Il Carneval Vecc’

Il Carnevale Vecchio di Grosio

Quando il Carnevale è già terminato in tutta la Lombardia, ossia la prima domenica di Quaresima, a Grosio si brucia il Carnevale Vecchio, un fantoccio di paglia con le corna, simbolo della miseria, per buon auspicio, per dimenticarla. In altri luoghi della Valle, si “brucia la vecchia” oppure semplicemente si accende un falò, facendo a gara tra sponda retica e sponda orobica ovviamente.

Questa parentesi scherzosa prima dei fioretti quaresimali, però, a Grosio è anche una vera e propria rappresentazione con tanto di maschere tipiche.

Il Carneval Vecc’ è un nonno di montagna, allegro e panciuto, che si trascina dietro i suoi rumorosi sciupei (zoccoli di legno); cammina insieme alla Magra Quaresima, la quale indossa un abito logoro con attaccati dei pesci, il cibo del periodo di “magra”.

La Bernarda è la prima delle maschere doppie. Una sola persona indossa un costume che interpreta una signora anziana vestita da grosina(*) con un bambino nella gerla. Il bambino succhia un ciuccio pieno di vino. Questa maschera è accompagnata dal Consorte, il quale si occupa del bambino capriccioso divertito nello spruzzare vino sui passanti.

L’Ors è un grande orso bianco impegnato a grattarsi i grandi e neri gioielli di famiglia. L’Ammaestratore cerca di nascondere l’oscenità e di non essere sbranato tramite un frustino.

Il Paralitico è la seconda maschera doppia. La stessa persona è un uomo che si fa portare in spalla dalla sua fidanzata vestita in abiti discinti; infatti, sta tutto il tempo a prenderla in giro per la sua “facilità di costumi”.

Il Cul de Merda cammina con il sedere sporco di un marrone di dubbia provenienza e portando con se un urinale. Con anche il dito sporco, cerca di toccare i passanti. Sfila insieme al suo amico Gubet de Spin, un anziano signore gobbo che non va toccato sulla schiena la quale nasconde delle spine.

L’Altoni, infine, è l’arlecchino grosino. Il suo vestito è, appunto, realizzato con vari pezzi di stracci cuciti insieme. Si diverte a fare baccano con le sue pesanti ciabatte di legno.

(*) il costume grosino risale al XVII secolo e appare orientaleggiante per via del retaggio armeno. Leggendariamente, pare che il Podestà di Venezia, per ripopolare Grosio dimezzata in popolazione dopo le Guerre di Valtellina, abbia donato delle ragazze armene. Storicamente, sappiamo che i rapporti commerciali tra Venezia e Grosio erano consolidati. Il costume femminile è composto da una gonna a pieghe che lascia intravedere le gambe con le calze rosse, da un grembiule ornato a traforo, camicia e scialle di seta attorno al collo ricamato; inoltre, vari gioielli impreziosiscono l’outfit: spilloni per capelli, orecchini in oro, bottoni e diversi giri di perle.

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Natale in Valtellina

Breve Almanacco delle antiche tradizioni dicembrine

2 dicembre – Santa Bibiana

Un po’ come in tutta Italia, è un giorno gradito ai meteorologi. Se piove, pioverà per tutto il mese.

13 dicembre – Santa Lucia

Questa giornata dava il via al clima festaiolo. A differenza del Gesù Bambino o della Befana, la Lucia non aveva dei tratti tipici, anzi, non si conosceva nemmeno il suo aspetto. La sera, i bambini lasciavano un piatto sul davanzale e lo ritrovavano colmo di mandarini, fichi o spagnolette (ossia le arachidi) – i bambini più ricchi ci trovavano il torrone.

Altri genitori spronavano i figli a mettere in una bacinella acqua e albume e lasciarla fuori dalla finestra tutta la notte. La mattina, grazie a Santa Lucia, il bianco dell’uovo si sarebbe dovuto trasformare in una barchetta.

A Livigno, invece, era il Giorno del Solastro. Durante il giorno più breve e più buio dell’anno, una volpe maschio scendeva sempre in paese per divorare un umano. Quindi, era un giorno cupo in cui l’umanità si doveva ricordare della sua paura al cospetto della natura invernale desolata.

24 dicembre – Vigilia

Fino a mezzogiorno, si digiunava. Dopo cena, si attendeva la messa di mezzanotte in stalla o nella stüa. Al caldo, i più anziani raccontavano storie ai più piccoli, si recitava il Rosario, oppure si pensava semplicemente all’estate. Probabilmente, gli uomini bevevano tra loro. Si preparava anche un lume acceso verso est, per indicare la strada ai Re Magi. Finalmente, dopo la messa, si mangiava la bisciöla.

25 dicembre – Natale

Durante la notte più magica dell’anno, tutta la natura era incantata. Addirittura, si pensava che chi fosse nato durante questa notte, avrebbe avuto le ossa intatte fino al Giorno del Giudizio. Inoltre, il giorno di Natale si vendeva il porco del paese al macello comunale. Attenzione però, se a Natale il clima fosse stato mite, ci si sarebbe dovuti aspettare mal tempo a Pasqua.

26 dicembre – Santo Stefano

Nei luoghi dove il Santo è patrono, i ragazzi, in commemorazione al martirio, si prendevano a sassate. Dovunque venivano organizzate delle festicciole per trovare la morosa. Erano diffuse anche delle processioni con i ceri, sempre per aiutare l’orientamento dei Re Magi.

31 dicembre – San Silvestro

Più che altro, era una festa per i giovani. Venivano sbarrate le strade per non far scappare l’anno vecchio. Ci si divertiva organizzando scherzi ad amici o parenti, soprattutto nascondendo oggetti e mettendoli in mucchio in piazza – la mattina dopo il proprietario doveva cercarli. Qualche volta, succedeva anche che un papà si trovava rubata la figliola più bella, ma questa è un’altra storia…


Anche se vanno a collocarsi in un’altra parte dell’anno, voglio ricordarvi altri due storici appuntamenti.

Gabinat alla Befana (6 gennaio)

Il nome deriva da Gabenacht, la notte dei doni. Dal 5 al 7 gennaio si è soliti dire alle persone “gabinat”. Se lo dici per primo sei salvo; altrimenti, devi fare un regalo a chi te l’ha detto entro Sant’Antonio (17 gennaio). Un tempo, i ragazzi andavano di casa in casa per racimolare doni.

Brusa la Vegia a Carnevale (febbraio o marzo)

Visto che si ripuliscono campi e vigne in vista dell’arrivo della primavera, le si raccolgono per bruciarle tutte durante questa serata. L’erba migliore per fare questo “giochetto” è l’assenzio, non solo per il profumo inebriante, ma anche perché brucia subito. Il fascio viene montato su un bastone e vestito con indumenti vecchi per farlo sembrare una brutta donna anziana, ossia la vegia. Dopo essere stata portata in processione su un carro, la sventurata viene arsa. Il bastone interno al fantoccio viene fatto roteare, come una torcia, attorno alla quale tutti danzano. La Vegia va a rappresentare tutto ciò che si vuole buttare via per lasciare spazio a un anno più fecondo: la miseria, la fame, le disgrazie e le malattie.

❤ Miss Raincoat

𝒷𝓊𝑜𝓃𝑒 𝒻𝑒𝓈𝓉𝑒 𝒹𝒶 𝓉𝓊𝓉𝓉𝑜 𝒾𝓁 𝒯𝑒𝒶𝓂 𝒹𝑒𝑔𝓁𝒾 𝒰𝓃𝒾𝒸𝑜𝓇𝓃𝒾!