“L’acero” di Georgia O’Keeffe

Georgia e io ci siamo conosciute in una sala d’aspetto, circa nel 2007. Il dott. B, infatti, l’aveva spalmata sulle pareti del suo studio, come se i suoi inconfondibili fiori fossero i tasselli di un mosaico. Io, allora, ero solo una bimba appena entrata nel Team degli Emicranici Anonimi e collezionista di 10 in Storia dell’Arte e 4 in Matematica. Georgia è, quindi, un’artista che è rimasta nel mio album dei ricordi.

L’operato di quest’artista può essere ascritto nel Precisionismo, una sorta di collage tra il cubismo e l’iperrealismo, ossia la traduzione in arte di un’aura emicranica (io quando spiego ai non adepti che non ho visioni mistiche, ma semplicemente delle allucinazioni transitorie scomodo Monsieur Picasso). La stessa O’Keeffee, per spiegare il suo Drawing n.9, disse che aveva semplicemente rappresentato un bruttissimo mal di testa che non voleva lasciare inutilizzato.

L’artista sviluppa la sua artistica più conosciuta e riconoscibile, quella della rappresentazione dei particolari della natura in macro (per utilizzare dei termini fotografici) [è qui che capiamo il precisionismo: un dettaglio talmente minuzioso da sembrare astratto, mentre invece è troppo reale] in seguito ai ripetuti e “felici” (Georgia non fu mai felice, credo) soggiorni in New Mexico. I critici spesso attribuiscono alla sua iconografia fitomorfa un’allusione freudiana ai genitali femminili, anche se lei ha sempre negato l’aderenza (il marito stesso, però, anche tramite un sensuale servizio fotografico, gonfiò la leggenda), praticamente, dando ai critici dei pervertiti. Insomma, a nessuna pittrice piacerebbe essere ridotta a “quella che dipingeva le vagine” e, pure secondo me, rimane un’interpretazione bigotta dell’operato della O’Keeffee.

Io, che sostengo la parità dei sessi, ma mai il femminismo integralista, non potrei amare un’artista chiusa dentro a un barattolo così troppo commerciale. La O’Keeffee non è la Nutella, è la Crema ai Marroni che mi regala il nonno di B. !

Georgia nasce nella campagna del Winsconsin, in una grande famiglia dedita a mandare avanti la propria fattoria. Sua madre aveva origini ungheresi, mentre suo padre irlandesi. Si trasferisce a Chicago per studiare e, durante una mostra a New York nel 1918, conosce il fotografo di fama Alfred Stieglitz, il tormentato amore della sua vita che, però, contribuì alla sua entrata nell’élite artistica intellettuale statunitense. Georgia dovette aspettare Alfred sei anni prima di poterlo sposare, all’indomani dal suo divorzio. La loro relazione era fatta di silenzi e taciti accordi, per non dover discutere, e terminò per il carattere schivo di lei/ le corna di lui nel 1928. La fine della storia d’amore causò all’artista un crollo nervoso e peggiorò notevolmente la sua emicrania, tant’è che non dipinse per più di un anno. Georgia era una donna calma solo in apparenza. Era solitaria, severa con sé stessa e critica con gli altri.

In questo olio troviamo una tavolozza molto diversa dalle tonalità più primaverili utilizzate con i fiori (p.e. in Grey Lines with Black, Blue and Yellow, nel quale appunto i critici vedono la famosa vagina o’keeffiana); la linea è sempre sinuosa e in continua esplorazione della tela. Senza volerlo, la O’Keeffe fa una citazione a Piet Mondrian e agli studi sui Meli in Fiore del 1911, benché lei non conoscesse né l’opera né si fosse mai recata in Europa.

Ciò che mi colpisce dell’operato di quest’artista sono le dimensioni delle tele che sceglie(qui ca. 80×90 cm):  lei voleva dipingere qualcosa di piccolo e poco considerato, fragile in grande. I’m not fragile like a flower I’im fragile like a bomb. Non è una femminista, è una che considera le persone emotive fatte di vento, uraganiche quando stroppano. E se sei così, una che sa distrugge, hai imparato ad aggiustare, quando puoi;quando non puoi butti via i cocci e riparti da capo…

Perciò, lei non è un manifesto per gli estrogeni a passeggio, piuttosto un invito a urlare i propri sentimenti. Come una suffragette di emozioni.

**1924, The Burnett Foundation (Texas)

Sarà un Autunno difficilissimo cit. Noemi

(E buon Venerdì 17!!!)

❤ Miss Raincoat

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La Romantische Straße

Circa un anno fa ho accompagnato un gruppo nelle tappe principali di questo percorso perfetto per ammirare i colori vivi di questa mezza stagione che preannuncia il freddo (ma anche l’arrivo di Babbo Natale). Inoltre, l’itinerario costituisce anche un’alternativa per rimanere in tema Baviera e Oktoberfest pur evitando il “chiasso” di Monaco. Se proprio vogliamo dirla tutta, può essere anche la passeggiata ideale per smaltire i litri di Weiß – accompagnata da Wurstel Bianchi con i Crauti.

La Romantische Straße si compone di varie tappe snodate in 360 km, partendo da Würzburg e finendo a Füssen (anche se a noi Italiani è più comodo percorrerla al contrario). L’itinerario turistico è nato nel 1950 per valorizzare questa porzione naturalistica del Sud della Germania.

Le mie tappe imperdibili…

  1. Füssen – il pezzo forte di questa cittadina è l’Hohes Schloss (Castello Alto), che fu la residenza dei Principi Vescovi prima che si trasferissero ad Augusta e che è oggi una galleria dell’arte pittorica bavarese; sotto il castello troviamo il Monastero benedettino dedicato a San Magno, ivi sepolto con le sue reliquie e in onore del quale viene prodotto un vino del quale vengono prodotte solo 500 bottiglie l’anno.
  2. Schwangau (Contea del Cigno)–  Neuschwanstein Schloss è il castello al quale si ispirò Walt Disney per Cenerentola si trova di fronte al castello Hoenschwangau  e fu il rifugio di Ludwig II ” il re matto” da quando gli venne tolta la facoltà di regnare nel 1869, purtroppo mai terminato per i suoi innumerevoli ; gli interni, in stile medievale, sono tutti dedicati a Richard Wagner, amico del sovrano.  Hoenschwangau , invece, era la residenza estiva di Maximilian II , padre di Ludwig II (ah, l’Oktoberfest nasce come anniversario del suo matrimonio),  in tipico stile Biedermeier; all’interno, troviamo scene del Cavaliere del Cigno della leggenda di Lohengrin, cotenuta nel Ciclo Arturiano. Entrambi i castelli, su uno sperone di roccia, sovrastano il Lago Alpsee.
  3. Augusta (Augsburg) – fondata dai romani nel 15 a.C.,  è la città più grande della Baviera dopo Monaco e Norimberga. Possiamo visitare il Duomo, la Casa natale di Mozart (1719) ed il Fuggerei (quartiere popolare più antico al mondo dopo Padova, del 1516 – con casette, chiesa e cinta di mura).
  4. Rothenburg ober der Tauben – ha mantenuto mura (con porte e camminamenti percorribili) e l’ aspetto medievale originario. La Marktplatz (Piazza del Mercato), il  Rathaus (Municipio) in stile gotico e rinascimentale (con particolare Orologio a Cucù, che alle 11, 12, 13, 14, 15, 20, 21, 22 vede il Sindaco e Tilly bere un boccale di birra) e Käte Wohlfahrt (negozio che vende giocattoli e articoli natale tutto l’anno), sono le sue migliori attrattive.
  5. Würzburg – la Residenz , sopra il centro abitato, serviva ai  Principi Vescovi per proteggersi dalle rivolte popolari ed è un bene UNESCO. Dal Ponte Vecchio sul Meno da qui si vede la Fortezza Marienberg  , che domina la città dalla sommità della collina omonima già dall’epoca celtica. La fortezza fu abitata dai Vescovi fino alla costruzione della Residenz. A metà costa poderosi bastioni a forma di stella cingono la fortezza, contengono l’Arsenale e sono muniti di torri. All’interno ci sono la Vorburg (parte residenziale), la Brunnenhaus -elegantemente rinascimentale e munita di pozzo profondissimo- e la Marienkapelle – una chiesa rotonda risalente a prima dell’Anno Mille.

Un po’ di conti sulle distanze…

  • Monaco – Füssen 127 km
  • Füssen – Schwangau 6,5 km
  • Füssen – Augusta 102 km
  • Augusta – Rothenburg odT 186 km
  • Rothenberg odT – Würzburg 60 km

❤ Miss Raincoat

What’s going on & other (Ghost) Stories

Una specie di aggiornamento di stato lungo, troppo lungo e poco interessante per Facebook e, probabilmente, anche per voi che leggete il mio blog (alcuni di voi si drogano assai, dacché lasciano pure likes. Grazie!). Quindi, a parte per la citazione all’album dei miei amatissimi Coldplay e per la foto che ho scattato dal terrazzo – ché non avevo nemmeno voglia di andare in giardino – , potete tranquillamente switchare la versione del visualizza e non risponde dei blogger.

< Ah, non c’entra un cavolo, ma con l’argomento mi è venuto in mente che ho ripreso con il mio hobby totalmente dilettantistico della fotografia. Sto leggendo e prendendo un sacco di appunti su tutte queste cose fenomenali come il bilanciamento del bianco, il fuoco, il controluce, il flash, i tempi brevi…. E la mia vecchia Nikon taroccata è felicissima!!! >

Stavo dicendo in apice, è un periodo di fermento. Sono già stanca a pensare alla stanchezza positiva che accumulerò in questo periodo di novità lavorative che, tra le cose più importanti, mi vedranno collaborare con il FAI durante l’evento della Fiera del Bitto a Morbegno e giocare a fare finta di essere una Madrelingua italiana con un gruppo di stranieri (unito, ovviamente, al mio solito peregrinare da Accompagnatrice e allo sproloquiare da Guida). – E, comunque, stay tuned perché porterò avanti la matta carrozza di questo blog trainata da unicorni rosa!

Quindi, ho l’ansia a mille, come sempre. Però sono anche felice. Molto. La stima lavorativa (il feedback, leggi come farebbe Fedez), dopo lavoraccio sporco e anche gratis, è arrivata; ora mi sto scaldando per la salita vera e propria. Come le ragazzèh con il grillètto facilèh cit. Fedez, sempre lui

Però, ci insegna Sandra Bullock con in mano l’Oscar (bando ai doppi sensi balordi), una donna in carriera (detesto questa parola, preferisco “donna con portafoglio di Gucci da sé acquistato”) deve per forza avere il cuore spezzato. Il mio non è spezzato, dacché chi non ti vuole intera non può averti a pezzi. Tuttavia, vorrei puntualizzare a colui che mi ha definita “non abbastanza” che non ho afferrato il concetto.

Stamattina sono passata davanti al’obitorio (non per motivi macabri: la fermata del bus si trova a un centimetro da lì). Mi sono sentita una di loro, una di quelle persone che piangevano un uomo che se n’è andato via troppo presto, spegnendosi letteralmente all’improvviso, come il mio Max. Sono troppo empatica, forse. O, più semplicemente, ho provato la stessa cosa nello stesso luogo. Io non sapevo nemmeno dove si trovasse l’obitorio. E non sapevo dove scavare per ritrovare la forza. Quello è stato l’unico periodo dei miei 27 anni e un quarto in cui non mi sono sentita abbastanza. Eppure, ho scavato con le unghie appena rifatte e ce ne sono venuta fuori. Puoi dirmi tutto. Anche che sono psicopatica. Anche che disprezzo quello che non posso avere. Ma non che non sono abbastanza. 

Manco di un’infinità di qualità. Ne ho molte altre. Je suis comme je suis. Però, nella sua assolutezza non è che non sono abbastanza, nessuno lo è. Sono emersa dal mio stesso buio e ho fatto in modo che quel nero, che non se ne va più via, faccia sembrare i miei colori più saturi, tendenti al fluo. Magari puoi dire che la mia tavolozza è kitsch, che non ti piace, che preferisci un wengé abbinato al cristallo. Non che non sono abbastanza. Non che ho poche tonalità. 

Dunque, invece che stare a sentire alla Bullock, io mi affiderei agli insegnamenti di quella strafiga della Winslet che, anche se c’è posto e ti chiami Leonardo Di Caprio, ti butta a mare lo stesso. 

Per finire, vi faccio pure ascoltare questa cover rock’n’rolla Made in Ticino dei Barbie Sailers della mia canzone preferita di questo mese, “Without You” di Avicii.

❤ Miss Raincoat