima intimamente famigliare. Rosa, è sempre il volto di Maria, un volto dai lineamenti aristocratici; una Madonna rappresentata come madre timida e affettuosa. Il San Giuseppe, sempre anziano e sempre un autoritratto, si protende verso il Figlio ed è devoto e protettivo verso Maria.

L’amore per Rosa, nonostante tutto, non ha eguali nella vita affettiva del Gavazzeni. Forse, l’unica eccezione, potrebbe essere il legame d’amicizia quasi paterna con il poeta Guglielmo Felice Damiani (1875-1904). Insieme, furono pionieri della Storia dell’Arte della Bassa Valle.

Il Gavazzeni morì in casa sua a Talamona, a fine novembre, per una pleuropolmonite. Stava ultimando il Cristo Redentore per il Cimitero di Sondrio. Il caso vuole che, in carriera, per la Collegiata di Sondrio, aveva realizzato il Transito di San Giuseppe, dove Rosa, impersonificando Maria, gli bacia teneramente e disperatamente le mani; tre putti attorniano il capezzale (dei quali uno ci invita dentro la scena guardandoci fisso); Gesù, triste e composto, lo eleva al Cielo come suo padre putativo.

Il nostro pittore valtellinese riposa in pace nel Cimitero di Talamona. Sulla sua tomba, vicino al monumento di Egidio Guanella e la copia del Redentore, porta l’epitaffio <illustrò la fede con il pennello>.

Miss Raincoat

°*Letture consigliate dall’Unicorno°*

  • Giulio Spini, Renzo Fallati, Eugenio Salvini – “Giovanni Gavazzeni 1841- 1907”
  • Mario Vergottini, Simona Duca, Giampaolo Angelini – “Giovanni Gavazzeni . Pittore nella Valtellina di Fine Ottocento”
La “Madonnetta” – ossia il luogo dove ho conosciuto il Giovanni ❤