Cronache dal Bancone

Come sono passata dallo Spritz al Negroni

Primo di giugno. Ergo, si può tornare a varcare la porta dei bar e dei ristoranti. Ma non si può dire che quest’anno la giacca di pelle non sia servita a nulla.

Comunque, veniamo al dunque. Ebbene sì, dopo l’amore giovanile per il Mojito, la lunga storia con lo Spritz è arrivato quello giusto. Il Negroni.

Motivo? Bah, improvvisamente lo Spritz mi è sembrato un po’ stucchevole….

Un po’ di storia

L’aperitivo è un rito inventato in Italia, precisamente a Torino, dove, a fine Settecento, si stimolava l’appetito prima di cena con un drink e degli stuzzichini. Quindi, è una parola intraducibile in altre lingue. Si beveva il vermouth, poi commercializzato e battezzato da Martini. Oggi si beve un po’ di tutto in questa fase oraria, lager e ipa tra le birre, vini spumanti o secchi di vario colore, cocktail più o meno amari o aciduli. E non permettetevi nemmeno di dire “apericena” (che è l’equivalente enogastronomico dello “scopamico”, ma come diavolo parlate???) . Mia nonna ripeteva sempre “se non mangi muori”, quindi…

Lo Spritz nasce in quel clima un po’ da spogliatoio delle truppe austriache di stanza nel Lombardo-Veneto che, non abituate all’alta gradazione dei vini locali (tipo il Friulano già Tokaij), tendevano a fare una cosa che in tedesco si dice “spritzen”, ossia allungarlo con l’acqua frizzante. L’invenzione del cocktail, però, si colloca dopo il 1919, anno di nascita dell’Aperol a Padova. Lo Spritz, aperitivo arancione per eccellenza, ha pochi ingredienti: prosecco, selz, Aperol e mezza fetta di arancia. Il suo bicchiere d’origine era il tumbler basso (detto old fashioned), ma dal 2015 fa più fico usare lo stelo. Dato che Aperol viene commercializzato da Campari (che invece parla milanese), per chi lo preferisce rosso si fa uno strappo alla regola.

La differenza tra Aperol e Campari? In realtà, sono tutti e due la parte amara (bitter) del cocktail. La ricette di entrambi sono segretissime come quella della Coca Cola e della Bresaola. Quella dell’Aperol prevede l’infusione in alcool di arancia, rabarbaro e altre erbe e radici (11% VOL). Il Campari, invece, prevede sempre l’infusione in alcool di chinotto, cascarilla (una pianta tropicale pure antidiarrioca), erbe amaricanti varie + cocciniglia come colorante (25% VOL). Quindi, la scelta rimane sostanzialmente sulla cromia o sulla geografia, se non fosse che il Campari è un pelino più amaro e sicuramente più forte.

Ed ecco che, passando per Milano e per il Campari, arriviamo al Negroni. Proprio a Milano, nel bar Gaspare Campari, era stato inventato l’Americano, un cocktail a base di Campari, vermouth rosso e seltz – appunto amato dai turisti statunitensi e da James Bond. Nel 1920, il conte Camillo Negroni, chiese al suo barista di fiducia di Firenze di sostituire il seltz con il gin, in memoria di un suo viaggio sesso-droga-rock’n’roll a Londra. Nasce così il mio nuovo cocktail preferito, un mix di gin, Campari e vermouth rosso con mezza fetta di arancia. Si beve rigorosamente on the rocks (con giù il ghiaccio), in un tumbler basso e senza cannuccia (poi qualcuno mi spiegherà a cosa servono due cannucce nei cocktails…). Esiste anche il Negroni Sbagliato, che sostituisce il gin con lo spumante brut.

La conclusione

Mi sono buttata sull’alcool? Ma no. C’è da dire che il vermouth e il gin sono due elementi affascinanti da capire.

Il gin si ottiene da una fermentazione di cereali o patate per distillazione, alla quale viene aggiunta in macerazione una miscela di erbe o radici o spezie, tra le quali il ginepro.

Il vermouth, vino aromatizzato nato a Torino, prende il nome dal lemma tedesco con il quale si indica l’artemisia (anche se il vermouth può essere anche aromatizzato con l’assenzio). Oltre a questo aroma, che deve essere presente per legge, si può avere il sentore di, per esempio, camomilla, garofano, sambuco, zafferano, anice, vaniglia, melograno, etc…

Per quanto riguarda il gin ne ho scovato uno molto vicino alla mia valle, che è il Gin Rivo prodotto con erbe e fiori dei prati sul Lago di Como da Magi Spirits a Cermenate (CO). Il suo sapore è molto balsamico, sfuma in un finale lungo di melissa, timo e frutti di sottobosco

Per quanto riguarda il vermouth, al di là del tradizionale Punt e Mes reso celebre da Giovanni Agnelli, punterei su un Bérto Rosso da Travail. La distilleria è la Quaglia di Asti, sulle colline dei grandi vini ottenuti dalle uve moscato. Il colore rosso carico non tradisce le aspettative: sa di agrumi, di spezie e il suo sapore è molto persistente.

@ Liberty – Sondrio

Miss Raincoat

(!) Bevi responsabile. Se guidi non bere. Mangia, prega, ama. Troppo fa male anche il pancotto. E tutte le cose che ti direbbe anche Mammà.

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Lo Zucchero nel Mojito

Coira da casa mia dista circa 125 km. Ci si arriva o in auto o in treno. In treno la storia è un po’ lunga (5 ore a ben vedere) perché si deve raggiungere Tirano e poi trasbordarsi sulla Ferrovia Retica. In auto è una gita più celere: percorrendo la Strada Statale 36 “dello Spluga” si passa il confine e l’autostrada ci porta comodamente a destinazione in 2 ore e 30 minuti.

Lo si dice spesso che bisognerebbe godersi lo spazio temporale tra partenza e destinazione. Io oggi mi sto spostando per lavoro e sto ripassando un discorsone con le airpods che mi cantano le canzoni che mi piacciono. Liberare la testa serve per viaggiare leggeri, ma è difficile da farsi per una che ha il cuore per bagaglio a mano…

Ieri ha piovuto pressoché tutto il giorno, anche con il sole. Oggi, invece, il meteo è spettacolare. La temperatura è ben sopra i venti gradi e il cielo è di quell’azzurro che è possibile vedere solo da qui, incastonato tra le vecchie Alpi, ceruleo in gergo (oppure sono soltanto le mie lenti polarizzate a farmelo vedere così 🙂 ).

Coira è la città più antica della Svizzera. Dall’autostrada sembra grigia, triste e anonima – specie d’inverno quando i comignoli fumano sopra i tetti ghiacciati. Però, è proprio vero che guardare le cose dall’alto ti pone a una distanza cieca. Perché se ti dai il tempo di perderti nel suo centro storico – in tedesco si dice Innenstadt (il cuore della città) – la conosceresti nei suoi veri colori, quell’eleganza sia pittoresca sia elegante tipica di questi borghi di montagna strappati alla vita selvaggia dei boschi. In Piazza San Martino, fuori dalla chiesa, c’è una fontana dedicata al Santo che però viene chiamata Fontana dello Zodiaco, siccome la sua vasca è decorata con i simboli zodiacali. Mi è venuta in mente perché sto ascoltando “Oroscopo” di Calcutta…

Se vuoi più informazioni su Coira click qui.

Poi stavo anche pensando che il mio cocktail preferito è senza dubbio il Mojito. Mi piace molto la sua semplicità e per questo sono anche molto pignola sulla sua esecuzione. Per esempio, posso capire che lo sciroppo di zucchero sia meno rozzo dello zucchero di canna – ma, mi dispiace non trovarmelo granuloso nel bicchiere.

Insomma, il Mojito nasce come una bevanda very rude. Il drink nazionale di Cuba per il quale sono diventati famosissimi i Cantineros de L’Habana fu inventato dal corsaro inglese Sir Francis Drake per dissetare i suoi marinai.

Mojito significa “piccolo incantesimo”. La ricetta nasce all’arrembaggio con le poche risorse che si avevano nella stiva. L’acqua molto frizzante che voi studiati chiamate seltz è un’alternativa potabile all’acqua stantia che avrebbe dovuto bere la ciurma. Il rum bianco era il quello più economico, usato prettamente o per disinfettarsi o per ubriacarsi. Per non far sentire il sapore rancido dell’acqua e per dare un po’ di coraggio agli uomini di mare (e scongiurare il colera), quindi, si aggiunsero altri due ingredienti facilmente reperibili: il lime (l’agrume caraibico) e la hierba buena (che italiano si chiama menta spicata).

Ne consegue che il Mojito non è per fare i finti fighi in discoteca. Vale lo stesso discorso più volte specificato su questo blog: la barba (o il mojito) fa figo solo se sei già bello 😛

Miss Raincoat

“Non mi ricordi nessuna guagliona” cit. Calcutta in “Oroscopo”