Valtella in Love

Il Drago di Roccascissa

Circa attorno all’anno Mille, a Berbenno di Valtellina venne veramente costruito il Castello di Roccascissa (il nome è quello dello sperone roccioso), il quale costituiva il primo nucleo del sistema difensivo del borgo. Presso questo castello, fin dalle origini esisteva una cappella dedicata alla Madonna che costituisce il nucleo originario dell’odierna Chiesa dell’Assunta (del XII e poi ricostruita dopo il Sacro Macello, ossia 1620), molto particolare per la sua forma asimmetrica e composita ben visibile dalla pianura sottostante. La fortificazione venne completata nel Quattrocento con la Torre dei Capitanei e la Rocca di Mongiardino. Oggi, però non vi racconterò la Storia, ma la Leggenda…

Durante il Medioevo, il Castello di Roccascissa guardava di torvo una bella porzione di territorio, dalla Valmasino fino a Triangia e apparteneva alla famiglia dei De Capitanei (per capirci, quelli del Castel Masegra di Sondrio).

Raniero De Capitanei, dopo una vita passata in battaglia, decide di ritirarsi a vita privata in monastero e di regalare il castello a suo nipote Goffredo, il quale era ultimogenito e non avrebbe avuto un’eredità ricca di premi e cotillons. Il patto è che il nipote utilizzi il maniero per diffondere pace e concordia, concetti non molto chiari alla famiglia – e, soprattutto, a Goffredo che era particolarmente avido di potere.

Subito appresa la notizia della morte dello zio, Goffredo si affretta con il suo cavallo verso la Rocca di Berbenno, abbandonando anche la moglie, l’unica per la quale provava un sentimento umano. Inoltre, fece forgiare un drago di ferro battuto da porre in cima alla torre; questo, con la forza del suo odio, prese vita: chiunque si fosse avvicinato al castello senza convocazione, sarebbe morto incenerito.

Sua moglie, per fargli una sorpresa, lo va a trovare senza avvisarlo. Il drago, che accecato dal male, non poteva riconoscere le buone intenzioni, figuriamoci l’amore, la ammazza con una lingua di fuoco. Goffredo, in quel momento, sta dormendo. Appena si accorge di quanto è accaduto il suo cuore si sgretola insieme a tutto il castello che, appunto, prende il nome di Rocca-scissa.

Miss Raincoat

Il borgo di Berbenno con la Chiesa dell’Assunta
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Il mio angolo preferito di Morbegno

Una guida non può non avere il suo posto del cuore in ogni luogo che racconta. A Morbegno, questo è il mio – io, convenzionalmente, lo chiamo il Draghetto di Morbegno.

Qui siamo in Via Carlo Cotta, tra la porta di San Rocco e il Ponte Vecchio, ma questo battente non salterebbe mai all’occhio se non si sapesse della sua esistenza.

Tuttavia, i palazzi del Sei/Sette-cento valtellinese sembrerebbero fin troppo seri senza la grazia dei ricami in ferro battuto dei terrazzini e dei portali – uno diverso dall’altro e tutti simbolici – che rendono caratteristiche le vie e le viuzze del centro storico di Morbegno.

Il ferro battuto è una grande scoperta tecnica dell’homo faber, ossia quella del poter modellare il metallo duro tramite un processo di riscaldamento, per secoli considerato una pratica magica. Afrodite, per quanto preferisse i muscoli di Ares, si era sposata Efesto, dio del fuoco e delle fucine.

Per quanto riguarda il suo utilizzo artistico, cioè non finalizzato alla manifattura di strumenti e armi, si può ipotizzare che sia stato diffuso dal Medioevo dai Conventi. Da queste scuole, si formarono i cosiddetti fabbri itineranti (si muovevano di città in città offrendo la manodopera al migliore offerente).  Un pezzo d’arte d’antan molto pregiato, del resto, fu la chiave di ferro battuto per aprire chiese e luoghi sacri. 

Il ferro veniva estratto dalle miniere e poi fuso nelle forge. Un paese valtellinese molto famoso per l’estrazione del ferro (nella Val Madre) e per le fucine (sul Torrente Madrasco), già attive nel Trecento, è Fusine, sulla sponda orobica, che deriva pure la sua toponomastica da questa preziosa attività.

Per quanto riguarda la scelta dell’immagine del drago, possiamo percorrere due strade interpretative: 1– simbolo del male e del peccato, che va esorcizzato 2– portafortuna posto a guardia di un tesoro o di una casa. Dipinto su un palazzo di questa stessa via, troviamo un altro drago, quello che San Giorgio sconfigge in nome della Santità. Inoltre, il drago è anche presente nel repertorio di numerosi stemmi nobiliari, per esempio quello dei Visconti.

Nel repertorio delle leggende valtellinesi c’è anche quella del basilisco, temibile piccolo drago volante che può uccidere con un solo sguardo. Il lembo di terra tra il Culmine di Dazio (sponda alpina retica, sopra Ardenno) e il Crap di Mezzodì (sponda alpina orobica, sopra Forcola) era chiamato, almeno fino all’Ottocento, Stretta di San Gregorio: nella località omonima, infatti, la strozzatura ad esse del fiume Adda costringeva chiunque si recasse verso la Media Valtellina a continuare il suo viaggio in traghetto, per raggiungere l’altra sponda della Valle e risalirla. Ecco, pare che – in aggiunta alla tortuosità della via – ogni tanto, i simpatici basilischi percorressero in volo le due cime che fungevano da “colonne d’Ercole“.

** Ringrazio il mio amato Draghetto per avermi casualmente fornito l’ulteriore riprova che … noi guide siamo anche piuttosto cagionevoli alla serendipità. Alla fine, la verità la troviamo sempre! (Quanto è bella la canzone di Noemi con il video unicornoso, piuttosto???) **

❤ Miss Raincoat