“Al Molo di Blanes” di Vladimir Volegov

Vladimir Volegov è un artista spagnolo e vivente (ha l’età del mio babbo, quindi nato nel 1957). Il nome non tradisce le sue origini russe, quasi al confine cinese. Nasce come grafico pubblicitario e poi, facendo tesoro dell’esperienza commerciale, un po’ come l’indimenticabile Maxfield Parrish, si mette a dipingere il mondo della reverie.

Nel 1959, sua madre lascia suo padre e lo porta con sé a Ekaterinburg, la città del confine Europa – Asia. Lo voleva laureato in medicina, ma lui a 13 anni scoprì la sua vocazione artistica. Nel 1990 scoprì anche l’Europa, l’ovest, viaggiando per le capitali come ritrattista. In Italia, casualmente comprando un libro al parco di Gardaland, si innamora dell’arte di Giovanni Boldini che diventa sua fonte d’ispirazione (a mio avviso, Boldini – interprete eclettico della belle époque – è stato capace di dipingere l’essenza elegante e pepata delle donne) . Nel 2006 si trasferì definitivamente in Spagna con la moglie sposata sette anni prima (in barba alla proverbiale crisi).

Realismo, tecnica ad olio, molto colore, atmosfera sognante, scene all’aperto: ecco cosa troviamo nelle sue opere. Mi ricordano molto Edouard Manet e la sua rivoluzione artistica che portò alle Avanguardie e, in particolare, all’Impressionismo.

Le donne, protagoniste per Volegov, sono belle, nevrotiche, distratte, azzurre, disobbedienti. Lo stesso Manet diceva che le modelle sotto al vestito avevano i polmoni, che andavano fatte respirare. Boldini, invece, rappresentava donne che non vedevano l’ora di togliersi il corpetto che tanto le costringeva.

At pier of Blanes – 2015

C’è una donna che sta leggendo sul molo di Blanes, la città-porta della Costa Brava. Il clima sembra quello della primavera inoltrata, prima dell’alta stagione (pardon, deformazione professionale). Ha i capelli raccolti alla rinfusa e nemmeno si accorge che la stiamo guardando. L’artista immortala sulla tela qualcosa di fatuo come un pensiero, quasi un segreto. La bellezza sfolgorante di questa donna al sole senza protezione sta nella sua disinvoltura, infatti è pura nel suo vestito bianco e nei suoi piedi scalzi; è leggera eppure non stupida. Perché tanta bellezza, però, cela anche malinconia e irrequietezza. Come una carezza, il pittore, quindi, gli dipinge addosso un velo d’amore destinato a durare un attimo e non di più. Sempre ricordando Manet, in quell’Argeteuil, in cui una donna si prende la compagnia di un marinaio che le fa chissà quali promesse, si contrappone a questa donna che è sola, in riflessione, in pace; una donna trasparente perché non ha bisogno di niente e l’amore sarebbe un’aggiunta non un bisogno. L’unico mistero rimangono le parole che la tengono incollata al libro.

Mi viene in mente una poesia della scrittrice dominicana Martha Rivera Garrido. Ho sempre pensato che la donna su questo molo stia leggendo proprio queste righe provocatorie e ci si stia ritrovando dentro e mi ci ritrovo tanto dentro anche io…

Non innamorarti di una donna che legge,

di una donna che sente troppo,

di una donna che scrive.

Non innamorarti di una donna colta,

maga, delirante, pazza.

Non innamorarti di una donna che pensa,

che sa di sapere e che inoltre è capace di volare,

di una donna che ha fede in se stessa.

Non innamorarti di una donna che ride

o piange mentre fa l’amore,

che sa trasformare il suo spirito in carne e, ancor di più,

di una donna che ama la poesia (sono loro le più pericolose),

o di una donna capace di restare mezz’ora davanti a un quadro

o che non sa vivere senza la musica.

Non innamorarti di una donna intensa, ludica,

lucida, ribelle, irriverente.

Che non ti capiti mai di innamorarti di una donna così.

Perché quando ti innamori di una donna del genere,

che rimanga con te oppure no, che ti ami o no,

da una donna così, non si torna indietro.

Mai.

MARTHA RIVERA GARRIDO

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“Contraluz” di Vincente Romero Redondo

Si sa, da buoni italiani se le opere d’arte non sono vecchie almeno di cinquecento anni, nemmeno le consideriamo. Però, qualche volta, anche i “disegnini” di qualcuno che, addirittura, non è nemmeno passato a miglior vita riescono a catturare la nostra attenzione. Questo è il caso di Vincente Romero Redondo.

Sul suo blog personale possiamo ammirare tutto il suo portfolio e anche scambiare quattro parole, dacché è uno che visualizza e risponde. Tuttavia, ho scelto questa sua opera del 2009 perché mi sembra la più rappresentativa del suo messaggio e del suo voler accendere il riflettore sulla natura controluce del mondo femminile.

Ma chi è questo signor Redondo? E’ un pittore madrileno di 61 anni (quasi coetaneo del mio papà), trapiantato in Costa Brava, alla quale è debitore per l’atmosfera che riesce a ricreare nelle sue composizioni, un misto di silenzio e sfavillio di colori mediterranei.

La sua tecnica prediletta è il pastello su carta, talvolta messo in dialogo con l’olio. Tuttavia, l’artista considera che il pastello sia il mezzo migliore per rappresentare al meglio la spontaneità di una delicatezza senza rivali.

Infatti, le protagoniste dei suoi dipinti sono donne che lasciano a bocca aperta senza essere eccessive o volgari, nude, scalze, anche nella loro tempesta di sentimenti. Sono istantanee di pensieri aggrovigliati, non esercizi di stile auto-celebrativi. Per l’artista, la donna non è una preda, bensì una Monnalisa, una che ride, piange e si dà delle arie allo stesso momento. Redondo dipinge donne innamorate, che guardano l’orizzonte disegnato dal mare o fuori dalla finestra, che ricopiano poesie a mano da un vecchio libro, madri affettuose, amanti con un segreto da nascondere, spesso vestite di seta e, altre volte, nude e, allo stesso modo, setose. Sono donne senza uomini, ma quando si guardano allo specchio delle volte si piacciono e altre no. Con la sua Arte vuole dire a tutte le donne che non è il Sole che illumina il Mondo…

Sicuramente, Redondo ci ricorda tanti esempi di Storia dell’Arte: i riverberi di Monet, le donne intense di Schiele, il pudore antitetico di Canova ed il tulle imbizzarrito di Degas. Eppure, è contemporaneo nel suo concetto di sacralità della donna.

Questo dipinto mi ricorda un po’ mia mamma, che è una sarta. La protagonista mi sembra lei quando controlla che il suo lavoro sia stato fatto ad opera d’arte. Però mi ha ricordato un po’ anche Penelope che tesse la dote di giorno e la disfa di notte in attesa sicura di Ulisse. O, forse, più Calypso. Lei che ha lasciato tornare Ulisse da sua moglie, dopo che lui ha fatto i “proci comodi suoi” per sette anni (quelli famosi per la crisi), tanto lei è quella che è condannata dagli Dei ad innamorarsi di eroi, che prima o poi se ne vanno verso scopi più Alti. Ecco, se la protagonista fosse lei, illusa che il suo Ulisse tornerà, che la sceglierà appunto perché lei non gli ha messo le catene? Mi piace pensare che lei viva ancora su Ogigia, in una villa nascosta dentro una natura incontaminata in mezzo al blu del Mediterraneo, assorta a scegliere le stoffe con le quali si vestirà quando il suo Ulisse ritornerà. Ulisse, testa di capra, scegli Calypso!

❤ Miss Raincoat