Valtella in Love

Johannes Zebrusius

Il Gran Zebrù è una vetta del gruppo Ortles – Cevedale, alta 3857 metri, che divide la Valfurva, in Alta Valtellina, dall’Alto Adige. Oltre ad essere maestosa è iconica per avere una forma conica simmetrica. Lassù la terra sembra avere solo un confine labile con il cielo…

Nel 1150 Johannes, feudatario di Gera d’Adda, si innamora di Armelinda, figlia di un castellano del Lario. Lei gli promette eterna fedeltà, anche se suo padre non sia poi così tanto d’accordo e preferisca per lei qualcuno di più ricco. A malincuore, i due si lasciano , per il dolore, Johannes parte per una Crociata. Lei gli promette in lacrime che, non potendo sposare lui, non sarebbe stata di nessun altro.

Quattro anni dopo, lui ritorna dalla Terra Santa e lei – sorpresa!!! – ha un marito. Il cuore di Johannes, improvvisamente, si spezza.

Decide, così, di mettersi in viaggio e vagare tra le Alpi per trovare una terra lontana dalla malvagità umana e dalla menzogna, finché non trova pace nel’odierna Val Zebrù, in zona Baita del Pastore verso il Ghaicciaio della Miniera. Lì trascorre trent’anni più un giorno di solitudine. Ormai vecchio e prossimo alla morte, si costruisce lui stesso una macchina che possa calargli addosso una lapide bianca e lì dentro si addormentarsi per sempre.

Sull’epitaffio leggiamo: JOAN ZEBRU AD MCCVII

Se il suo corpo rimane incorrotto sotto il peso della pietra, la sua anima vola fino alla vetta che oggi porta il suo nome, Gran Zebrù, e che in tedesco viene chiamata Koenigspitze (trad: Cima del Re). Tra leggenda e verità, il suo nome viene dal celtico SE (Spirito Buono) + BRUGH (del Castello).

da “Pomodori Verdi Fritti alla Fermata del Treno

Un cuore, anche se spezzato, continua a battere lo stesso.

Miss Raincoat

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Valtella in Love

L’incontro romantico tra il Lago Bianco e il Lago Nero

Saliamo al Passo di Gavia, a sud ovest dell famoso gruppo dell’Ortles, posto a 2611 metri a collegare la Provincia di Sondrio (Valfurva) e la Provincia di Brescia (Valcamonica). In quest’area sono posti il Lago Bianco, in Valtellina e, duecento metri più in basso, già oltre il valico, il Lago Nero. Le leggende narrano che in queste acque vivono ancora gli spiriti di due amanti con Saturno contro; qualcuno spergiura di avere sentito i loro sussurri d’amore…

In realtà, la tragica storia d’amore ha ben tre versioni

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Belviso era una bellissima ragazza orfana innamorata di un pastore della Valfurva. Suo zio, però, la vende come moglie a un altro uomo, giusto per ricavarne del denaro. Belviso e il suo amato, allora, scappano insieme, anche se lo zio avaro riesce ad acciuffarli al Gavia. Il pastore dice all’amata di scappare al di là del passo, in modo da poter affrontare lo zio da solo e farle recuperare terreno. Prima che il giovane venga ucciso, una forza arcana li trasforma entrambi nei due laghi che conosciamo, appunto uno di qua (Lago Bianco) e l’altro di là (Lago Nero) del Gavia.

Nerino e Bianchina erano due giovani innamorati invidiati da Pinotta, la figlia del Mago. Pinotta rodeva talmente tanto che chiese a suo padre di scatenare una bufera sul Gavia, dove i due fidanzati erano andati a fare una passeggiata, facendoli diventare di ghiaccio. L’unico che poteva invertire l’incantesimo era lo Spirito delle Acque, il quale non poté far nient’altro che sciogliere i loro cuori e farli diventare il Lago Nero e il Lago Bianco.

Lo Spirito dei Boschi, con due profondissimi occhi neri, nutriva una passione irrefrenabile e non corrisposta per la Fata dei Boschi. Preso dalla follia amorosa, la rapisce e lei si fa aiutare dalla Regina delle Nevi che, per farla rimanere pura, la trasforma nel Lago Bianco; per la disperazione, lo Spirito dei Boschi si trasforma nel Lago Nero.

A voi quale versione è piaciuta di più?

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Miss Raincoat

Valtella in Love

Il Giovannino e la Magada

Teglio, patria dei Pizzoccheri. Sì, ma non solo. Questo territorio comprende la località Nìgula (certo, quella che dà anche il nome alla birra artigianale Pintalpina) sovrastata dalla Valle della Magàda (ossia della Strega) – una selva intricata, ombrosa e resa sinistra anche da gole e ruscelli di montagna…

L’acqua, elemento mutevole e dalla superficie impalpabile ma luccicante, ha creato nell’immaginario collettivo alpino numerose leggende con protagoniste le magàde. Queste creature magiche prendono spunto dalle ninfe, dalle fate e anche dalle moire greche. Quindi, sono molto sensuali, pericolose e regolano dall’alto il destino degli uomini che incontrano, se ne innamorano in maniera ebbra, impazziscono e fanno una brutta fine. Insomma, sono il simbolo della felicità puttana, come ci canterebbe Tommaso Paradiso.

Come riconoscerle? Beh, sicuramente non le si incontra mai tanto lontane dall’acqua, il loro elemento. Hanno capelli molto lunghi, occhi chiari, carnagione chiarissima e statura poco elevata. Vestono di nero o di colori sgargianti. Spesso, hanno un piede deforme che le rende zoppe. Sono sempre intente a pettinarsi o a filare.


Giovannino era un adolescente orfano di padre e, ogni giorno, andava a pascolare le sue capre. Per passare il tempo mentre menava il gregge, suonava spesso il piffero.

Anche il trentuno dicembre di quell’anno sta cercando un prato per far mangiare le sue caprette, quand’ecco che ne trova uno insolitamente pieno di fiori, molto strano per quel periodo dell’anno. Non se ne cura e si mette a suonare il suo flauto come sempre. Improvvisamente, gli appaiono davanti tre bellissime fanciulle nude. Quella che a lui sembra più bella gli strappa addirittura il flauto dalle mani e si mette a suonare per lui una melodia celestiale. Le ragazze gli tengono compagnia fino al tramonto e gli danno appuntamento all’anno successivo.

Il ragazzo torna a casa e rimane turbato dall’accaduto, finché sua mamma non si accorge che ha qualcosa che non va. Una volta sentita la storia, la signora lo rassicura e gli dice che non è l’unico ad aver visto personaggi magici in zona. Però, lo mette in guardia perché ha sentito che esiste anche una strega brutta e vecchia che è stata beccata vicino a un torrente a divorare dei neonati che aveva rapito.

La mamma escogita un piano insieme a Giovannino per catturare la più bella delle tre fate. Il trucco sarà lanciarle un cappello che la creatura magica raccoglierà docile. Lui dovrà soltanto farsi seguire fino a casa per farselo restituire. In effetti, il trentuno dicembre dell’anno successivo, Giovannino riesce a portarsi la fata a casa tramite questo stratagemma.

La fata Magàda è tenuta in ostaggio per un altro anno, finché Giovannino le confessa il suo amore e la sposa. Lei si fa soltanto promettere che lui non la picchierà mai. Il loro matrimonio, tenuto insieme solo da questo patto e nient’altro, va avanti a gonfie vele. Intanto, nascono anche due gemelli.

Una sera, però, non trovando la moglie a casa per cena, Giovannino va su tutte le furie. Quando lei torna, benché si giustifichi di aver fatto tardi al lavatoio e del fatto che lei all’acqua non sa resistere, lui la percuote con un bastone. Lei era stata chiara su questo punto, allora scompare abbandonando lì anche i figlioletti.

Nonostante questo, inspiegabilmente, ogni sera l’uomo, quando torna a casa, la trova pulita e con la cena sui fornelli. Purtroppo, qualche giorno più tardi, giocando, i due gemellini fanno morire un agnellino. Il papà arrabbiato li sculaccia, così spariscono anche loro nelle stesse modalità della mamma.

Giovannino è disperato, così il trentuno dicembre si getta da un burrone nella stessa radura dove aveva incontrato la moglie e madre dei suoi figli.

Din don Capanon (Din Don Campanile)
Quatru Dunzeli sul Balcùn (Quattro donzelle sul balcone)
Una la taia (Una taglia)
Una la fila (Una fila)
Una la fà i capei de paia (Una fa i cappelli di paglia)
Una la ciama San Martin  (Una chiama San Martino)
Da purtach un pegurin (perché le porti un agnello)
Un pegurin con su la lana (un agnello coperto di lana)
La macana la fà la nana (La bambina fa la nanna)

Mi è venuta in mente questa filastrocca che mi cantava mia nonna materna, la nonna Alma (probabilmente l’aveva imparata da sua cognata che si era sposata a Grosio). Penso che sia un riferimento alla Festa di San Martino, in occasione del “capodanno del vino”, insomma, la festa della fine dell’anno agricolo per eccellenza. Le ragazze sul balcone a me ricordano molto le Parche, le oscure figure mitologiche che tessevano il destino dei mortali. Una filava il filo della vita, l’altra assegnava il destino e l’ultima, inesorabile, tagliava il suddetto filo al momento stabilito. In questo caso, c’è una quarta fanciulla che implora San Martino di portare un agnello che sia ben ricco di lana con il quale realizzare tantissimo filo e augurare una vita lunghissima a un’ignara bambina, come me, che doveva fare sonni tranquilli.

Miss Raincoat

Valtella in Love

Belina e Gianni

Siamo a Spriana, in Valmalenco, un paese sospeso sulle profonde forre del torrente Mallero e famoso per il movimento franoso che incombe sulla valle sottostante.

Durante una Primavera che sembrava non dovesse mai avere fine, Gianni si innamorò di Belina e le giurò amore eterno. Il ragazzo, però, era anche un ottimo cavaliere e fu presto chiamato a raggiungere il suo esercito in terre lontane. Ciò nonostante, promise alla fidanzata che al ritorno l’avrebbe sposata.

Lontano e provato dalla solitudine della guerra, però, si dimenticò della promessa, sposò un’altra donna e non ritornò più a casa. Belina apprese la sciagurata notizia dalle malelingue pettegole del paese. Disperata e con il cuore a pezzi, non ci pensò nemmeno un attimo e corse a gettarsi nel torrente Mallero. Era un Autunno particolarmente freddo e nebbioso.

Eppure, un secondo prima di morire invocò la Madonna della Speranza, perché Gianni pagasse pegno, ma non in vita, soltanto una volta morto. La sua anima avrebbe dovuto vagare inquieta e senza pace.

Al centro di Spriana, su un masso erratico, si erge appunto la Chiesetta della Madonna della Speranza. Qui, a novembre, le coppie di innamorati possono assistere a un’apparizione quasi oracolare nello strapiombo del torrente:

  • se non è vero amore – appare Gianni, angosciato, su di un cavallo nero che galoppa furioso;
  • se è vero amore – appare Belina triste e sconsolata che assiste alla scena del cavallo che quasi trascina l’uomo che l’ha buttata via.

Per chi nell’amore non ci crede più, invece, la Madonna della Speranza può anche intercedere per il mal di denti, basta che si fa un giro attorno alla chiesetta.

La leggenda, comunque, narra anche che quando la Madonna riterrà che Gianni abbia saldato il suo debito con l’Amore, allora nella forra cresceranno dei gigli azzurri. Poco male, dato che per Dante, i traditori sono imprigionati in un lago ghiacciato sopra il quale soffia perpetuo un vento gelido (tipo Selvetta, ma più in grande).

Non ti auguro il male

(solo donne fredde e birra calda)

Miss Raincoat

“E a chi ci vuole male una Makumba”