“Pictures of You” dei Cure

I Cure sono una band inglese nata nel 1976 sull’onda del new wave (scusate il surf di parole), un genere che raggruppava un sacco di band tipo anche che erano state  influenzate dal punk,  ma stavano un po’ cavalcando il lucro verso il pop.  Robert Smith, compositore, cantante e polistrumentista (non è solo un chitarrista!!!), è l’unico membro a farne parte fin dagli esordi e a diventarne l’icona (con lo stile dark alla Edward Mani di Forbice). In barba a quelli che sostengono che i musicisti siano fedifraghi, Smith sposa la sua fidanzata storica nel 1988 e gli dedica una canzone (Lovesong) per il primo anniversario.

Questa canzone che stiamo per ascoltare fa parte dell’album Disintegration del maggio 1989, periodo del mio concepimento. Il disco, che riuscì ad arrivare settimo anche nella Hit Parade Italiana, s’inserisce nel periodo dark della band, anche se è il più evoluto stilisticamente, perché fonde insieme il brit pop e il rock psichedelico. La critica aveva previsto un flop, ma questo album, oltre ad aver avuto successo, rimane un evergreen.

Pictures of  You fu il quarto e ultimo singolo estratto, nel marzo del 1990 (il periodo della mia nascita) in una versione più corta dell’originale (in mio onore, ahahah). La canzone ebbe un successo mondiale anche se l’album era già vecchio di quasi un anno.

Dobbiamo precisare che tutte le canzoni scritte da Robert Smith nascono da sogni visionari dati un po’ dal genio e un po’ dall’assunzione di droghe allucinogene (anche lui vedeva gli unicorni, quindi). Alla fine degli Anni Ottanta, inoltre, il musicista era in ansia matta perché nel 1989 avrebbe compiuto trent’anni (oh, come lo capisco!) e, oltre a voler realizzare un capolavoro, aveva anche paura d’invecchiare. Come per non bastare, aveva i critici alle spalle che lo additavano di essere mainstream, cioè di essere in grado di vendere pure gli organi interni pur di guadagnare. Ancora non avevano conosciuto Rovazzi, però è anche vero che le canzoni dei Cure sono molto orecchiabili, anche quando sono ultra cupe. L’ispirazione per questo brano venne in seguito a un incendio scoppiato a casa di Smith che lasciò intatte solo delle fotografie della moglie Mary (la copertina è una di queste, infatti).

Questa canzone è di un tristume cosmico, lo so. Ma a me fa pensare a cose rincuoranti, tipo guardare le fotografie di un viaggio e sogghignare per tutte quelle cose che sono successe e …non si è potuto immortalare. 

Remembering you standing quiet in the rain

[Formazione: voce/basso a 6 corde – R. Smith; chitarra – P. Thompson; tastiere – R. O’Donnel; basso – S. Gallup ; batteria – B. Williams]

 ❤ Miss Raincoat

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About a guide…

Quando sono nata io, stava per finire febbraio, il mese degli innamorati, dei matti e dei virus influenzali.

Quando sono nata io, splendeva il sole, ma c’era anche il vento. E non so se stesse tirando un’aria nuova o fossero solo i coriandoli carnascialeschi sollevati da terra, già stantii dietro ai fioretti della Quaresima (per chiudere i cerchio, sarei anche stata battezzata il giorno di Pasqua). Sta di fatto che, con circa un mese d’anticipo, alle prime ore di un altro giorno, da qualche parte nei Cieli, è stata accesa una candela per me. Mi hanno chiamato P. Mi piacerebbe raccontare una bella storia sulle motivazioni della scelta, però non esiste. Mia sorella maggiore scelse per me e pure per mia mamma (che, invece, aveva optato per Gabriella o Mauro, se si fosse presentato un maschietto) e, così, venni al mondo come P., un nome nobile di otto lettere che, poi, per la solita spocchia lombarda di andare di fretta, si sarebbe ben presto ristretto tra un “la” e una “Y” di tendenza. I Pooh trionfavano a Sanremo insieme ai loro “Uomini Soli”, seguiti a ruota dal Trottolino Amoroso DuduDadada con la voce argentata di Amedeo Minghi e da “Gli amori”di Toto Cutugno.

Sono troppo sensibile. Me lo ripetono tutti da quando andavo alla scuola materna. La maestra diceva che avevo le lacrime in tasca. Ma il prof. di Francese del Liceo, mi disse, invece, che, se avessi imparato a gestire le mie emozioni “troppo umane”, sarebbe diventata una ricchezza. E non si sbagliava. Qualche volta, in realtà, stroppo. E’ come riempire un bicchiere fino all’orlo e, così, svuotarlo. La dedizione diventa sacrificio, la gioia diventa euforia, l’infatuazione diventa passione, il malessere diventa disperazione e così via: sono vulnerabile e, mancando di veri meccanismi di autodifesa, sono emotivamente instabile. Nel mio torrente di sentimenti, un po’ come un’ Anna Karenina dei nostri tempi, sembro vivere in un mondo apparentemente confuso e tormentato. Ho dei repentini sbalzi d’umore, ma non sono lunatica. C’è da dire che, quando mi sveglio, ho il vaffa** facile, ma a cena sono veramente simpatica, specie con un buon vino da sorseggiare nel bicchiere.

Sono empatica, mi piace ascoltare le persone, ma preferisco ripagare con il calore umano, piuttosto che dare consigli. Credo che l’esperienza umana sia del tutto casuale e personale, perciò non penso di avere la pragmaticità necessaria per dispensare regole d’oro. Mi piace stare in mezzo alle persone. Amo il genere umano. Sono sincera, a volte troppo, fedele e non mi piace che i problemi rimangano irrisolti. Anzi, non mi piace sbagliare. Anche se credo sia del tutto impossibile imparare senza commettere degli errori, quasi sempre, anche alla minima sbavatura, lo prendo come un fallimento e non ci dormo la notte pensando a come riparare. In effetti, amo la notte e le notti insonni mi portano sempre buoni consigli. Dormo poco, in modo da poter bere il primo caffè della giornata da sola. A volte questo mio bisogno di avere “una stanza tutta per me” viene scambiato per snobismo. La definirei piuttosto una ricerca di zen. Tendo ad affezionarmi troppo alle persone e, specie quando lavoro, mancherei di professionalità se non ci fosse un certo distacco. Credo che nel mio lavoro la disciplina sia tutto. Io amo stare con la gente, ma devo proteggerla e per farlo devo stare concentrata. Il giullare è un altro mestiere (anche la escort, del resto, anche se “accompagnatrice” ne è un sinonimo), non il mio. Ogni volta che saluto i miei gruppi, parte la lacrimuccia ed è impagabile ricevere messaggini a mesi di distanza e sapere che hai lasciato un ricordo, un souvenir, nell’animo di una persona che, altrimenti, sarebbe stata un estraneo.

Da grande non volevo nè fare la guida nè fare l’accompagnatrice. Da grande, volevo essere turista, non parte del pacchetto turistico.

Da grande volevo diventare una restauratrice. Amo l’arte e la creatività, ma l’emicrania e il fatto di non poter stare a contatto con agenti chimici mi ha portato verso un’altra direzione. Pensavo che curare le opere d’arte fosse il modo migliore per stare con le mani dentro ciò che mi piaceva, ma mi sbagliavo. Alcuni dicono che noi che lavoriamo a stretto contatto con i turisti abbiamo un forte amore per i viaggi e le avventure. Un po’ è vero: amo sentirmi persa, sbagliata, nuova, diversa, di passaggio. Amo le stazioni affollate e le reception all’orario del check out. Ma la verità è che una vita di trolley da fare e disfare, urlare per farsi sentire, vestirsi sgargianti o indossare strani indumenti per farti trovare nella folla, alla fine di una lunga giornata di corsa, in cui magari non hai nemmeno potuto mangiare come nella pubblicità della Fiesta, voler dire una cosa in una lingua che non è la tua e trovarsi a chiedere scusa per aver detto proprio un’altra cosa, pagare l’IMU, ma dormire quasi sempre in albergo, escursioni termiche, assecondare, almeno apparentemente, persone che a differenza tua sono sempre troppo rilassate o piene di domande come l’ultima de Il Milionario o che ti chiedono di procurargli il Vello d’Oro, Giasone, Medea e anche gli Argonauti se possibile e, non dimentichiamocelo, fare squadra con gli autisti che sono sempre troppo di qualcosa (e solo nei film ambientati in Grecia le guide si appaiano a loro, nutrendo un amore profondo e disperato!).Essere mamma, psicologa, matrimonialista, detective, ragioniera, dittatore, farmacista ,ingegnere informatico, enciclopedia e dizionario. Essere leader di un gruppo che non è il tuo branco, un lupo che cura un gregge. Quello che faccio per vivere è un odi et amo tipico di ogni passione. Un amante che ti era stato presentato come un gentleman, ma invece è un rozzo camionista. Eppure, un amante che non ha mai tradito le aspettative. Questo lavoro mi insegna tutto ciò come non so, come un enorme libro sul Mondo. Ma, soprattutto, questo lavoro mi salva da me stessa.

MY MIND IS THE SCENE OF THE CRIME – dal film Inception

❤ Miss Raincoat