Gisèta di Via Margna 1×03

[Come molti di voi già sanno, ho dato al mondo la Ricerca sulla Gisèta di Via Margna. Davvero, non pensavo che così tante persone, non solo morbegnesi, fossero tanto affezionate a un posticino così poco conosciuto e così tanto piccolo. Grazie mille ancora per tutti i complimenti post-presentazione, non solo sulla ricerca stessa (che in effetti ha dissepolto una storiella mooolto interessante e intrigante), ma anche sul mio modo di pormi come guida. Non sapete quanto possa fare piacere sapere di aver preso la strada giusta, specie per chi fa un mestiere come il mio!!! Per quanto riguarda la ricerca vera e propria la potete già consultare presso la Biblioteca di Morbegno. Quelli che vorranno leggere o conservare (o utilizzare per i tavoli traballanti), il libro-guida dovranno aspettare qualche mese (ma sicuramente prima della fine dell’anno, mi hanno fatto sapere…). Da quanto ne so, sarà un volume della serie “Conosci Morbegno”.Nel frattempo, per i curiosi, ne pubblicherò un brevissssssimo riassunto di quattro episodi qui sul mio blog]

La Confraternita dei Luigini

La Confraternita dei Luigini di Morbegno si insedia nella Gisèta nel 1818. Essa raggruppava tutti i bambini con età fino a tredici anni (i quali portavano, nelle varie funzioni e processioni, una tipica mantellina azzurra); una volta diventati “grandi” i Luigini potevano scegliere se unirsi alla Confraternita dei Disciplini dell’Assunta di Morbegno. L’unico adulto del team era il Priore (chiamato ‘l barba = lo zio, in dialetto morbegnese). La Confraternita dei Luigini si ispirava alla vita di San Luigi Gonzaga, Patrono della Gioventù, e rinnova il significato degli Angeli Custodi cari ai Mezzera-Acquistapace (i Pasquini), quindi  la Gisèta non fu scelta a caso.

La Confraternita dei Luigini riconsacra la Gisèta il 29 luglio 1875 (era già dedicata a S. Maria delle Grazie dal 1665, vuole solo mettere nero su bianco che quella è la sua sede), la amplia nell’area anteriore (presbiterio e cappelle laterali) e la ridecora, dotando Morbegno dell’unico affresco che rappresenta un San Giuseppe giovane (nella calotta absidale).

Il Regolamento della Confraternita può essere riassunto in questi punti:

  • Abitudini: non leggere o farsi leggere giornali o libri “perniciosi” [sic.], non attardarsi oltre l’Ave Maria [sic.], non darsi alle cattive compagnie [sic.], apprestarsi ai sacramenti e alle preghiere, specie durante le feste di Maria e di San Luigi.
  • Tassa d’Iscrizione: 1 Lira all’anno che comprendeva anche l’iscrizione alla Pia Infanzia (un’associazione caritatevole che si occupava di mandare soldi ai bambini “pagani” e poveri, specialmente in Cina)
  • Cariche: non esistono cariche. Il vero capo della Confratenita è l’Arciprete di Morbegno; il Priore è solo una sorta di moderatore.

Una tradizione morbegnese alla quale è legata anche la Gisèta è il Giro delle Sette Chiese durante il Giovedì Santo (un rito codificato da San Filippo Neri nel 1540 a Roma). A Morbegno – in questo giorno senza funzioni annunciate dalle campane – si visitavano 9 compianti allestiti nelle chiese e lì si recitava il Rosario (Cappella dello Spedale nel Cimitero, Gisèta, Sant’Antida nel Ricovero degli Anni Trenta, San Rocco, Angelo Custode, San Pietro, Sant’Antonio, S. Giuseppe presso Palazzo Melzi, S. Giovanni). Il rito fu compiuto ininterrottamente dal 1713 al 1955 circa; il momento saliente era il Catafalco della Chiesa di San Giovanni.

Come tutte le chiese in cui hanno sede delle Confraternite, la Gisèta ha un Altare Privilegiato (si prega per i defunti in alcune date e si cancella la loro pena temporanea in Purgatorio). Il privilegio fu concesso nel 1908 da Papa Pio X che fissò le date: 8 dicembre (Immacolata), seconda domenica di luglio (S.M. delle Grazie) e terza domenica novembre (Madonna della Salute, la quale trae origine dalla Peste Manzoniana, per la quale perì zio Nicolò Mezzera).

La Confraternita dei Luigini è l’ultima a vedere la consistenza del Beneficio Mezzera. Il beneficio passa di mano in mano fino ad arrivare in mano a don Giovanni Vaninetti di Regoledo, il quale non amministrò mai il culto a Morbegno (bensì, a Laglio, Ponchiera e Tresivio). Però nel suo Testamento del 1938 cita il Beneficio e lo fa, in qualche modo, cessare di esistere.

Dopo la morte di Gio. Pietro Mezzera detto il Pasquino il beneficio passa in mano alla famiglia Schenardi (della moglie defunta). Gli Schenardi donano il beneficio a don Vincenzo Schenardi che consacra la cappella (era stato parroco a Gerola fino al 1664, poi risiede a Morbegno nell’ultimo anno di vita). Quando il prete muore, gli Schenardi consegnano il beneficio in mano a un altro prete del parentado, don Giuseppe Delfino che ha il beneficio fino al 1674. Perdiamo traccia del beneficio fino al 1792. Fino a questo anno il beneficio era in mano al notaio Matteo Acquistapace (padre della moglie) che nel suo testamento lascia il beneficio al prete al quale aveva affidato il beneficio, don Antonio Malacrida, l’eccentrico zio di Ascanio II, suo erede universale. Il nipote non ebbe eredi maschi, così lasciò il beneficio a Ida Malacrida, moglie del notaio Martino Mariani. Perdiamo ancora traccia, ma capiamo bene perché nel 1898 il beneficio è della famiglia Buzzetti, imparentata con i Mariani. Il Vaninetti, da parte di madre, difatti, ha uno zio che si chiama Giovanni Buzzetti fu Giacomo.

Dal Testamento Vaninetti del 1938 evinciamo varie informazioni:

  • Dona la Gisèta alla Parrocchia di Morbegno svincolandola dal Beneficio ma esprimendo che la Confraternita non debba perdere i diritti acquisiti;
  • Gli arredi sacri del Beneficio vengono equipartiti tra Gisèta e S. Ambrogio a Regoledo;
  • Del Beneficio faceva parte anche la Chiesetta di Santa Elisabetta o della Visitazione di Piazzolate (località sopra Regoledo di Cosio). Sappiamo che qui gli Schenardi avevano vari possedimenti e che la chiesa ha origine tardo quattrocentesca; non sappiamo quando viene annessa al Beneficio.

[continua…]

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Palazzo Folcher a Morbegno

Come vi avevo promesso in questo post in cui vi raccontavo le mie avventure MOSTRose, oggi vi racconto di una perla di Morbegno che sta per essere totalmente restituita al pubblico grazie al team dell’architetto Cerri.

[Ovviamente, dato che il restauro è ancora in corso, chissà quanti altri segreti si potranno scoprire in futuro!!!]

L’edificio è originario del Seicento, benché quello che ci è restituito oggi è il frutto di un consistente restyling settecentesco, come già si nota dalla facciata con balconcini e archi mossi (ca. 1750). Fino all’Ottocento, l’area dove sorse il palazzo era chiamata Trivio del Mercato; l’architettura s’inserisce tra il Palazzo che fa angolo in Vicolo Scenaia (la Macelleria odierna) e il Palazzo Melzi.

Dal Novecento, nel locale al piano terra affacciato sulla strada, Palazzo Folcher ospitò l’omonimo Caffé, l’elegante punto di ritrovo della borghesia della belle époque morbegnese (era una specie di caffé letterario). Il nome Folcher deriva dal proprietario ottocentesco, di origine grigiona, anche sela proprietà passò di mano in mano, durante i secoli (alcune famiglie nobili furono i Calderari e gli Oreglia d’Isola).

Il Caffé Folcher fu progettato dall’ing. Buzzetti nel 1907, il quale fu padre del vicino Albergo Morbegno (oggi sede della filiale della Banca Popolare di Sondrio). Al suo interno potevamo trovare cristalli, spacchi, sedie “thonet”, tavolini in marmo e uomini con il panciotto intenti a discutere sull’avvenire di Morbegno. (** nota: è parso strabiliante anche a me trovare il nome del Buzzetti  e spero che qualcuno più informato o illuminato possa scoprire se è bufala o verità, ma mi pareva giusto dirlo… tanto non mi costava nulla)

Piano Terra – immettendoci in un androne, ci troviamo in un’ampia corte porticata che accede direttamente a una Sala affrescata con motivi floreali, collegata alla terrazza sull’ampio Giardino (400 mq) sovrastante il torrente Bitto; la stanza attigua, detta Sala delle Feste, presenta stucchi araldici e medaglioni con maschere veneziane databili ca. 1775. Un tempo, questa porzione del palazzo era destinata a usi commerciali, con buona probabilità a botteghe artigianali come avveniva nel cortile del Ristorante Agnello in Via Ninguarda.

Piano Nobile (il primo piano, così chiamato perché costituiva la parte meglio decorata e sede degli appartamenti) – Si raggiunge tramite uno scalone. I vari ambienti sono introdotti da una sorta di “corridoio”. Come avevo già accennato nello scorso post, i soffitti sono tutti decorati in maniera diversa; i particolari che mi hanno più colpita sono a) le travi dipinte b)la stanza con l’affresco di Eros e Afrodite con affaccio sulla strada (che, probabilmente, era l’alcova, dato che comunica con un’altra stanza).

Secondo Piano – da qui si ha una meravigliosa veduta sul Fondovalle fino al Lago.Molto probabilmente, come negli altri palazzi nobiliari valtellinesi, il sottotetto era destinato ad ospitare la schiavitù (i piccioni e le cortigiane – ahahah)

Cantine – (200mq) le quali volte sono in pietra locale. Risalenti almeno al ‘400, si sviluppano su più livelli nei quali si stagionava il famoso formaggio valtellinese.

Non vedo l’ora di poterci portare i turisti, per me non ha nulla da invidiare al Palazzo Malacrida!

❤ Miss Raincoat