Motivazioni stonate dei miei sproloqui lasciati a caso sul web
Oggi avrei voluto, appunto, rispondere alla domanda “Perché hai scelto di avere un blog?”. E la sentenza, molto semplice, sarebbe stata… Scrivo dall’età di otto anni, non mi è mai piaciuto stare zitta (infatti ho imparato prima a parlare che a camminare) e, per deformazione professionale, amo condividere (anzi, come direbbe Sant’Alberto Angela, divulgare). Forse, mi piace un po’ meno quello che è diventata l’ossessione social, nel senso che mi piace più la socializzazione, il sano incontrarsi con la gente, in mezzo alla quale trovi chi ti sta simpatico e chi ti sta antipatico. Insomma, non mi piacciono i leoni da tastiera, non solo quelli che si mettono i filtri alle foto per sembrare alle Hawaii mentre stanno scontando la pena a Rebibbia (che ci fanno divertire, dai!), ma soprattutto quelli che sputano giudizi universali (sì, appunto, con l’indice come l’Adamo di Michy Buonarroti). Non mi piace condividere tutto, mi piace conservare anche un po’ di intimità.
Ho un blog del quale, onestamente, controllo poco anche le statistiche, per mancanza di tempo o per pigrizia. Perché l’ho voluto un po’ come passatempo, quelle cose che fai masticando rumorosamente le noccioline. Non mi interessa vendere l’acqua minerale con il mio nome a prezzi da bestemmia, io avevo votato anche per un certo referendum a questo proposito… Sorrido quando so che un mio post ha avuto almeno una visualizzazione (pure che sia quella di un parente stretto), ma quando un turista mi dice qualcosa di carino a fine visita, è una gioia che mi riempie il cuore.
Per una guida è importantissimo comunicare.
E, se ci penso bene, è un compito importantissimo. Molti pensano che sia solo una questione di nozioni imparate a memoria e che la retorica, alla fine, sia una gran bella farcitura, come la ghiaccia reale sulla cassata siciliana. Eppure, l‘eloquenza non è solo arte effimera; è, invece, la capacita di adattare quello che dici all’argomento e alle persone a cui lo dici, provocando l’effetto che desideri. Il buon comunicatore è un artificiere, secondo me.
Qualcuno che maneggia la polvere da sparo, che ne conosce i suoi effetti deleteri, ha una responsabilità immensa mentre propone i suoi meravigliosi spettacoli pirotecnici. Perché con la stessa, dando fuoco alle polveri, come si suol dire, si può aprire la danza macabra dell’ostilità, una musica che diventa cacofonia. Perciò, è pur vero che è il ricevente che dovrebbe dare il giusto peso al messaggio (sempre se ha gli strumenti per farlo, ovviamente), ma se anche il referente cercasse di filtrare il suo contenuto, così come con i selfie, di sicuro non salverebbe il mondo, però sarebbe sicuro di non avere fatto nulla per marcirne anche solo una piccola puntina. È un po’come fare la raccolta differenziata, ma con le parole.
Non sono d’accordo con gli intellettuali da palcoscenico, i quali dicono che c’è crisi di parole, anzi, è che si usano senza consultare lo Zingarelli, quello che al liceo si poteva anche usare come arma da difesa, ma magari ci si pensava prima di tirarlo addosso o al professore che – giustamente –ci additava come prolissi o alla compagna di classe che ci stava un po’ antipatica intanto che ondeggiava dentro una nuvola di profumo alla vaniglia . Alla fine, il vocabolario lo si usava molto per asciugare le lacrime, specie durante la temuta versione in classe.
Quindi, ora taccio. Non come esortava D’Annunzio nella verde pineta grondante di pioggia e d’amore. Piuttosto, come i Depeche Mode, enjoy the silence.
❤ Miss Raincoat
Si dice che in un paese lontano il freddo è così intenso che le parole si congelano non appena vengono pronunciate, e dopo qualche tempo si sgelano e diventano udibili, come se le parole pronunciate in inverno rimanessero inascoltate fino all’estate. Anonimo