“Acqua Alta” di Andrey Remnev

Andrey Remnev è un pittore contemporaneo, considerato una superstar nel mercato dell’arte odierno. Nasce nei sobborghi di Mosca e non può che essere influenzato dalla “cultura pop” delle icone bizantine (soprattutto quelle di Andrej Rublev presso il Monastero del Salvatore).

Dalle icone russe trae ciò che rende la sua arte ipnotica: l’ossessione per la decorazione meticolosa nei dettagli, i colori protagonisti e urlanti e una simbologia talmente profonda da risultare quasi religiosa.

La sua arte è, comunque, elegante e al passo con i tempi. Le protagoniste delle sue opere sono le donne, viste come metafora della bellezza eterna. Monumentali, grandiose e misteriose. Le vede come delle chiromanti in grado di predire il futuro guardandoti le linee sul palmo della mano.

La sua ricerca, comunque, è sempre ossessivamente rivolta allo spazio attorno al soggetto. La sua produzione artistica è molto lenta e prevede di riprodurre la stessa composizione più volte, prima di arrivare all’opera definitiva. Il processo creativo per lui è sia gioia sia dolore, tant’è che considera lo spazio come l’umore dell’opera.

“High Water” – olio su tela – 2015

“Acqua Alta” si riferisce a quello che succede a Venezia, quando la laguna allaga la città. Lo straripare è un fenomeno che causa nella mente del pittore un senso di preoccupazione. E l’acqua alta diventa metafora per il sentimento di preoccupazione, di qualcosa che ti occupa la mente.

Il cielo si scambia il posto con la terra, siccome l’acqua riflette e ciò che prima era sopra appare sotto. Non è una fusione, più un’inversione dei ruoli. La protagonista femminile (che lui chiama “eroina”), il cielo e l’acqua hanno lo stesso colore. Il colore diventa anche lo spazio in cui si verifica l’azione.

Il colore che lui sceglie è prezioso, è l’oro. Per lui è simbolo di abisso, profondità, enormità e mistero. Infondo, l’oro fa un po’ paura, perché è un metallo che rimane inalterato e lucente eternamente. Al contempo, così come succede con il collega Klimt, l’oro conferisce all’opera un’atmosfera surreale ed affascinante.

L’acqua alta ti spinge lontano da ciò che è reale, da ciò che è terreno. L’acqua alta è come l’oblio del fiume Lete, nel Regno dei Morti. Il significato di quest’opera è che va bene perdersi in una riflessione congelata, prendersi una pausa e rimanere fermi, quando qualcosa ci impegna i pensieri – ma sempre luccicando.

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“L’Aurora” di William Adolphe Bouguereau

William Adolphe Bouguereau dipinge questo olio su tela dopo avere attraversato terribili anni di lutto (ben descritti in “Il Primo Lutto” del 1893). Nel 1877 aveva, infatti, perso moglie e figli e nel 1881 si apprestava a dipingere quest’opera, in cui prevalgono la sua tecnica talmente fine da sembrare una fotografia e le sue inconfondibili pennellate talmente lisce da sembrare di marmo.

“Aurora”

Negli stessi anni, il modo di intendere la pittura, il colore, l’idea di natura e di bellezza stavano cambiando. Gli Impressionisti e l’Avanguardia stava prendendo sempre più parte alla scena dei Salon espositivi. Eppure, lui, imperterrito, rimaneva fermo nella sua tecnica accademica. Tanti lo accusarono di essere vecchio e poco originale. Lui faceva spallucce, si complimentava con gli altri colleghi e rimaneva sicuro che il suo modo di vedere era solo suo, sapeva che era soltanto una questione di punti di vista. Non smise mai di dipingere incessantemente.

Eos/Aurora, vestita solo di luce, costituiva un escamotage per dipingere il nudo senza risentire della censura. Il nudo, in quegli anni in cui la Borghesia era il ceto che poteva pagare le opere d’arte, andava di gran moda. Ai Borghesi interessava la più sudicia componente erotica del nudo, è vero – ma non volevano risultare immorali. In effetti, la nostra protagonista incarna l’ideale di bellezza di quell’epoca: impalpabili fanciulle vergini con il seno abbastanza piccolo, pelle diafana e completamente glabra. Questa era un’arte per soli uomini. Uomini alla ricerca dell’innocenza perduta, della donna vergine pronta solo per loro (anche Oscar Wilde canzonava i maschi per il loro sciocco desiderio di essere i primi e non gli ultimi) . Uomini che volevano dei nudi con le gambe accavallate, perché guai a pronunciare ad alta voce il nome del frutto del peccato! Uomini che si scandalizzavano davanti all’Olympia di Manet, perché era esplicitamente una prostituta, ma che sbavavano davanti alle dee di Bouguereau.

Perché, infondo, è vero che Bouguereau si piega ai giochetti del marketing artistico, però lo fa suo. Sarebbero stati dei nudi indecenti se lui non li avesse sublimati. Le sue dee svestite sono monumentali. Lui, a suo modo, porta grande riverenza al corpo femminile. Lo spoglia con grazia. Lo mostra seducente, fecondo e, soprattutto, inneggia la donna nella sua inconsapevole bellezza. Tu pensi di piacermi perché sei negli standard e io invece ti sto guardando altro… La delicatezza sinuosa dei corpi di questo artista non è mai volgare o sfrontata, in effetti. Non vuole scandalo, semplicemente dire la parola “vagina” senza essere guardato come un depravato. Vuole dire che la vagina esiste ed è una cosa che può piacere (assai).

L’innocenza, che cosa scema da cercare! Chissà quante volte l’avrà pensato bevendo una birra con i suoi committenti. L’avrà pensato anche nel 1893, mentre dipingeva “L’Innocenza“. Lui l’aveva persa con la cacciata dal Paradiso, quando gli era stata tolta la facoltà di essere marito e padre. Lui l’aveva persa con la disperazione, con l’incapacità di reagire davanti al dolore. In questo quadro, una Madonna vestita di bianco stringe al cuore un neonato che dovrà sacrificare. La schiavitù ha più a che vedere con una morsa al cuore che con le catene ai piedi. Liberi. Ma da cosa?

“Il Primo Lutto”
“L’Innocenza”

Eos, la dea dell’Aurora. Chiese a Zeus che suo marito non morisse mai, ma si dimenticò di chiedere per lui la giovinezza. Lei, giovane ed eterna, fece il grande errore di passare una notte bollente con l’aitante Ares, già amante della volubile Afrodite e da lei fu condannata ad avere una tale insaziabile sete di passione che ogni giorno doveva innamorarsi di uno sporco mortale diverso. Proprio lei, che ogni mattina scioglieva il nastro candido che chiudeva la porta che separava il buio dalla luce. Ogni mattina piangeva lacrime di rugiada sulla Terra, perché lei, per quanto conoscesse le gioie dell’Olimpo, era una schiava.

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