That’s (almost) my Birthday!

Una delle donne che mi hanno più ispirato è l’Oriana. Questo brano sotto l’ha scritto quando lei, a trentasei anni, era all’apice della sua carriera – da sfrontata e irriverente giornalista e inviata. Una donna che demoliva le frasi fatte e le generalizzazioni prima del 1968. La caratteristica che mi ha sempre colpita di lei è l’intolleranza. “Come è brava quella, le va bene tutto”, si dice parlando a vanvera. Questo estratto da Se il Sole Muore, per esempio, esorta gli astronauti trentenni della NASA, pronti per il viaggio verso la Luna, a guardare la vita con coraggio e senza accondiscendenza, perché ogni età ha la felicità che le è propria e bisogna goderne appieno.

«Io mi diverto ad avere trent’anni, io me li bevo come un liquore i trent’anni: non li appassisco in una precoce vecchiaia ciclostilata su carta carbone. Ascoltami, Cernam, White, Bean, Armstrong, Gordon, Chaffee: sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l’angoscia dell’attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent’anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo, a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. È viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo. Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e in avanti, a meditare sulla nostra fortuna: e allora com’è che in voi non è così? Com’è che sembrate i miei padri schiacciati di paure, di tedio, di calvizie? Ma cosa v’hanno fatto, cosa vi siete fatti? A quale prezzo pagate la Luna? La Luna costa cara, lo so. Costa cara a ciascuno di noi: ma nessun prezzo vale quel campo di grano, nessun prezzo vale quella cima di monte. Se lo valesse, sarebbe inutile andar sulla Luna: tanto varrebbe restarcene qui. Svegliatevi dunque, smettetela d’essere così razionali, ubbidienti, rugosi! Smettetela di perder capelli, di intristire nella vostra uguaglianza! Stracciatela la carta carbone. Ridete, piangete, sbagliate. Prendetelo a pugni quel Burocrate che guarda il cronometro. Ve lo dico con umilità, con affetto, perché vi stimo, perché vi vedo migliori di me e vorrei che foste molto migliori di me. Molto: non così poco. O è ormai troppo tardi? O il Sistema vi ha già piegato, inghiottito? Sì, dev’esser così».

[Da Se il sole muore, Rizzoli 1965. Edizione Bur 1989, pagg. 388-389]

❤ Miss Raincoat

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Libellula – Dragonfly

Forse non tutti lo sanno, ma adesso lo sbandiero sull’internet. Ho (da poco) una libellula tatuata sulla schiena in zona sacrale, lato sinistro. Sì, certo, avere un tatuaggio è mainstream. Però, il tatuatore ha detto che la scelta del soggetto è veramente rara. Se gli uomini preferiscono le bionde, allora le donne preferiscono tatuarsi farfalle. A me le farfalle, personalmente, piacciono con panna, zafferano, piselli e prosciutto 😛

La libellula mi affascina. Ha un aspetto elegante, ma è prevalentemente una predatrice. Pare che, in origine, fosse il cavallo di San Giorgio, quello che salva la principessa dal drago. Il nome inglese di questo insetto, dragonfly, ricorda questa leggenda: il cavallo, per sfuggire dal drago (dragon) diventò un insetto volante (fly). Si liberò del peso corporeo, della forza fisica, per essere libera. Pare anche che Satana usi il peso di una libellula per misurare il peso delle anime, motivo per il quale questi piccoli esserini hanno anche un dark side, qualcosa di sinistro. L’etimologia italiana, infatti, viene da “libra” (bilancia): nel volo le ali sembra che stiano ferme nella tipica posizione orizzontale, a livello.

Inoltre, mentre le rondini non fanno assolutamente primavera, le libellule mi fanno venire in mente le prime serate calde di maggio. Lenny Kravitz, pure. La libellula è la spensieratezza consapevole di quando hai trent’anni.

La libellula, in arte, è simbolo di coraggio, forza e felicità. Come motivo allegorico, è stata importata dal Giappone. Del resto, non possono non venirci in mente i magnifici esempi di gioielleria o le lampade Tiffany dell’Art Nouveau. Un artista non può che essere affascinato dai suoi colori metallizzati ed iridescenti, che le servono per camuffarsi e creare illusioni ottiche. Eppure, le sue ali sono pressoché di carta velina.

Abile nel volo, che sfrutta catturando le prede (per esempio, le banalissime mosche) a mezz’aria senza mai vagare a vuoto, la libellula ti assale solo quando entri nel suo campo visivo. Comunque, è talmente leggera da non fare nemmeno increspare le acque degli ambienti paludosi che predilige, mentre si libra. Un corpo esile capace di attraversare una tempesta danzando, come recita un proverbio giapponese.

Per quanto riguarda la vita di coppia, viene abbandonata dal partner dopo l’accoppiamento, che la insegue fino alla deposizione solo per aggredire i possibili rivali. Eppure, si distingue anche nella modalità di riproduzione, una specie di danza-competizione. Il maschio afferra la femmina da dietro la testa e la femmina arriccia l’addome sotto il corpo per essere “ricettiva”, mettendosi insieme in una posizione che ricorda un cuore; non è romanticismo vuoto, è un incastro perfetto. La mamma, infine, lascia le uova in acqua. Perciò, una libellula nasce nell’acqua e se ne emancipa iniziando a volare, ossia finendo la sua vita in aria.

Vive per un’ intensa settimana. Si fa una scorpacciata di moscerini e zanzare, si accoppia in volo, depone le uova appena sotto il pelo dell’acqua, sceglie una foglia adatta per riposarsi e poi si addormenta per sempre.

❤ Miss Raincoat

Il Sentiero Valtellina [Seconda Puntata]

L’anno scorso…

Beh, l’anno scorso avevo postato questo articolo. 

Era un post che parlava di casa, di mammà e tutte quelle cose che in quel periodo ingarbugliato mi facevano stare bene. Incluse le meringhe. Sembra che sia passato un secolo, sono cambiate tante cose ed è ritornata la felicità, quella data dall’armonia e dagli unicorni galoppanti.

Già l’anno scorso vi avevo spiegato che il paesello dove ho la tana, una frazione di Colorina che si chiama Piani di Selvetta (e che vanta gli inverni più rigidi del globo, dopo la Siberia e il Comune di Forcola), si inserisce nel percorso di una pista ciclopedonale, il Sentiero Valtellina, che percorre tutto il corso del bacino imbrifero del fiume Adda in provincia di Sondrio.

Nel post che ho linkato sopra vi avevo portati nel tratto alternativo del Sentiero Valtellina, che porta da Selvetta a Sirta, nel Comune di Forcola. 

Lo so che ho detto che sono felice ed è la verità. Ma…In questo periodo l’ansia (sto seguendo vari progetti lavorativi cicciotti), la fame (sto seguendo una dieta ferrea) e l’innamoramento primaverile (sto seguendo il richiamo della foresta) non mi danno tregua, perciò vado spesso a correre per rientrare in contatto con la mia libertà e con la mia natura selvatica. Insomma, per farmi passare i cinque minuti.

Nella foto potete vedere il tratto del Sentiero Valtellina che porta da Selvetta fino a San Pietro, nel Comune di Berbenno. Si può seguire il percorso ortodosso sulla riva destra – che è asfaltato e più riparato dal sole tramite piante (e del quale io amo i ponticelli in legno!!!); in caso contrario si può scendere, proprio vicini al fiume, sulla sponda sinistra (tramite alcune scale in pendenza sull’argine) ricordandosi che qui non ci sono alberi o asfalto, il vento è ovviamente più forte e che la zona è molto meno frequentata.

Beh, per quest’anno la prova costume è cosa fatta!!!!

❤ Miss Raincoat

Spiders in my Head

Dunque…

Settimana scorsa ho promesso che avrei aggiornato questo blog in relazione alle attività che affollano le mie giornate che – ahimé – ho scoperto essere solo di 24 ore (-6 che trascorro a dormire, sempre se non sbaglio a puntare la sveglia!!!)

Come stai?

Beh, è un periodo di cambiamenti e, in effetti, essendo una persona che si annoia con una facilità inquietante e che ama le sfide/è molto competitiva, mi sento elettrizzata. Non so se si può definire felicità ma, una volta che ho deposto (quasi) l’ascia di guerra verso qualsiasi chitarrista nel raggio di 40 chilometri, mi sono sentita leggerissima e rinnovata. Lasciarmi durante un uragano non è stato simpatico. Ma è anche vero che l’uragano l’avevo causato io. Quindi, l’amore può prendere varie forme, purché ti faccia stare bene. L’amore è a-morale.  Sì, ho pure riacciuffato dal cestino della spazzatura la mia vita sentimentale apparentemente caotica, senza la quale sto male, mannaggia.

Che combini?

Questo si riallaccia al vento di novità del quale ho parlato sopra. Quest’estate avevo sbandierato il mio ritorno definitivo in Valtellina, dove tutto è iniziato, dove il dott. F. e la prof. G., mi hanno insegnato come essere una guida (quasi) perfetta. Certamente, è stato un salto nel vuoto e mi sono nutrita di valeriana per mesi. Eppure, a due mesi dal nuovo inizio posso dire di sentirmi galvanizzata, soprattutto per due motivi a) qui in Valtellina/Sondrio il Turismo, inteso come Marketing Territoriale ma anche come Ricerca Artistica e Culturale, sta ancora cercando la sua identità e, quindi, mi sento ispirata – oltre al fatto che il mestiere di guida, in sé, ti porta a imparare qualcosa di diverso in ogni giorno e a crescere, anche solo come persona –  b) il rapporto con capi e colleghi con diverso sesso, età e disciplina di studi è meravigliosamente cordiale, sereno e stimolante.

In questo periodo mi sto occupando di visite guidate abbinate a eventi enogastronomici/sportivi (aspettando anche la vera neve e i turisti “bianchi”, che ormai non tarderà; sì, comunque ha già nevicato in alta quota), di due ricerche (una su una piccola chiesetta di Morbegno; l’altra sugli aspetti d’ingegneria acustica del Complesso di S. Antonio di Morbegno) e di un progetto di lezioni-madrelingua per insegnare agli stranieri la nostra (difficilissima, mi sto rendendo conto) Lingua Italiana (ricordandomi perché ho sempre regalato un bel due di picche a tutti quei Marcantoni che sbagliano le acca e i congiuntivi). In particolare, quest’ultimo lavoro mi sta dando molto, non saprei come descriverlo se non dicendo che “se puoi sognarlo puoi farlo” e che “chi ti ammazza i sogni, è il più efferato dei killers”. Ah, e che ovviamente, da guida, mi rendo conto che il Pianeta Terra non appartiene agli umani solo perché l’hanno scritto su un foglio.

Che mi racconti di bello?

Non ho segreti, ma non ho tempo di raccontarti i miei guai, meravigliosi guai con le ali. Come sempre, del resto. Va alla grande, dunque. Di bello? L’affetto. E’ quel sentimento che ti fa capire che non solo esisti, ma che sei anche importante solo per il fatto di essere venuta al mondo. Non è intenso come l’amore o smisurato come la passione, ma è l’unico aspetto che ci rende diversi dalle macchine e meno spietati degli dei. Senza l’ affetto tremeremmo solo di freddo e, invece, è l’unica cosa che riusciamo a lasciare in questo lato quando passiamo dall’altro.

Spiders in my head, spiders in my mind/ You may take my eyes, but baby I’m not blind/It all works out in time/ You know I’m gonna be alright/

❤ Miss Raincoat

“Hoppipolla” dei Sigur Ros

Oggi inauguriamo questa sezione della categoria #arte, la quale andrà ad affiancare le mie full immersions nei dipinti, che più che “critiche” sembrano immersioni in acquari pieni di barracuda. Siccome questo blog è nato, sostanzialmente, come note a piè di pagina di mie follie e miscellanee, ho deciso che è il momento di palesare anche che cosa desta il mio interesse quando non ascolto niente se non quello che esce dagli auricolari. Ovviamente, non posso dimenticare di ringraziare il mio Babbo per non aver mai fatto mancare la musica in casa!!! (perché non si vive di solo pane, han detto)

Volevo, quindi, tagliare il nastro con la mia canzone preferita. La canzone preferita di una persona è un po’ come qualcosa di sacro, che si può ascoltare nei momenti migliori o peggiori per ristabilire gli equilibri. 

Questa canzone, per me, è “Hoppipolla dei Sigur Ros.

Raccontare che genere suona questa band islandese (non immaginatevi i soliti vichinghi metallari, neh) è molto difficile perché sì, fanno rock con una formazione “tradizionale” (chitarra-basso-batteria),  ma attingendo pure dall’elettronica e, per così dire, dalla musica classica/d’orchestra (specie nelle atmosfere date dagli strumenti ad arco e a fiato).

Il nome del gruppo coincide con il nome di battesimo della sorellina di Jonsi, il frontman, nata il 28 dicembre 1993, pochi giorni prima che i Sigur Ros iniziassero la loro avventura (in italiano è simile a Rosa Vittoria). Jonsi, che oltre a prestare la sua voce suona anche la chitarra (adoperando molte volte l’archetto del violino), è affiancato da Orri alla batteria e da Georg al basso.La particolarità dei pezzi dei Sigur Ros è il Volenska (in inglese Hopelandic), ossia una lingua completamente inventata da Jonsi per rendere le sillabe delle parole parte stessa della melodia (succedeva anche nella musica gregoriana, in un certo senso!!!).

“Hoppipolla” (che dura circa 4 minuti) fa parte dell’attesissimo album del 2005, intitolato “Takk” (vuol dire Grazie) che ha delle sonorità più rock e meno malinconiche rispetto ai lavori precedenti (e anche tracce più brevi, rispetto alla media di quasi 10 minuti l’una). Il testo di questa canzone, il cui titolo significa “Saltando nelle Pozzanghere”, è principalmente in islandese con solo l’ultima strofa in Volenska. (Og ég fæ blóðnasir/Og ég stend alltaf upp). Il messaggio del testo è di vivere divertendosi con la stessa spensieratezza e l’innocenza dei bambini.

Traduzione di “Hoppipolla”

Sorridendo
girando su se stessi
tenendosi per mano
il mondo intero in una macchia
ma tu ci sei stabile

Bagnato
completamente inzuppato
senza stivali di gomma
correndo in noi stessi
vogliamo uscire da una conchiglia

Vento
e il profumo dei tuoi capelli
lo annuso più veloce che posso
col mio naso

Saltando nelle pozzanghere
completamente inzuppato
bagnato
senza stivali

E mi viene sangue dal naso
ma io sono sempre preparato

Sigur Rós – Hoppípolla (Video Ufficiale)

Sigur Ros – Hoppipolla (Versione Live da Heima) che oltre per l’esibizione wow dall’inizio alla fine (specie il finale strumentale) è da guardare perché ti fa dire “Ma perché sono ancora qui!?Let’s move to Iceland!!!” ** Heima è un documentario che la band ha girato durante il tour islandese dell’estate 2006.

❤ Miss Raincoat